Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


mercoledì 27 maggio 2009

Social network: attenzione agli effetti collaterali - Un opuscolo del Garante della privacy

Come tutelare la propria privacy ai tempi di Facebook, MySpace & Co.? Come difendere la propria reputazione, l'ambiente di lavoro, gli amici, la famiglia, da spiacevoli inconvenienti che potrebbero essere causati da un utilizzo incauto o improprio degli strumenti offerti dalle reti sociali?

Sono queste alcune delle domande a cui risponde la guida messa a punto dal Garante per la privacy "Social Network: Attenzione agli effetti collaterali". Non un manuale esaustivo, ma un agile vademecum sia per persone alle prime armi, sia per utenti più esperti, pensato per aiutare chi intende entrare in un social network o chi ne fa già parte a usare in modo consapevole uno strumento così nuovo.

La guida del Garante privacy
La guida è organizzata in quattro capitoli pensati in forma modulare, così da offrire a tutti i lettori elementi di riflessioni e consigli, adatti alla propria formazione e ai differenti interessi.

1. Avviso ai naviganti
Spunti di riflessione sul funzionamento dei social network e su alcuni dei principali rischi che si possono incontrare nell'uso dei social network.

2. Ti sei mai chiesto?
La semplice check list che ogni utente dovrebbe controllare prima di pubblicare su Internet i propri dati personali, le informazioni sulla propria vita e o su quella delle persone a lui vicine.
Per facilitare la lettura, le domande sono raggruppate in cinque sezioni, in base al tipo di lettori cui ci si rivolge: ragazzi, genitori, persone in cerca di lavoro, "esperti" e professionisti. In realtà, anche gli utenti esperti possono trovare domande interessanti nella sezione dedicata ai ragazzi, e viceversa.

3. Consigli per un uso consapevole dei social network
Il "decalogo" stilato dal Garante, con consigli utili per tenere sotto controllo i pericoli che si possono incontrare nell'uso dei social network.

4. Il gergo della rete
La spiegazione, rigorosamente non tecnica, dei termini informatici o delle espressioni gergali che si incontrano con maggiore frequenza nelle "reti sociali".


Scarica l'opuscolo:

http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1614258

martedì 26 maggio 2009

Intervista al prof. Pizzetti su "Internet e Privacy"

Professore, partiamo da Facebook. C’è un servizio che ha 11 milioni di utenti in Italia, che sospende le persone con messaggi in inglese cui non esiste un reale diritto di replica e di autodifesa, che ha “termini d’uso” scritti parzialmente in inglese. Lei non pensa che questa azienda dovrebbe avere un punto di rapporto con gli utenti del paese, qualcosa come un ufficio nazionale? Si fa fatica anche a trovare quello europeo…

Partirei dal fatto che la rete ha introdotto una nuova realtà. Ha duplicato la nostra esistenza, creando una dimensione non locale e “virtuale”, che ha regole del tutto diverse da quelle che vigono nella realtà in cui siamo vissuti per migliaia di anni. E’ però una dimensione che influisce - lo vedremo - sulla “vita reale”. E la globalizzazione, che internet ha reso possibile e che con internet ha interagito, ha creato un vuoto di regole, di autorità regolatrici sovranazionali e soprattutto un vuoto di consapevolezza nelle persone. Se guardassimo sotto questo aspetto alla crisi economica mondiale, potremmo trarne indicazioni molto utili…

E’ una dimensione problematica interamente nuova, che coinvolge il diritto, l’etica, il costume. Ovvio che si esplichi in alcuni fenomeni come i social network che sono globali in modo costitutivo. Contratti in lingue che le persone non conoscono, azionabili solo presso tribunali lontanissimi, ma anche condotte molto nuove, nelle quali le generazioni si separano. Pensi che contraddizione: ci sono giovani che posseggono la tecnologia ma sono del tutto indifesi nell’esposizione di sé e della propria vita, e “immigranti digitali” che per età potrebbero aiutarli ad essere più consapevoli, ma che non hanno le conoscenze per comunicare con loro in modo adeguato

Lei insiste molto sulla formazione del pubblico, delle persone. L’Autorità ha pubblicato un vademecum sui social network che andrà anche nelle scuole. Ma le faccio il caso di certe applicazioni Facebook che si presentano sotto l’aspetto del gioco, dell’intrattenimento, del test, che prelevano grandi quantità di dati, destinati ad essere usati successivamente. Come si regola l’Autorità, come si regolano le Autorità degli altri paesi su questo punto?

