Dopo la condanna ai responsabili di Pirate Bay, parla Luca Neri, giornalista, consulente informatico e autore del libro La baia dei pirati - Assalto al copyright, un'inchiesta edita da Cooper che racconta le ragioni tecniche, sociali, politiche della condivisione online.
Neri, quali saranno le conseguenze della condanna a Pirate Bay?
"Prima di tutto, non scompare il peer to peer. La condanna è puramente simbolica e non comporterà la chiusura definitiva del sito. Siamo solo al primo appello e prima che i responsabili vadano in galera dovrà ancora passare del tempo. Il problema è comunque un altro. Pirate Bay ha avviato già dal 2006, ovvero dal primo sequesto dei suoi server in Svezia, un sistema di server distribuito in giro per il mondo che rende tecnicamente abbastanza difficile la chiusura del sito. La sentenza di oggi sposta il dibattitto sul copyright nell'era del digitale da un piano giuridico a un piano simbolico. Può avere effetti sull'opinione pubblica europea ma non cancellerà il trend della tecnologia che va verso una circolazione sempre più facile delle informazioni tra individui. Credere di poter fermare così il fenomeno della condivisione, è come credere di poter fermare la storia".
Quattro giovani contro le major. Chi vincerà?
"A differenza di altri siti di file sharing come Napster o Kazaa, Pirate Bay non è a fini commerciali. Quelle erano imprese non tradizionali con aspirazioni economiche che sono state considerate dai giudici come illegali. Qui il fenomeno è diverso: Peter Sunde e i suoi tre amici hanno creato Pirate Bay non per soldi, ma per scatenare un dibattito internazionale. Non sono degli uomini di affari, ma dei militanti che per questa causa sono anche pronti a diventare dei martiri. Quella di oggi è solo una vittoria formale che le multinazionali dell'audivisivo europee cercavano in questo momento. Bisognerebbe invece riflettere sulle differenze che ci sono tra Europa e Stati Uniti: negli States non sono i siti ad essere condannati ma i singoli utenti che ne fanno utilizzo. In Europa si è voluto colpire un simbolo, non un servizio".
Quale ruolo sta avendo la rete nella riscrittura delle regole del copyright?
"Fino ad oggi l'enorme potenziale del digitale ha impaurito le major dell'audiovisivo che, da intermediari tra contenuti e pubblico, si sono visti fortemente ridimensionati. Sono nate così leggi sempre più draconiane per soffocare la circolazione dei contenuti. Le norme riguardanti il copyright e il file sharing andrebbero cambiate. I giovani lo sanno e sono loro gli elettori di domani. Quanto tempo impiegheranno i politici a capirlo, è ancora da vedere".
Neri, quali saranno le conseguenze della condanna a Pirate Bay?
"Prima di tutto, non scompare il peer to peer. La condanna è puramente simbolica e non comporterà la chiusura definitiva del sito. Siamo solo al primo appello e prima che i responsabili vadano in galera dovrà ancora passare del tempo. Il problema è comunque un altro. Pirate Bay ha avviato già dal 2006, ovvero dal primo sequesto dei suoi server in Svezia, un sistema di server distribuito in giro per il mondo che rende tecnicamente abbastanza difficile la chiusura del sito. La sentenza di oggi sposta il dibattitto sul copyright nell'era del digitale da un piano giuridico a un piano simbolico. Può avere effetti sull'opinione pubblica europea ma non cancellerà il trend della tecnologia che va verso una circolazione sempre più facile delle informazioni tra individui. Credere di poter fermare così il fenomeno della condivisione, è come credere di poter fermare la storia".
Quattro giovani contro le major. Chi vincerà?
"A differenza di altri siti di file sharing come Napster o Kazaa, Pirate Bay non è a fini commerciali. Quelle erano imprese non tradizionali con aspirazioni economiche che sono state considerate dai giudici come illegali. Qui il fenomeno è diverso: Peter Sunde e i suoi tre amici hanno creato Pirate Bay non per soldi, ma per scatenare un dibattito internazionale. Non sono degli uomini di affari, ma dei militanti che per questa causa sono anche pronti a diventare dei martiri. Quella di oggi è solo una vittoria formale che le multinazionali dell'audivisivo europee cercavano in questo momento. Bisognerebbe invece riflettere sulle differenze che ci sono tra Europa e Stati Uniti: negli States non sono i siti ad essere condannati ma i singoli utenti che ne fanno utilizzo. In Europa si è voluto colpire un simbolo, non un servizio".
Quale ruolo sta avendo la rete nella riscrittura delle regole del copyright?
"Fino ad oggi l'enorme potenziale del digitale ha impaurito le major dell'audiovisivo che, da intermediari tra contenuti e pubblico, si sono visti fortemente ridimensionati. Sono nate così leggi sempre più draconiane per soffocare la circolazione dei contenuti. Le norme riguardanti il copyright e il file sharing andrebbero cambiate. I giovani lo sanno e sono loro gli elettori di domani. Quanto tempo impiegheranno i politici a capirlo, è ancora da vedere".
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