Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


giovedì 29 novembre 2007

Francia, giro di vite contro il p2p

Ritorno su un tema che appssiona ed interessa gli utenti della rete e di cui mi sono occupato in diversi post su un altro mio blog www.sirimarco.tiscali.it ai quali rimando.

Anche il popolo del web in Francia è in rivolta. Dopo aver fatto infuriare gli addetti al trasporto pubblico e gli studenti, Nicolas Sarkozy è riuscito ad attirarsi anche i fulmini degli internauti d'oltralpe (e non solo). A dar fuoco alle polveri la firma dell'accordo antipirateria, o se si preferisce, "per lo sviluppo e la protezione delle opere e dei programmi culturali sulle nuove reti", siglato dai provider, le major dell'audiovisivo e i poteri pubblici per contrastare il download illegale. Ma tra le associazioni dei consumatori c'è già chi parla di un'escalation repressiva nei confronti di internet, un tema che sta molto a cuore alle 12 milioni di famiglie francesi che hanno una connessione Adsl. La strada francese contro il p2p è fatta di liste nere e intese incrociate tra major e provider, una accordo definito "storico" da Sarkozy, che parla di "momento decisivo per l'arrivo di un internet civilizzato". L'inquilino dell'Eliseo, secondo i critici, usa gli stessi argomenti delle major: paragona gli atti di pirateria a dei "comportamenti medievali dove, con la scusa del digitale, ognuno può taccheggiare liberamente", e parla di "Far west di alta tecnologia", popolata di fuorilegge che possono "sottrarre le opere dell'ingegno senza farsi problemi o, peggio ancora, venderle nella più assoluta impunità. E sulle spalle di chi? Sulle spalle degli artisti". Per farsi aiutare in questa operazione, il presidente francese ha chiesto aiuto a un big del settore, ovvero Denis Olivennes, numero uno di Fnac, gigante internazionale della distribuzione di musica, film, videogames ed elettronica, attiva anche in Italia.
L'accordo, che Sarkozy definisce "solido ed equilibrato", prevede l'invio di email di "avvertimento" agli internauti che scaricano illegalmente da internet musica e film e, in caso di recidiva, l'interruzione o la sospensione del collegamento alla rete. E cambiare provider sarebbe impossibile. È infatti prevista la realizzazione di una black list degli utenti cattivi. Di fatto, sempre secondo i critici, è l'ufficializzazione del monitoraggio delle reti di sharing da parte delle major che altrove, come ad esempio in Italia, è invece messo sotto accusa per violazione della privacy degli utenti. A questo proposito va ricordato il recente caso Peppermint, una vicenda che si è conclusa con una doppia vittoria per i consumatori di casa nostra. Con due ordinanze pubblicate il 22 novembre 2007, il Tribunale civile di Roma ha confermato il suo orientamento più recente in materia di trattamento dei dati personali, affermando che nel settore delle comunicazioni elettroniche il diritto alla riservatezza dei dati personali degli utenti di servizi di telecomunicazioni prevale sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale su opere dell'ingegno. In Francia già esiste dall'anno scorso una legge a difesa del diritto d'autore con multe di 150 euro, per chi mette file a disposizione di altri internauti, e fino a 300.000 euro e tre anni di prigione per gli editori di programmi per lo scaricamento illegale di musica e video. Ma è la prima volta che anche i provider accettano di introdurre delle misure repressive. Sarà dunque creato un ufficio di supervisione dello scaricamento illegale. Il nuovo organismo potrà anche punire i provider che non si adegueranno in modo "congruo" alle disposizioni. Non solo: su diretto controllo del magistrato, l'Autorità potrà chiedere ai singoli provider di assumere le misure necessarie a prevenire o porre fine ai danni causati da un servizio di comunicazione online. Ma i consumatori sono in rivolta. L'Ufc Que Choisir giudica il rapporto uno strumento "molto duro, potenzialmente liberticida e antieconomico". Il dispositivo, secondo l'associazione, è contrario al rispetto della presunzione d'innocenza e alle garanzie procedurali previste a livello europeo. "E' inaccettabile - spiega Ufc - che il potere del giudice sia trasferito a un'Autorità dotata dei mezzi umani e tecnici necessari all'avvertimento e alla sanzione". Per la Ligue Odebi, invece, le nuove contromisure finiranno probabilmente per "far crollare le vendite dell'industria culturale, contrariamente all'obiettivo della missione Olivennes". E l'associazione April vede nel provvedimento le basi per "la realizzazione di una 'polizia privata del web' che spoglia i giudici delle loro funzioni e attenta al diritto alla difesa". Ma il testo prevede anche delle misure per incoraggiare lo scaricamento legale dal web. Le società che detengono i diritti degli autori, infatti, si sono impegnate a loro volta a mettere in linea, entro un anno, il repertorio della canzone francese (che equivale al 60 per cento delle vendite discografiche). I cinefili, invece, (e questo è l'unico punto valutato positivamente dai consumatori), non dovranno più aspettare sette mesi e mezzo, ma solo sei, per trovare un film in rete dopo l'uscita in sala. "Bastone e carota", dice Claudio Todeschini, editorialista di Tgmonline. "Chi scarica un film nel giorno dell'uscita in dvd, se non prima, non lo fa certo perché non ha voglia di uscire a comprarlo, ma solo perché non vuole pagarlo. E averlo a pagamento su un portale non costituisce certo un'alternativa". Comunque, nonostante l'interessamento delle parti in causa, per ora tutto questo è un memorandum di intesa. "La proposta Sarkozy - spiega ancora Todeschini - dovrà essere vagliata ancora da mille organismi e commissioni, che dovranno anche valutarne la dubbia legittimità". Insomma una procedura che richiederà ancora del tempo, e che potrebbe portare ad integrazioni e modifiche importanti. Ma non c'è dubbio che un primo passo importante sia stato fatto.
(29 novembre 2007)

