Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


venerdì 30 maggio 2008

Il cervello non ha più segreti

La mente non è ancora un libro aperto, ma i meccanismi alla base del pensiero stanno diventando sempre più chiari. Un team di scienziati americani è riuscito a decifrare una parte del codice linguistico del cervello, individuando alcuni circuiti neuronali che si attivano nel momento in cui si pensa a determinate parole, collegate a oggetti concreti, come un fiore, ad esempio.

Secondo la rivista Science, che dà notizia dello studio, questa scoperta potrebbe portare, in futuro, alla creazione di un dizionario cerebrale e alla possibilità di sviluppare dei dispositivi capaci di leggere nella mente perché in grado di utilizzare questo dizionario.

Un équipe congiunta di esperti informatici e di neuroscienziati - coordinati da Tom Mitchell della Carnegie Mellon University di Pittsburgh - ha usato la risonanza magnetica funzionale, che fotografa il cervello in presa diretta, su un gruppo di volontari. Questo ha permesso di osservare diverse combinazioni di attività neurali, ciascuna associata ad una parola. Partendo da queste associazioni e utilizzando calcoli statistici, gli scienziati sono riusciti a dedurre un vero e proprio codice di migliaia di parole. Codice che è composto dalla decodificazione di quelli che potrebbero definirsi "crittogrammi neurali".

"Crediamo di aver identificato un certo numero di unità di codice di base che il cervello usa per rappresentare il significato di alcune parole", ha spiegato Mitchell, che è un pionere nell'applicazione dei computer allo studio del cervello. Non esiste, per ora, un vocabolario esteso (basti pensare che per i nomi astratti non sono state individuati circuiti cerebrali), ma, come afferma un altro autore dello studio, Marcel Just, "è un passo importante nella decifrazione del codice del cervello".

Le applicazioni di queste scoperte vanno ben oltre la possibilità di leggere i pensieri altrui. In futuro potrebbero permettere una migliore comprensione di malattie come l'autismo e di disturbi del pensiero quali la paranoia, la schizofrenia, la demenza semantica. "La prospettiva è quella di riuscire a determinare come i soggetti autistici rappresentano dal punto di vista neurale concetti sociali quali l'amicizia e la felicità", ha detto Just, che dirige il Center for Cognitive Brain Imaging della Carnegie Mellon University.

Non è la prima volta che gli scienziati tentano di guardare "nella testa delle persone". Studi recenti mostrano che la risonanza magnetica potrebbe servire per inchiodare i bugiardi (perché quando si mente le aree cerebrali che si attivano sono più numerose rispetto a quando si dice la verità).

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/cervello-artificiale/leggere-pensieri/leggere-pensieri.html