L’anno scorso è stata varata la “Carta di Roma” sui social network, un documento formale, approvato da tutte le autorità garanti. Propone una serie di raccomandazioni che poggiano su due concetti: è necessaria una comunicazione chiara agli utenti, ma è altrettanto necessaria la consapevolezza da parte delle persone della complessità del mezzo che stanno usando.

Dopodiché il problema che io sento è il pericolo di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Il pericolo cioè che per normare una dimensione che sfugge ad ogni definizione nota, si adottino regole che limitano in modo illegittimo la rete dal punto di vista della libertà degli individui. Anche nel modo di enunciare il problema c’è questa contraddizione tra un modo di ammonire e avvertire sui pericoli della rete, che può somigliare al genere narrativo dell’orco delle favole, e dall’altra il permanere di un far west dove i più deboli sono privi di tutela.

Ma lei sembra più preoccupato del processo generale…

Viviamo una novità assoluta. Una realtà che si dematerializza e si trasforma solo in dati e dove, quindi, il controllo di questi dati è fondamentale. Allo stesso tempo, ci troviamo a non avere alcuno strumento per esercitare questo controllo.

Sono molto impressionato, ad esempio, dalla cancellazione della distinzione tra passato, presente e futuro. Nasce una nuova linea temporale, dove passato presente e perfino il futuro si mescolano senza distinzione. Dove informazioni passate possono essere presentate, e prese in considerazione, prima di altre più recenti e corrette. Dove l’ordinazione di questi dati ubbidisce a criteri che non sono quelli dell’esattezza e della fedeltà.

Questa è una dimensione nuovissima, l’umanità non l’ha mai vissuta. Pensi al concetto di “rifarsi una vita” e a quello di autorappresentazione di sé. Una volta cambiavi paese, se ci riuscivi perfino l’identità, e avevi una ragionevole possibilità di rifarti una vita. Con internet è impossibile.

E ancora: io mando un curriculum al mio datore di lavoro, penso che questa mia presentazione basterà perché mi si valuti correttamente. Macché:, il datore di lavoro cerca con i motori e può trovare cose, magari remote nel tempo, che mettono in discussione l’immagine che ho dato di me. Ci sono casi di giovani che si vedono negare il lavoro per aver scritto di aver bevuto un bicchiere di troppo alla festa di laurea. Non credo che questa consapevolezza sia diffusa.

E “terrificante” e “entusiasmante” allo stesso tempo, è una sfida incredibile. Oggi è il mondo del diritto, forse il mondo dell’etica da ripensare. Di certo il mondo delle relazioni individuali. Cosa vuol dire vivere in un mondo in cui io non sono più padrone di rifarmi una vita? Cosa vuol dire vivere in un mondo in cui passato presente e futuro sono su una linea temporale unica?

Di certo significa che stiamo perdendo la possibilità di essere padroni della nostra autorappresentazione. Con un certo uso del motore di ricerca, viene meno il principio di finalità del dato. Io consento all’uso dell’informazione su di me solo per certe finalità e in base alla rappresentazione che voglio dare di me nei diversi contesti. E invece rischio magari di vedermi rappresentano davanti a una comunità professionale attraverso un’informazione fornita ad altri o per un comportamento sbarazzino di dieci anni prima.

Ora fino a questo punto della storia noi abbiamo vissuto in una dimensione in cui era possibile nascondersi, selezionare le informazioni da far conoscere e quindi autorappresentarci. La perdita di questa dimensione non è ancora chiara a tutti noi: l’autorappresentazione non è più nelle nostre mani. Per citare Bunuel: che fine ha fatto il “fascino discreto della borghesia” in internet?