lunedì 26 novembre 2007

Gli uomini che fanno funzionare l’Italia

Il dott. Patrizio Gravano mi ha inviato una sua recensione scritta sul libro di Luigi Tivelli, Chi è Stato? Gli uomini che fanno funzionare l'Italia, Rubbettino, 2007, pp. 226. Ricordo che Gravano e Tivelli sono tra gli autori degli scritti contenuti nel volume da me curato dal titolo Informatica diritto e filosofia. Saggi di informatica per le scienze giuridiche, in corso di stampa presso l'editore Aracne.

Non è facile, in poche righe, recensire il bel libro di Luigi Tivelli (Chi è stato? Gli uomini che fanno funzionare l’Italia, Rubbettino – RAI ERI). Nello sterminato panorama dell’editoria nazionale ecco l’imminente comparsa dell’ultimo libro di Luigi Tivelli (consigliere parlamentare che nell’ultimo decennio ha operato come civil servant al servizio dei vari governi che si sono succeduti) dedicato ad alcuni (per nostra fortuna non sono gli unici!) tra i più bravi grand commis italiani, che con il loro costante e sempre efficace impegno hanno contribuito a far funzionare le nostre Istituzioni, il nostro Stato. Questo ultimo volume di Tivelli è infatti impostato su una scelta dei protagonisti basata su un criterio di autorevolezza e competenza.
I dieci capitoli del libro sono dedicati a personaggi del livello di Antonio Maccanico e Lamberto Dini, già grand commis d’Etat ed ora Senatori della Repubblica, Gaetano Gifuni (per molti anni autorevole, rigoroso e riservatissimo Segretario generale del Quirinale) e Andrea Monorchio (già Ragioniere generale dello Stato), Antonio Catricalà e Corrado Calabrò (entrambi attualmente al vertice di due autorità garanti, quella della concorrenza e del mercato e quella per le telecomunicazioni rispettivamente), Carlo Mosca (già capo di Gabinetto di alcuni ministri dell’Interno ed ora Prefetto di Roma) e Sergio Vento (grande diplomatico ora prestato al mondo degli affari), Mauro Masi (autorevole Capo di Gabinetto proveniente dai ranghi della prestigiosa Banca d’Italia) e Gianni Letta (già Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ai tempi del Governo Berlusconi).
L’autore, con sapiente abilità, porta avanti le sue riflessioni coordinandole e integrandole con quelle, sempre misurate e ben argomentate, dei suoi prestigiosi interlocutori. Le loro autorevoli opinioni sul funzionamento degli apparati pubblici, le loro rigorose e asettiche analisi del rapporto tra cittadini e Istituzioni, non sono certo un contributo alla cicalecciocrazia imperante, già pesantemente attaccata dall’autore in un suo precedente saggio (Questionando. Le sei questioni che bloccano l’Italia, RAI – ERI) ma, al contrario, offrono interessanti spunti e adeguate chiavi di lettura per cogliere i più rilevanti aspetti critici e problematici della nostra alta burocrazia.
“I nati per caso”. Così sono stati definiti i nostri grandi burocrati. E già nel definirli burocrati rischiamo di offenderli, non fosse altro per la considerazione che nel nostro paese si ha delle classi burocratiche, fatit comunque salvi alcuni casi particolari come quelli rappresentati dalle burocrazie parlamentari, dalla diplomazia e della Banca d’Italia, da sempre ritenute, da parte del grande pubblico, a ragione, inefficienti e spendaccione.
L’autore, molto opportunamente, nella sua introduzione mette in risalto le differenze nella formazione delle classi dirigenti pubbliche italiane rispetto a quanto avviene in altri paesi di elevata tradizione burocratica, come la Francia (ove l’Ena contribuisce a “sfornare” i migliori cervelli burocratici) e il Regno Unito (caratterizzato dalla presenza di alcuni college-fucina di civil servant).
I nostri grand commis, lungi dall’essere una delle tante intoccabili caste italiane, finiscono purtroppo per costituire una ristretta e sparuta pattuglia di persone destinate, ancora ai giorni nostri, ad operare in una Pubblica Amministrazione “a macchia di leopardo”, anche se, come lo stesso autore ricorda, “le macchie bianche”, soprattutto a livello centrale, comincino a prevalere su quelle nere.
Un libro molto atteso nei Palazzi del potere e nella Roma politica, molto utile per comprendere a fondo gli aspetti cruciali di alcune funzioni chiave dello Stato, per cogliere le ragioni profonde della carenza diffusa, davvero a tutti i livelli, del senso dello Stato, della decadenza della politica, della crisi delle classi dirigenti, ma anche della assenza del senso civico, sempre più sostituto dall’emergere a ogni livello di un pericoloso “senso cinico”. Mali che hanno radici profonde e che difficilmente potranno essere risolti senza una condivisione di valori che sembra del tutto irrealizzabile nell’attuale contesto politico, dominato dalle spinte dell’antipolitica.
Merito e concorrenza sono due valori che sintetizzano la ricetta proposta dall’autore per risolvere i problemi di un paese e di una società caratterizzata da sempre nuovi fermenti. Privilegiare dunque il merito in un Paese affetto dal “mal di merito”, rifuggendo quindi dalla spartizione partitocratica e clientelare che per molti decenni ha caratterizzato l’accesso all’alta burocrazia e dall’uso dissennato del sistema delle spoglie (spoils system), malamente importato dall’esperienza amministrativa nordamericana, che ha finito con il sopprimere di fatto il principio costituzionale dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Questa è una delle tante “lezioni” che possiamo apprendere dalla lettura di un testo plastico e lineare ove le vicende del Paese si intersecano con le vicende umane e professionali di alcuni grandi servitori dello Stato impegnati in settori chiave quali la diplomazia, le telecomunicazioni, la concorrenza e il mercato, i rapporti istituzionali.
La lettura del testo offre davvero tanti spunti di riflessione aiutandoci a capire dove stanno i mali che affliggono il nostro paese, quali le possibili vie d’uscita, costituendo, al contempo, un momento di riflessione su fatti importanti della vita istituzionale italiana come si evince dalla lettura dei capitoli dedicati a Antonio Maccanico e Lamberto Dini ben testimoniano.