mercoledì 14 maggio 2008

Tra Internet e mercato il duello continua

La cultura è diventata più accessibile con Internet, ma il mercato si oppone: è battaglia ideologica tra chi considera la cultura patrimonio di tutti e chi proprietà da difendere.
«La gratuità è un furto» è lo slogan provocatorio lanciato da Denis Olivennes, direttore del Nouvel Observateur ex capo di Fnac, in un pamphlet che vanta nell’edizione italiana la prefazione del presidente Siae Giorgio Assumma: «Il peer-to-peer è l’ultima forma di pirateria, che danneggia gravemente tutta l’industria dei contenuti».
Gian Arturo Ferrari, capo dei libri Mondadori (nella foto a sinistra), è d’accordo con Olivennes: l’emergere di un mercato della cultura ha democratizzato le opere d’ingegno, entrate nei consumi di massa, ma «i libri gratis sono utopia, la funzione editoriale di tramite tra autore e pubblico è insostituibile». Per Ferrari il progresso aumenta il bisogno di intermediazione: «Altrimenti sarebbe il caos, comunicare è fatica. Internet è un torbido mare in cui non ti trova nessuno».
Di parere diverso Marco Calvo (nella foto a destra), fondatore dell’Associazione Liber Liber, che ha creato già 15 anni fa una biblioteca digitale ad accesso gratuito (Progetto Manuzio), arricchita da un’audioteca (LiberMusica) fino alla nuova piattaforma OpenAlexandria per la produzione e distribuzione di contenuti digitali liberi da copyright. «Allo Stato un popolo colto “conviene”. La cultura non è diventata più accessibile grazie al mercato, ma alle innovazioni tecnologiche». La macchina da stampa di Gutenberg fece crollare il costo dei libri e da allora il progresso ha subìto una straordinaria accelerazione. «Oggi Internet consentirebbe un crollo del costo della cultura altrettanto significativo, se non fosse per le resistenze controproducenti (meno cultura, meno mercato) dei grandi editori».
Internet propone nuovi intermediari: la reputazione di un autore è decretata dai suoi lettori, che lo fanno emergere tramite il passaparola. Ne sa qualcosa Lorenzo Fazio, fondatore di ChiareLettere (che pubblica autori di successo come Marco Travaglio), entusiasta delle potenzialità offerte dalla Rete: «I nostri autori hanno successo grazie ai blog e i social network». Si chiama «marketing reputazionale» e punta su un nuovo modello di business: sul Web gli autori dei libri di cucina, i più piratati, possono ripagarsi attraverso la pubblicità, il merchandising, perfino aprendo ristoranti, grazie al proprio «marchio».
Eppure Tracy Chevalier, best seller per «La ragazza con l'orecchino di perla», insiste che la pirateria attraverso Internet rischia di ridurre gli autori a «non poter più scrivere» e fa eco a Olivennes: «La cultura della gratuità, invece di diversificare l’offerta, la impoverisce». Calvo eccepisce: «Quali studi dimostrerebbero che la cultura gratuita impoverisce? Non sono certo che la diversità e ricchezza culturale sia tra le priorità delle multinazionali, che in realtà impongono gli stessi modelli culturali e gli stessi prodotti in tutto il mondo per abbattere costi di promozione e semplificare la gestione del catalogo».
Se molto materiale si trova solo nei circuiti pirata, è segno evidente che l'attuale mercato non funziona. Quanti autori vivono delle proprie opere? Quante sono fuori catalogo perché ritenute non produttive? Secondo la teoria della «coda lunga» di Chris Anderson, Internet fa fiorire le micro-nicchie, che sommate portano numeri molto più alti dei pochi successi di massa.
Per Ferrari di Mondadori, che guadagna tra il 10 e il 15% su ogni copia venduta, «la coda lunga è sottilissima» e bisogna modificare la legge sul copyright: l’autore ritorna in possesso della propria opera dopo vent’anni solo a patto che il libro sia ancora in commercio, ma «con il Print On Demand questa regola deve valere anche se il libro non è in stampa». Calvo si spinge oltre: «Gli autori, ostaggi dei mega-editori, devono essere liberi dai contratti di esclusiva».
Un fatto è certo: cercare di controllare la circolazione delle opere su Internet è come cercare di fermare il vento con le mani. Contenuti liberi in licenza «Creative Commons» (il copyright flessibile su Internet) sono già centinaia di milioni e permettono di fruire opere che le grandi multinazionali non distribuirebbero mai.
«Ad avere una pericolosità sociale ben più grave della pirateria sono i prezzi alti e il cartello dei circuiti bancari, che impediscono le microtransazioni, a loro poco convenienti, ma tecnicamente possibili da anni a costi sostanzialmente nulli» accusa Calvo. Autori da poche migliaia di opere ricaverebbero una remunerazione adeguata. E di fronte a prezzi convenienti, la pirateria sarebbe marginale.

Anna Masera
www.lastampa.it

lunedì 5 maggio 2008

Dichiarazioni dei redditi sul sito dell’Agenzia delle entrate e privacy: aspetti giuridici

Il mio amico Gianluigi Fioriglio, grande esperto di informatica giuridica e diritto dell'informatica, è intervenuto sul suo sito www.dirittodellinformatica.it sulla controversa vicenda della diffusione via internet dei dati delle dichiarazioni dei redditi chiarendo le principali implicazioni giuridiche della questione.

La pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi degli italiani sul sito web dell’Agenzia delle entrate ha suscitato molte polemiche e dubbi. Vediamo i dettagli e gli aspetti giuridici.