Ma questo sposta la sede per le autorità della privacy: da Roma a Bruxelles, a New York, dove?

Col passaggio dalla realtà “reale” a quella virtuale le autorità per la privacy hanno completamente cambiato ruolo…

Scusi l’interruzione, ma se le propongo come tema che forse sarebbe meglio chiuderle?

Ci sto arrivando…le autorità si sono trovate sulla frontiera più moderna. Perché devono creare la precondizione per una vita libera e democratica. Una volta si trattava di garantire la sicurezza fisica delle persone come precondizione della vita sociale e civile, della libertà. Nella realtà virtuale la chiave è la sicurezza dei dati che circolano sulla rete e sui dati individuali. Il compito è spaventosamente difficile …

Sappiamo cosa abbiamo perso ma non sappiamo qual è il mondo nuovo. In questa situazione c’è la tendenza, tra i legislatori, a trasferire le norme della realtà “reale” sulla realtà virtuale… come se bastasse…

Certo, avessimo magari un problema e ci fosse bisogno di “una” soluzione sarebbe più semplice. Ma siamo di fronte al cambiamento di una dimensione della vita umana che incide nel rapporto fra uomo e mondo, fra uomo e natura. Non capisco gli uomini politici che non colgono fino in fondo questa complessità, che può far tremare le vene e i polsi, che ci fa sentire indifesi.

I motori di ricerca: ci sono tempi di conservazione dei dati che sono assai discutibili. Ma ancora più dicutibile è la tendenza ad accettare le autodichiarazioni dei motori sulla correttezza delle loro procedure sull’uso dei dati… Penso a certe affermazioni di Google sul funzionamento di AdSense. Bisogna accontentarsi delle loro parole?

Sulla conservazione dei dati c’è stato un lavoro a livello europeo, Google ha preso degli impegni sui tempi di mantenimento. E’ vero, continuiamo ad aver fiducia nelle dichiarazioni di queste strutture, ma non sfuggo al problema se la metto in altri termini: è più pericoloso cosa può sapere Google di me o cosa può sapere il mio vicino di casa su di me tramite Google?

Possiamo anche preoccuparci della “profilazione”, ma perdiamo di vista l’impatto sociale del mezzo. Cosa succede quando un professore fa lezione ma i suoi studenti possono vedere via Google cose relative alla sua vita passata che mettono in crisi il suo “standing” e il suo credito professionale. Non c’è un problema di ordinazione dei risultati? Di criteri ordinativi che non possono solo ubbidire al marketing o alla popolarità?

Temo che su questo non ci sia autorità di privacy che tenga
Invece se non vogliono avere un ruolo burocratico, le autorità possono fare molto per la consapevolezza delle persone. Sarebbe abbastanza facile mettersi a fare i controllori delle policy e delle pratiche di profilazione, ma il fulcro del problema non è questo.

Ultima domanda: dopo la legge francese Hadopi sui download illegali c’è chi, anche di fronte all’eventualità che un orientamento simile prevalga in Italia, ha sollevato obiezione di privacy sul problema dell’identificazione delle persone che effettivamente scaricano file su un certo indirizzo IP. La sua autorità era intervenuta su questo già in passato.
Noi in passato abbiamo ribadito che il gestore telefonico tiene traccia dell’indirizzo IP degli utenti solo per garantire la connessione. Lo abbiamo fatto sulla base dei principi fondamentali della protezione dati. Il fornitore di accesso non poteva fornire informazioni sul comportamento dell’utente in rete. Se non teniamo fermo il principio che i dati possono essere usati solo per le finalità per le quali se ne viene in possesso in virtù di un contratto o di una legge, si perde la bussola .

Se invece mi chiede sul fenomeno p2p , beh’ non possiamo asssistere con grande serenità alla vanificazione del diritto d’autore, trovo ragionevole remunerare chi mi fornisce un’opera dell’ingegno. Mi pare giusto fare in modo di superare il far west, ma mi pare che molti non si rendano conto dei pericoli insiti nell’estensione semplicistica alla rete di massicce attività di controllo.