Patrizio Gravano

mercoledì 21 novembre 2007

Una Carta dei diritti del web - di Stefano Rodotà

La mia studentessa Francesca Gaudenzi ha segnalato questo interessantissimo articolo di Rodotà su "La Repubblica" del 20 novembre sul tema nevralgico della governace di Internet. Lo posto alla vostra attenzione.

Quasi nelle stesse ore in cui a New York una commissione dell'Onu approvava con uno storico voto la proposta di moratoria della pena di morte, a Rio de Janeiro il rappresentante delle stesse Nazioni Unite chiudeva il grande Internet Governance Forum affermando che i molti problemi che si pongono in rete richiedono un Internet Bill of Rights.
Accosto questi avvenimenti, che possono apparire lontani e qualitativamente assai diversi, per tre ragioni. In entrambi i casi è balzata in primo piano l'importanza di una politica globale dei diritti. In entrambi i casi non siamo di fronte ad un definitivo punto d'arrivo, ma ad un processo che richiede intelligenza e determinazione politica. In entrambi i casi il risultato è stato reso possibile da una lungimirante iniziativa italiana.
Per la pena di morte si trattava di onorare una primogenitura culturale, quasi un dovere verso una storia che porta il nome di Cesare Beccaria e della Toscana, primo Stato al mondo ad abolire nel 1786 quella pena, "conveniente solo ai popoli barbari", come si espresse il Granduca Pietro Leopoldo.
Tutta diversa la situazione riguardante Internet, visto che l'Italia non può certo essere considerata un paese di punta nel mondo dell'innovazione scientifica e tecnologica. E tuttavia proprio da qui è partito, negli ultimi due anni, un movimento che ha progressivamente coinvolto ovunque settori sempre più larghi, dimostrando così che la buona cultura è indispensabile per una buona politica. Quale politica, allora? Il risultato finale di Rio è stato possibile grazie anche al fatto che, un giorno prima, era venuta una dichiarazione congiunta dei governi brasiliano e italiano che indicava proprio nell'Internet Bill of Rights lo strumento per garantire libertà e diritti nel più grande spazio pubblico che l'umanità abbia mai conosciuto.
Ma questa svolta, assai significativa, esige ora una adeguata capacità di azione. Nelle discussioni che hanno preceduto la dichiarazione, il ministro brasiliano della cultura, Gilberto Gil, aveva esplicitamente evocato la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Siamo di fronte ad una situazione che sta diventando paradossale. Ancora sottovalutata e osteggiata da più d'uno in Europa, la Carta sta diventando un punto di riferimento costante per tutti quelli che, in giro per il mondo, sono impegnati nella costruzione di un nuovo sistema di garanzia dei diritti, tanto che studiosi statunitensi hanno parlato di un "sogno europeo" che prende il posto del loro "sogno americano". E' tempo, dunque, che l'Unione europea abbia piena consapevolezza di questa sua forza e responsabilità verso l'intera "comunità umana", com'è detto esplicitamente nel Preambolo della Carta dei diritti. Proprio perché conosciamo bene i limiti dell'influenza dell'Europa, il suo futuro politico si lega sempre più nettamente alla capacità d'essere protagonista di questa planetaria "lotta per i diritti".