1. I fatti
Il Direttore dell’Agenzia delle entrate, con provvedimento del 5 marzo 2008 (prot. n. 197587/2007), ha disposto la pubblicazione sul sito Internet http://www.agenziaentrate.gov.it degli elenchi nominativi dei contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni dei redditi relative all’anno d’imposta 2005.
Il 30 aprile 2008 tali elenchi sono stati effettivamente pubblicati sul sito ma sono rimasti on line poche ore, poiché il Garante della privacy è prontamente intervenuto e ha invitato – ma non costretto – l’Agenzia delle entrate a sospendere tale pubblicazione.
L’Agenzia delle entrate ha comunque accolto l’invito e ha eliminato i dati delle dichiarazioni dal proprio sito web, ma bisogna sottolineare che – dal punto di vista giuridico – il Garante non ha in realtà disposto il blocco del trattamento, ma ha solo chiesto ulteriori chiarimenti (che dovrebbero giungere entro lunedì) e ha praticamente “suggerito” l’eliminazione dei dati dal sito.
Nelle poche ore in cui i dati sono stati on line diversi utenti li hanno visionati e scaricati sul proprio computer; alcuni di essi li hanno condivisi sulle reti di peer to peer e così anche attualmente è possibile scaricarli dalla rete eDonkey (con programmi ben noti come eMule): di qui ulteriore benzina sul fuoco!
Secondo il Garante, la diffusione in Internet, anche per poche ore, ha reso ingovernabile la circolazione e l’uso di questi dati così come la loro stessa protezione.
L’avvenuta pubblicazione ha suscitato, allo stesso tempo, forti consensi ma altrettanto forti critiche, le ultime motivate, in particolare, dalla potenziale lesione del diritto alla privacy e dall’esigenza di tutelare la sicurezza delle persone. La pubblicazione dei dati del reddito, infatti, potrebbe favorire reati gravi come estorsioni e rapine.
In molti hanno espresso il loro parere: Stefano Rodotà (ex presidente del Garante per la protezione dei dati personali) si è detto favorevole alla pubblicazione così come Marco Travaglio, diversi esponenti politici si sono detti contrari, così come Beppe Grillo: è interessante notare come il parere del comico genovese sia stato uno dei più citati, ancor più di quello di Rodotà…

2. Le norme
In questa sede si ritiene di prescindere dai giudizi di merito e di opportunità politica e di concentrarsi solo sul quadro normativo.
Innanzi tutto, vengono in riferimento due testi normativi principali: il d.p.r. 600/73, il d.p.r. 633/72 e il d.lgs. 196/03 (c.d. Codice della privacy). Chiariamo subito che molti giornalisti evidentemente sono rimasti un po’ indietro, visto che in diversi casi si è parlato di “legge sulla privacy” (la vecchia legge 675/96 è stata abrogata da tempo dal Codice della privacy…).
L’art. 69 d.p.r. 600/73 dispone che:
“1. Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti disposizioni nell'ambito dell'attività di programmazione svolta dagli uffici nell'anno precedente.
2. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti.
3. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a 10 milioni di lire e al 20 per cento del reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a 50 milioni di lire.
4. Il centro informativo delle imposte dirette, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma, per ciascun comune, i seguenti elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmente competenti:
a) elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi;
b) elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni.
5. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione degli elenchi di cui al comma 4.
6. Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 648.
7. Ai comuni che dispongono di apparecchiature informatiche, i dati potranno essere trasmessi su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici”.

L’art. 66-bis d.p.r. 633/72 prevede che:
“1. l Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di contribuenti nei cui confronti l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto ha proceduto a rettifica o ad accertamento ai sensi degli articoli 54 e 55. Sono ricompresi nell'elenco solo quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione annuale e quelli dalla cui dichiarazione risulta un'imposta inferiore di oltre un decimo a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di oltre un decimo a quella spettante. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di rettifica, anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti.
2. Gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto formano e pubblicano annualmente per ciascuna provincia compresa nella propria circoscrizione un elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi sono in ogni caso depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso l'ufficio che ha proceduto alla loro formazione, sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648.
3. (abrogato)
4. Gli stessi uffici pubblicano, inoltre, un elenco cronologico contenente i nominativi dei contribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di quelli che li hanno ottenuti”.

Tali norme, dunque, non prevedono la possibilità di pubblicare via Internet gli elenchi dei nominativi e dei redditi dei contribuenti.

3. Responsabilità penali per il P2P?
Un ulteriore profilo merita di essere approfondito: il download e la condivisione dei dati mediante le reti P2P sono effettivamente illeciti come abbiamo letto sui giornali? È stata infatti ipotizzata la rilevanza penale di simili condotte.

Analizziamo la questione alla luce del cod. priv.. La norma contestata è l’art. 167 cod. priv., che punisce il trattamento illecito di dati personali. Ecco il testo della norma:

“1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell'articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.
2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”.

Pertanto, cosa succede se i dati vengono condivisi mediante un programma di P2P come eMule? Questa norma trova applicazione?

Sicuramente viene svolto un trattamento di dati personali e molto probabilmente esso è, allo stato dei fatti, illecito. Ma per ora non sembra si possa sostenere l’applicazione dell’art. 167 cod. priv. perché la norma richiede che chi commette il fatto deve farlo o per trarne profitto (per sé o per altri) oppure per danneggiare qualcuno. Dunque, nel caso di specie bisognerebbe riuscire a provare che chi scarica e condivide i file contenenti gli elenchi delle dichiarazioni dei redditi trae un beneficio economico da tale attività oppure lo fa proprio per danneggiare qualcuno. Non solo: bisogna pure provare che sia stato cagionato un nocumento...