Fonte:

http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/05/26/?ref=hpsbsx

domenica 17 maggio 2009

La pirateria informatica aumenta la popolarità delle star musicali

La battaglia delle major del disco contro la pirateria online non sembra conoscere sosta, come dimostra l'ultimo processo contro i fondatori di Pirate Bay in Svezia e l'approvazione della legge «tre errori e sei disconnesso» in Francia. Ma un nuovo studio realizzato in Inghilterra arriva a mettere in discussione alcune convinzioni che stanno alla base di questa crociata: davvero il file-sharing illegale sta danneggiando il mercato della musica? O, piuttosto, sta creando nuove possibilità di promozione per gli artisti? E, cioè, funziona per lo più come la vecchia radio e i videoclip in tv: maggiori passaggi equivalgono anche a più vendite?

LO STUDIO - Realizzato da Prs for Music (omologo inglese della nostra Siae) e dall'istituto di ricerca Big Champagne (che da anni analizza il mercato della musica sui circuiti illegali), il report conferma che gli artisti più piratati sono anche quelli che tendono a scalare più in fretta la classifica delle hit. Un esempio? Nell'ultima settimana di aprile il singolo di Lady GaGa «The Fame» è stato scaricato 338mila volte. Lo stesso vale per gli altri artisti della top 100: sono anche quelli più popolari sui servizi di file-sharing. «Trovarsi in testa alle classifiche dei file più scaricati spesso è il segnale di un successo anche nel mercato legale. In dieci anni di analisi non è mai successo che una hit nel mercato pirata non lo sia poi diventata anche in quello legale» spiegano gli autori. Per quanto possa sembrare paradossale, alla fine la pirateria aiuta le star a diventare ancora più popolari.

CODA CORTA - Lo studio smentisce anche la teoria della coda lunga di Chris Anderson, secondo cui la rete avrebbe allargato le opportunità di business per i prodotti di nicchia e segnato la morte della hit-parade. Sui servizi di file-sharing le attenzioni continuano a concentrarsi solo su una piccola fetta di artisti: l'80 per cento degli scambi riguarda il 5 per cento delle tracce; e spesso si tratta proprio delle hit del momento.

MODELLI DI BUSINESS - I servizi di file-sharing ma anche quelli di streaming su YouTube o MySpace quindi costituiscono ormai una potente alternativa promozionale ai circuiti tradizionali (radio e tv). Le industrie discografiche saranno probabilmente costrette a pensare a modelli di business in grado di legalizzare il file-sharing, facendo accordi con i fornitori di connettività.

I DISCOGRAFICI ITALIANI - «Il peer-to-peer è solo un amplificatore di notorietà - sottolinea però Enzo Mazza della Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana) - La promozione mainstream (radio, tv, ecc.) spinge i consumatori a correre sui sistemi peer-to-peer e cercare l'ultima star il cui brano è stato passato in radio o è stato visto in un videoclip. Se fosse vero l'assunto che il file-sharing promuove le vendite di hit, dovremmo trovarci un mercato florido e non con dischi che invece di fare un milione di copie ora ne fanno 500 mila».

Nicola Bruno
www.corriere.it

mercoledì 13 maggio 2009

La francia approva la legge anti p2p

Brutte notizie per chi “scarica” film e musica, in Francia arrivano le sanzioni penali e la sospensione del servizio, cioè della possibilità di connettersi ad internet come “pena” per i “pirati”. Lo ha deciso ieri l’Assemblea nazionale (e il Senato ha definitivamente confermato questa mattina). Ed è possibile che in Italia qualcuno voglia seguire l’impostazione di Parigi: questo sembra essere l’orientamento che viene portato all’interno del comitato tecnico contro la pirateria istituito presso la presidenza del consiglio italiana.

