Per lavoro o per divertimento spesso abbiamo bisogno di inviare file piuttosto pesanti. Rispetto a qualche tempo fa le caselle di posta elettronica sono diventate più capienti ma l'invio di certi allegati continua a rimanere un problema. Ecco alcuni servizi online per inviare i file direttamente tramite email oppure per "parcheggiarli" sui server disponibili fino a quando il destinatario non li recupererà e, comunque, per un periodo di tempo limitato. Sono gratuiti e, nella maggior parte dei casi, non richiedono registrazione
WeTransfer (https://www.wetransfer.com/) Permette di inviare file fino a due giga e non richiede registrazione. Una volta collegati è sufficiente selezionare il file da inviare, inserire indirizzo di posta elettronica del destinatario, indirizzo email personale e, a scelta, anche un messaggio.
Filedropper (http://www.filedropper.com/) Per caricare file fino a 5 Gb. Una volta eseguito l'upload si ottiene un link che può essere condiviso con i destinatari.
Filemail (http://www.filemail.com/it/) Per inviare file fino a 2 Gb. Non richiede registrazione. Ha anche un account Premium (fino a 10 Gb) a 4 dollari al mese e una versione Corporate a 45 dollari al mese per file superiori ai 10 Gb.
QuickBigFile (http://quickbigfile.com/) Consente l'invio di file fino a 2.5 Gb. Il suo utilizzo è molto semplice: è sufficiente caricare il file, impostare indirizzo del mittente e del destinatario e riempire il corpo del messaggio. I file rimangono su QuickBigFile per 30 giorni. E' anche possibile ricevere una mail di notifica nel momento in cui il destinatario effettua il download.
Yousendit (http://www.yousendit.com/) Permette di inviare fino a 2 Gb di file. Una volta caricato, il destinatario riceve una mail con un link dove poter scaricare il contenuto. Il file rimarrà disponibile per una settimana e poi verrà cancellato. Per spedire file più grandi e più velocemente esiste anche il software Yousendit Express (http://www.yousendit.com/cms/standalone-app) disponibile per WIndows e Mac.
TransferBigFiles (http://transferbigfiles.com/) E' possibile inviare gratuitamente fino a 2 Gb di file. Il contenuto rimane disponibile per 5 giorni, oppure per 30 se avete effettuato la registrazione al servizio.
Megaupload (http://www.megaupload.com/) E' possibile inviare gratuitamente file fino a 1024 Mb. Si clicca su Sfoglia, si sceglie il file da caricare. Alla fine del percorso si ottiene una Url da poter condividere.
Fileurls (http://fileurls.com/) La differenza rispetto agli altri servizi è che permette di inserire una password per proteggere i file e di scegliere per quanti giorni renderlo scaricabile
PipeBytes (http://host01.pipebytes.com/) Non richiede registrazione e non è necessario inserire la propria mail o quella del destinatario. Una volta caricato il file viene prodotta una url da condividere. Stream File (http://www.streamfile.com/) Permette di inviare file fino a due giga, il funzionamento è identico ai servizi precedenti.
Katia Ancona
www.repubblica.it
Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.
venerdì 18 dicembre 2009
giovedì 17 dicembre 2009
"Le leggi per la Rete" di Stefano Rodotà
L'Italia ha scoperto la Rete. Appena ieri era divenuta evidente per tutti la forza di Internet quando proprio da lì era partita l'iniziativa che era riuscita a portare in piazza un milione di persone per il "No B Day".
Si materializzava così una dimensione della democrazia inedita per il nostro paese. Pochi giorni dopo quell'immagine appare rovesciata. Internet diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B Day" è presentato come un momento d'incubazione dei virus che avrebbero reso possibile l'aggressione a Berlusconi, Internet come lo strumento in mano a chi incita alla violenza.
Conclusione: la proposta di un immediato giro di vite per controllare la Rete, secondo un abusato copione che trasforma ogni fatto drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto d'ordine pubblico, limitando libertà e diritti.
Per fortuna, all'interno dello stesso mondo politico è stata subito colta la pericolosità di questa impostazione. Intervenendo alla Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini ha detto parole sagge: "Guai a promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete". E la finiana fondazione FareFuturo evoca la "sindrome cinese", la deliberata volontà di impedire che Internet possa rappresentare uno strumento di democrazia. Questi moniti, insieme a molti altri, sembrano aver trovato qualche ascolto, a giudicare almeno dalle dichiarazioni più prudenti del ministro Maroni.