Se ora sembra difficile sostenere l’illiceità penale di tale condotta, il quadro potrebbe mutare a breve: è prevista l’imminente pubblicazione di un provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali che chiarirà la questione.

Se il Garante dovesse imporre il blocco del trattamento allora chi scarica e condivide le tanto contestate informazioni potrebbe essere punibile penalmente ai sensi dell’art. 170 cod. priv. (inosservanza di provvedimenti del Garante), ai sensi del quale “chiunque, essendovi tenuto, non osserva il provvedimento adottato dal Garante ai sensi degli articoli 26, comma 2, 90, 150, commi 1 e 2, e 143, comma 1, lettera c), è punito con la reclusione da tre mesi a due anni”.

Con il provvedimento del Garante la situazione sarà chiarita, ma tutto lascia presumere che sarà vietata la libera diffusione via Internet di tali dati: infatti la stessa Autorithy ha espresso il suo disfavore verso tale situazione in un comunicato stampa (l’accessibilità dei dati in rete non significa che essi siano di per sè liberamente diffondibili da qualunque utente della rete; la loro ulteriore diffusione può esporre a controversie e conseguenze giuridiche).

sabato 3 maggio 2008

Sulla pubblicazione delle dichiarazione di reddito

Posto questa lettera del garante della privacy pubblicata su "La Stampa" di oggi.

Caro Direttore,
ho letto con attenzione l’articolo di Federico Geremicca Colpi di coda e autorità deboli pubblicato sul suo giornale il 1° maggio.
Ho molto apprezzato l’equilibrio e l'attenzione con cui, tanto nell’articolo di Geremicca quanto nelle altre parti del giornale, è stato dato conto dell’intervento dell’Autorità e delle ragioni che lo hanno ispirato. Così come ho molto apprezzato l’invito rivoltoci a fare un ulteriore sforzo per concorrere, nell’ambito della nostra competenza, a definire le regole.
Purché siano sempre più chiare nel rapporto tra libertà di informazione e rispetto della privacy dei cittadini.
Consenta però, non solo al Presidente del Collegio del Garante ma anche a un torinese da sempre fedele lettore della Stampa e a un ormai davvero non più giovane professore di diritto costituzionale, una precisazione importante.
A me non pare che l'invito ai mezzi di informazione ad astenersi dal pubblicare i dati diffusi con le modalità oggetto della sospensione sia stato un segno di debolezza.
Tutta la vicenda è in corso di approfondimento, se non altro perché è necessario consentire alla Agenzia delle entrate di presentarci formalmente le sue eventuali deduzioni. Proprio per questo il Garante, nell'adottare un provvedimento di urgenza riguardo alla diffusione degli elenchi dei contribuenti in Internet, ha usato la formula dell'invito a sospendere.
Le modalità scelte dall'Agenzia delle entrate, del resto, non permettevano certo al Garante di pronunciarsi a favore della utilizzabilità dei dati, anche da parte dei mezzi di informazione titolari del dovere di assicurare sempre il diritto fondamentale dei cittadini ad essere informati.
Per questo abbiamo cercato di impedire che potessero sorgere nuovi problemi giuridici legati appunto all'uso di questi dati o eventuali contenziosi promossi dagli interessati. Allo stesso tempo, abbiamo voluto evitare che il nostro intervento potesse essere letto come limitativo del diritto-dovere di rendere noti i dati delle posizioni di persone che, per il ruolo svolto nella società, sono o possono essere di sicuro interesse pubblico, e per le quali addirittura vigono spesso specifici regimi giuridici di conoscibilità e di pubblicità.
Di qui l'invito ad astenersi dal diffondere o pubblicare i dati solo perché comparsi sul sito web. Sono infatti per lo più dati relativi alle posizioni di contribuenti «qualunque», generalmente del tutto prive di interesse per il pubblico, e la loro eventuale ulteriore diffusione, fondata unicamente sul modo col quale sono stati resi noti, non sarebbe facilmente giustificabile.
Si è trattato di un invito che in sostanza ha voluto richiamare l'attenzione sulla necessità di assicurare un pieno rispetto delle regole deontologiche e giuridiche che già disciplinano questo così delicato settore.
Del resto, come lo stesso Geremicca sottolinea, proprio questa è la linea che La Stampa ha seguito, dimostrando così di aver perfettamente compreso il senso del nostro invito.

Franco Pizzetti