Il parlamento francese ha approvato ieri sera la legge che va sotto l’acronimo Hadopi (qui Le Monde - in francese). Pur se con una maggioranza inferiore a quella prevista, perché almeno 44 deputati tra quelli che sostengono il governo non l’hanno votata, la legge più discussa degli ultimi tempi è passata con 296 voti a favore contro 233. Il partito socialista, che è all’opposizione, ha annunciato già che si rivolgerà alla Corte costituzionale perché esamini questo testo “assurdo e inapplicabile”. Ma intanto la “Hadopi” oggi è legge dello stato francese (il testo - in francese).

Ecco in cosa consiste.

“Sanzione graduata in tre stadi” - Hadopi sta per Haute Autorité pour la Diffusion des Œuvres et la Protection des Droits sur Internet. Si tratta cioè di una autorità indipendente che viene istituita e che, una volta individuato l’utente che “scarica” illegalmente opere dell’ingegno, lo farà oggetto di un’azione in tre tempi: 1) una comunicazione via mail, in cui si rende noto che il comportamente dell’utente è stato individuato e lo si invita a cessarlo; 2) una lettera raccomandata che ripete in modo definitivo l’ingiunzione; 3) la disconnessione dalla rete internet. A questa sanzione si aggiungerà poi quella amministrativa. Per giunta l’abbonato colpito dovrà pagare il canone al provider per tutto il tempo di durata della sanzione, cioè anche mentre non usa la rete perché è stato privato dell’accesso.

Un dibattito nazionale, un conflitto internazionale - La legge Hadopi tuttavia non è una questione di destra e sinistra contrapposte. Si sono detti favorevoli al disegno anche attori e registi come Michel Piccoli e Luc Besson e gran parte dell’industria dell’intrattenimento è schierata a difesa dei propri diritti e contro i “pirati”. E tuttavia c’è una dimensione internazionale, europea, del problema che promette ulteriori evoluzioni.

Proprio pochi giorni fa la discussione sul “pacchetto telecom” (un gigantesco provvedimento che riformula 5 direttive sulle telecomunicazioni), in sede di parlamento europeo, si è chiusa, poco prima delle elezioni, con l’approvazione del cosiddetto emendamento 138 e il blocco dell’intero pacchetto.

Qual è il problema? Sta proprio nell’emendamento 138, che stabilisce una linea di principio: la connessione internet è un elemento di manifestazione della libertà di pensiero e non può essere in alcun modo fatto oggetto di sanzione di legge. Per intendersi: i sostenitori dell’Hadopi e difensori ad oltranza del diritto d’autore hanno definito questo testo: “emendamento salva p2p”, e intendevano dire: salvapirati.

Che qualche problema si ponga lo dice anche però il sostegno all’emendamento da parte di un fronte di giuristi e di blogger non immediatamente identificabili con posizioni estreme. Guido Scorza è uno di questi e nel suo blog, stamattina, parla di un “dibattito ai confini dell’Europa”. Dice a Repubblica: “E’ davvero assurdo che vi sia la pretesa di svolgere questo tipo di battaglia a livello locale e nazionale, mentre abbiamo a che fare con un mercato senza confini”. E nel suo blog aggiunge: “la decisione di approvare l’Hadopi non tiene in considerazione il pronunciamento che vi è appena stato in sede europea in favore della libertà d’espressione”.

Cosa c’è dietro i timori e le opposizioni a Hadopi? Semplice: per poter individuare chi sta scaricando è necessario che vengano svolte indagini che “entrano nel merito” di tutto il traffico internet che viene scambiato dagli utenti - nella legge francese ad opera delle forze di polizia, ma è già successo “altrove” che investigatori privati lo facciano su incarico delle industrie del settore. Tra le tecniche adoperate per farlo vi sono software che di fatto “frugano”, materialmente (il famigerato DPI che sta per Deep Packet Inspection) in ciò che le persone scrivono, trasmettono, ricevono. Insomma non è solo una questione di arte minacciata dai pirati…

fonte www.repubblica.it

martedì 12 maggio 2009

Gli italiani e la rete

Tre italiani su quattro (73,7%) hanno un computer a casa mentre un italiano solo su due (58,5%) utilizza internet, quasi tutti i giorni, soprattutto da casa con la connessione veloce adsl (84,5%), per cercare informazioni e utilizzare la posta elettronica.