Il tema della violenza è vero, e grave. Ma altrettanto ineludibile è la questione della democrazia. È istruttivo leggere la lista dei paesi che sottopongono a controlli Internet: tutti Stati autoritari o totalitari (con una particolare eccezione per l'India). Questo vuol forse dire che i paesi democratici sono distratti, che si sono arresi di fronte all'hate speech, al linguaggio dell'odio? O è vero il contrario, che è maturata la consapevolezza che la democrazia vive solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati per intervenire quando la libertà d'espressione si fa reato nel nuovo mondo digitale?
Vi è una vecchia formula che ben conoscono coloro i quali si occupano seriamente di Internet: quel che è illegale offline, è illegale anche online. Tradotto nel linguaggio corrente, questo vuol dire che Internet non è uno spazio privo di regole, un far west dove tutto è possibile, ma che ad esso si applicano le norme che regolano la libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali. Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza dell'autorità giudiziaria.
Considerando più da vicino le peculiarità di Internet, bisogna essere ben consapevoli del fatto che le proposte di introdurre "filtri" all'accesso a determinati siti sollevano un radicale problema di democrazia. Chi stabilisce quali siano i siti "consentiti"? Qual è il confine che separa i contenuti liberamente accessibili e quelli illeciti? Il più grande spazio pubblico mai conosciuto dall'umanità rischia di essere affidato, all'arbitrio politico, che inevitabilmente attrarrebbe nell'area dei comportamenti vietati tutto quel che si configura come dissenso, pensiero minoritario, opinione non ortodossa. E la proposta di vietare l'anonimato in rete trascura il fatto che proprio l'anonimato (peraltro ostacolo non del tutto insuperabile nel caso di veri comportamenti illeciti) è la condizione che permette la manifestazione del dissenso politico. Quale oppositore di regime totalitario potrebbe condurre su Internet la sua battaglia politica, dentro o fuori del suo paese, se fosse obbligato a rivelare la propria identità, così esponendo se stesso, i suoi familiari, i suoi amici a ogni possibili rappresaglia? Non si può inneggiare al coraggio dei bloggers iraniani o cubani, e denunciare le persecuzioni che li colpiscono, e poi eliminare lo scudo che, ovunque, può essere necessario per il dissenziente politico. Anche nei paesi democratici. È di questi giorni la denuncia di associazioni americane per la tutela dei diritti civili che accusano le agenzia per la sicurezza di controllare reti sociali come Facebook e Twitter proprio per individuare chi anima iniziative di opposizione. Non è la privacy di chi è in Rete ad essere in pericolo: è la sua stessa libertà, e dunque il carattere democratico del sistema in cui vive.
Certo, i gruppi che su Facebook inneggiano a Massimo Tartaglia turbano molto. Ma bisogna conoscere le dinamiche che generano queste reazioni, certamente inaccettabili, ma rivelatrici del modo in cui si sta strutturando la società, che richiede attenzione e strategie diverse dalla scorciatoia repressiva, pericolosa e inutile. Inutile, perché la Rete è piena di risorse che consentono di aggirare questi divieti. Pericolosa, non solo perché può colpire diritti fondamentali, ma perché spinge le persone colpite dal divieto a riorganizzarsi, dando così permanenza a fenomeni che potrebbero altrimenti ridimensionarsi via via che si allontana l'occasione che li ha generati.
Solo una buona cultura di Internet può offrirci gli strumenti culturali adatti per garantire alla Rete le potenzialità democratiche continuamente insidiate al suo stesso interno da nuove forme di populismo, dalla possibilità di creare luoghi chiusi, a misura proprie e dei propri simili, negandosi al confronto e alla stessa conoscenza degli altri. Più che misure repressive serve fantasia, quella che induce gruppi in tutto il mondo a chiedere un Internet Bill of Rights o che ha spinto uno studioso americano oggi collaboratore di Obama, Cass Sunstein, a proporre che i siti particolarmente influenti per dimensioni o contenuti debbano prevedere un link, una indicazione che segnali l'esistenza di siti con contenuti diversi o opposti e che permetta di collegarsi a questi immediatamente.
Stefano Rodotà
www.repubblica.it
Si materializzava così una dimensione della democrazia inedita per il nostro paese. Pochi giorni dopo quell'immagine appare rovesciata. Internet diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B Day" è presentato come un momento d'incubazione dei virus che avrebbero reso possibile l'aggressione a Berlusconi, Internet come lo strumento in mano a chi incita alla violenza.
Conclusione: la proposta di un immediato giro di vite per controllare la Rete, secondo un abusato copione che trasforma ogni fatto drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto d'ordine pubblico, limitando libertà e diritti.