È quanto emerso da un’indagine conoscitiva su un campione di 2.400 persone sull’assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, commissionata dalla IX commissione permanente della Camera dei deputati (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) e svolta dall’istituto Mides (Forum Pa).

Fra chi ancora non ha il pc (26,3%) la maggior parte (82,2%) non lo comprerebbe anche se ci fossero incentivi economici e comunque, anche se lo avesse, non navigherebbe sul web (74,2%). Chi non utilizza internet lo fa perchè non ha le competenze (46%) o perchè non gli interessa, non sa cosa sia e cosa offre (43%).

L’identikit di chi non va on line (41,5%): donna, oltre 50 anni, con titolo di studio elementare o di scuola media inferiore, casalinga o pensionata o coppia senza figli che vive in famiglia. Di questa fascia di persone, l’indagine indica come «irrecuperabili», che cioè non sono affatto interessati ad internet il 18,8%.

È ancora molto bassa (20,6%) anche la percentuale di coloro che usufruiscono di un servizio pubblico utilizzando internet: fra questi il 24% è rimasto molto soddisfatto, il 65,4% abbastanza soddisfatto, mentre l’8,9% lo è stato poco e l’1,6% per niente. Sono indicazioni del rapporto «Gli italiani e le nuove tecnologie» basato sull’indagine conoscitiva sull’assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, richiesta dalla IX Commissione permanente della Camera dei deputati (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) e svolta dall’istituto Mides (Forum Pa).

L’indagine - si legge nel rapporto - mette «in evidenza la necessità di un importante sforzo del sistema Paese per un deciso sviluppo delle comunicazioni elettroniche». Fra chi usa il web per i servizi della pubblica amministrazione, il 54,5% afferma che il servizio è rimasto invariato; per il 22,4% è migliorato mentre per il 14,6% è peggiorato. Chi non utilizza questi servizi spiega di non essere abituato (47,7%), di preferire il contatto diretto (31,6%), di non fidarsi (7,6%), di averci provato ma di non esserci riuscito (5,5%).

Fonte
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=6168&ID_sezione=38&sezione=News

domenica 10 maggio 2009

giovedì 7 maggio 2009

Per negare l'accesso a Internet servirà l'ordine di un giudice

L’Europarlamento ha bocciato a larga maggioranza, oggi a Strasburgo, le nuove norme Ue che avrebbero permesso alle autorità amministrative degli Stati membri di "tagliare" l’accesso a Internet degli utenti che scaricassero illegalmente contenuti sottoposti a copyright, così come prevede una legge attualmente in discussione in Francia.

Con 407 voti a favore, 57 contrari e 171 astenuti, gli eurodeputati hanno approvato in seconda lettura un emendamento - nell’ambito del compromesso complessivo con il Consiglio Ue sul pacchetto di riforma delle telecomunicazioni - in cui si conferma la posizione dell’Europarlamento secondo cui l’accesso a internet può essere negato in caso di downlaod illegale solo a seguito di un ordine del giudice, e non su semplice decisione amministrativa.

L’approvazione dell’emendamento ha fatto cadere l’intero testo sulla riforma delle Tlc, perché i negoziati di compromesso con il Consiglio Ue non prevedono modifiche e sono approvati solo se l’Europarlanento li accetta integralmente. Il pacchetto sarà ora rinviato al ’comitato di conciliazionè dove le due istituzioni comunitarie cercheranno un nuovo accordo sulla riforma, che mira a migliorare la concorrenza e la tutela dei consumatori sul mercato europeo delle telecomunicazioni. Quello della repressione del download illegale era ormai il solo punto controverso del pacchetto, fra l’Assemblea di Strasburgo e i governi dei Ventisette.