Per fortuna, all'interno dello stesso mondo politico è stata subito colta la pericolosità di questa impostazione. Intervenendo alla Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini ha detto parole sagge: "Guai a promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete". E la finiana fondazione FareFuturo evoca la "sindrome cinese", la deliberata volontà di impedire che Internet possa rappresentare uno strumento di democrazia. Questi moniti, insieme a molti altri, sembrano aver trovato qualche ascolto, a giudicare almeno dalle dichiarazioni più prudenti del ministro Maroni.
Il tema della violenza è vero, e grave. Ma altrettanto ineludibile è la questione della democrazia. È istruttivo leggere la lista dei paesi che sottopongono a controlli Internet: tutti Stati autoritari o totalitari (con una particolare eccezione per l'India). Questo vuol forse dire che i paesi democratici sono distratti, che si sono arresi di fronte all'hate speech, al linguaggio dell'odio? O è vero il contrario, che è maturata la consapevolezza che la democrazia vive solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati per intervenire quando la libertà d'espressione si fa reato nel nuovo mondo digitale?
Vi è una vecchia formula che ben conoscono coloro i quali si occupano seriamente di Internet: quel che è illegale offline, è illegale anche online. Tradotto nel linguaggio corrente, questo vuol dire che Internet non è uno spazio privo di regole, un far west dove tutto è possibile, ma che ad esso si applicano le norme che regolano la libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali. Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza dell'autorità giudiziaria.
Considerando più da vicino le peculiarità di Internet, bisogna essere ben consapevoli del fatto che le proposte di introdurre "filtri" all'accesso a determinati siti sollevano un radicale problema di democrazia. Chi stabilisce quali siano i siti "consentiti"? Qual è il confine che separa i contenuti liberamente accessibili e quelli illeciti? Il più grande spazio pubblico mai conosciuto dall'umanità rischia di essere affidato, all'arbitrio politico, che inevitabilmente attrarrebbe nell'area dei comportamenti vietati tutto quel che si configura come dissenso, pensiero minoritario, opinione non ortodossa. E la proposta di vietare l'anonimato in rete trascura il fatto che proprio l'anonimato (peraltro ostacolo non del tutto insuperabile nel caso di veri comportamenti illeciti) è la condizione che permette la manifestazione del dissenso politico. Quale oppositore di regime totalitario potrebbe condurre su Internet la sua battaglia politica, dentro o fuori del suo paese, se fosse obbligato a rivelare la propria identità, così esponendo se stesso, i suoi familiari, i suoi amici a ogni possibili rappresaglia? Non si può inneggiare al coraggio dei bloggers iraniani o cubani, e denunciare le persecuzioni che li colpiscono, e poi eliminare lo scudo che, ovunque, può essere necessario per il dissenziente politico. Anche nei paesi democratici. È di questi giorni la denuncia di associazioni americane per la tutela dei diritti civili che accusano le agenzia per la sicurezza di controllare reti sociali come Facebook e Twitter proprio per individuare chi anima iniziative di opposizione. Non è la privacy di chi è in Rete ad essere in pericolo: è la sua stessa libertà, e dunque il carattere democratico del sistema in cui vive.
Certo, i gruppi che su Facebook inneggiano a Massimo Tartaglia turbano molto. Ma bisogna conoscere le dinamiche che generano queste reazioni, certamente inaccettabili, ma rivelatrici del modo in cui si sta strutturando la società, che richiede attenzione e strategie diverse dalla scorciatoia repressiva, pericolosa e inutile. Inutile, perché la Rete è piena di risorse che consentono di aggirare questi divieti. Pericolosa, non solo perché può colpire diritti fondamentali, ma perché spinge le persone colpite dal divieto a riorganizzarsi, dando così permanenza a fenomeni che potrebbero altrimenti ridimensionarsi via via che si allontana l'occasione che li ha generati.
Solo una buona cultura di Internet può offrirci gli strumenti culturali adatti per garantire alla Rete le potenzialità democratiche continuamente insidiate al suo stesso interno da nuove forme di populismo, dalla possibilità di creare luoghi chiusi, a misura proprie e dei propri simili, negandosi al confronto e alla stessa conoscenza degli altri. Più che misure repressive serve fantasia, quella che induce gruppi in tutto il mondo a chiedere un Internet Bill of Rights o che ha spinto uno studioso americano oggi collaboratore di Obama, Cass Sunstein, a proporre che i siti particolarmente influenti per dimensioni o contenuti debbano prevedere un link, una indicazione che segnali l'esistenza di siti con contenuti diversi o opposti e che permetta di collegarsi a questi immediatamente.
Stefano Rodotà
www.repubblica.it
mercoledì 9 dicembre 2009
"Internet Evolved" indaga sul futuro della rete
Dove sta andando Internet? Gran bella domanda. A cui difficilmente si può davvero pensare di poter dare una risposta univoca. Ci si può ragionare, però. Cercando di individuare traiettorie, possibilità, rischi e ipotesi di scenari presenti e futuri. Esattamente ciò che si farà giovedì 10 dicembre a Internet Evolved – La rete esce dalla rete, quinta conferenza annuale organizzata a Torino da Top-ix, consorzio nato nel 2002 per favorire attraverso Internet lo sviluppo della produttività del territorio piemontese e del Nord Ovest.
Il percorso scelto prevede quattro diversi momenti di incontro e riflessione, che occuperanno l’intera giornata. Si partirà con “Internet: nuove frontiere della rete”: analisi di una piattaforma in costante mutazione, che deve rispondere alle esigenze di un numero sempre crescente di utenti e di dati e a un intreccio sempre più stretto con il mondo imprenditoriale, economico, industriale e dei mercati. Alle tematiche dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile sarà invece dedicato lo spazio “Green Web”, nel quale si valuterà l’impatto ambientale del settore tecnologico, le sue possibilità di fare da volano per una rivoluzione verde della società e le incognite ambientali legate alla next big thing delle reti digitali, il “cloud computing”, cioè il passaggio a un ecosistema in cui la maggior parte dei dati (anche personali) saranno archiviati e gestiti a distanza, e non più negli hard disk dei computer degli utenti.
Nella seconda parte della giornata si passerà ad affrontare uno dei temi storicamente più importanti e al tempo stesso spinosi della rivoluzione digitale: il rapporto con le istituzioni e le possibilità (necessità?) dell’e-government di aggiornare e rendere più efficace la pubblica amministrazione. Titolo del segmento: “Government as a Platform”. Infine, spazio alla visione che fa da sottofondo (e sottotitolo) all’intera conferenza: l’idea di una Internet che esce dai suoi confini originari per coinvolgere in modo sempre più radicale la vita quotidiana e relazionale dei suoi utenti (attraverso Facebook e i social network) e per scoprire nuovi mercati e nuove vie di sviluppo nella dimensione dei dispositivi portatili (pensiamo al successo dell’iPhone, dei Blackberry, della rampante piattaforma Android, degli smartphone più sofisticati). “MICROApps” sarà il titolo di quest’ultimo panel.
Alla conferenza parteciperanno relatori provenienti dalle più svariate realtà imprenditoriali (multinazionali dell’IT, telco, start up), dal mondo dell’università, della ricerca scientifica, dell’informazione e delle istituzioni.
Luca Castelli
www.lastampa.it
Il percorso scelto prevede quattro diversi momenti di incontro e riflessione, che occuperanno l’intera giornata. Si partirà con “Internet: nuove frontiere della rete”: analisi di una piattaforma in costante mutazione, che deve rispondere alle esigenze di un numero sempre crescente di utenti e di dati e a un intreccio sempre più stretto con il mondo imprenditoriale, economico, industriale e dei mercati. Alle tematiche dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile sarà invece dedicato lo spazio “Green Web”, nel quale si valuterà l’impatto ambientale del settore tecnologico, le sue possibilità di fare da volano per una rivoluzione verde della società e le incognite ambientali legate alla next big thing delle reti digitali, il “cloud computing”, cioè il passaggio a un ecosistema in cui la maggior parte dei dati (anche personali) saranno archiviati e gestiti a distanza, e non più negli hard disk dei computer degli utenti.
Nella seconda parte della giornata si passerà ad affrontare uno dei temi storicamente più importanti e al tempo stesso spinosi della rivoluzione digitale: il rapporto con le istituzioni e le possibilità (necessità?) dell’e-government di aggiornare e rendere più efficace la pubblica amministrazione. Titolo del segmento: “Government as a Platform”. Infine, spazio alla visione che fa da sottofondo (e sottotitolo) all’intera conferenza: l’idea di una Internet che esce dai suoi confini originari per coinvolgere in modo sempre più radicale la vita quotidiana e relazionale dei suoi utenti (attraverso Facebook e i social network) e per scoprire nuovi mercati e nuove vie di sviluppo nella dimensione dei dispositivi portatili (pensiamo al successo dell’iPhone, dei Blackberry, della rampante piattaforma Android, degli smartphone più sofisticati). “MICROApps” sarà il titolo di quest’ultimo panel.
Alla conferenza parteciperanno relatori provenienti dalle più svariate realtà imprenditoriali (multinazionali dell’IT, telco, start up), dal mondo dell’università, della ricerca scientifica, dell’informazione e delle istituzioni.
Luca Castelli
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