In questa prospettiva, l'Internet Bill of Rights fornisce una occasione preziosa. Proprio perché dall'Onu è venuta una insperata apertura, è indispensabile rafforzare e rendere concreto il processo così avviato. Indico le prime tappe di questo cammino. La dichiarazione italo-brasiliana è aperta all'adesione di altri Paesi. Non è una operazione facile. Ma il ministro degli Esteri ha dato prova di grande intelligenza politica nel guidare il processo verso il voto sulla moratoria della pena di morte, sì che si può pensare che non sarà indifferente rispetto a questa diversa opportunità. Più agevole dovrebbe essere una azione volta a far sì che, proprio come è accaduto per la moratoria, l'iniziativa italiana si risolva in una più generale presa di posizione del Parlamento europeo. Qui, tuttavia, si apre una questione più generale. Mentre la Carta dei diritti fondamentali si avvia a diventare giuridicamente vincolante, e ad essa si guarda come ad un modello, la Commissione europea prende iniziative che, anche con discutibili espedienti procedurali, limitano grandemente la tutela di diritti fondamentali, ad esempio in materia di raccolta e conservazione dei dati personali. Si deve uscire da questa schizofrenia istituzionale, che vede le grandi proclamazioni sui diritti troppo spesso contraddette da concrete e forti limitazioni, democraticamente pericolose e tecnicamente non necessarie o sproporzionate. Una terza via d'azione riguarda le stesse Nazioni Unite. Poco tempo fa Google, consapevole della necessità di prevedere più forti garanzie per i dati personali, ha proposto l'istituzione presso l'Onu di un "Global Privacy Counsel". L'indicazione va raccolta perché offre uno spunto concreto per cominciare a riflettere sulla futura presenza dell'Onu in questo settore. Ma, soprattutto, quella proposta pone un problema più generale. Nel corso di quest'anno abbiamo assistito ad un forte attivismo del mondo economico. Oltre alla proposta di Google, vi è stata una iniziativa congiunta di Microsoft, Google, Yahoo!, Vodafone, che hanno annunciato per la fine dell'anno la pubblicazione di una Carta per tutelare la libertà di espressione su Internet. In luglio Microsoft ha presentato i suoi Privacy Principles. Ma è possibile lasciare la tutela dei diritti fondamentali su Internet soltanto all'iniziativa di soggetti privati, che tendenzialmente offriranno solo le garanzie compatibili con i loro interessi e che, in assenza di altre iniziative, appariranno come le uniche "istituzioni" capaci di intervenire? Si può accettare una privatizzazione della governance di Internet o è indispensabile far sì che una pluralità di attori, ai livelli più diversi, possa dialogare e mettere a punto regole comuni, secondo un modello definito appunto multistakeholder e multilevel?
L'Internet Bill of Rights, infatti, non è concepito da chi lo ha immaginato e lo promuove come una trasposizione nella sfera di Internet delle tradizionali logiche delle convenzioni internazionali. La scelta dell'antica formula del Bill of Rights ha forza simbolica, mette in evidenza che non si vuole limitare la libertà in rete ma, al contrario, mantenere le condizioni perché possa continuare a fiorire. Per questo servono garanzie "costituzionali". Non dimentichiamo che Amnesty Internacional ha denunciato il moltiplicarsi dei casi di censura, "un virus che può cambiare la natura di Internet, rendendola irriconoscibile" se non saranno prese misure adeguate. Ma, conformemente alla natura di Internet, il riconoscimento di principi e diritti non può essere calato dall'alto. Deve essere il risultato di un processo, di una partecipazione larga di una molteplicità di soggetti che si sono già materializzati nella forma di "dynamic coalitions", gruppi di diversa natura, nati spontaneamente in rete e che proprio a Rio hanno trovato una prima occasione di confronto, di lavoro comune, di diretta influenza sulle decisioni. Nel corso di questo processo si potrà approdare a risultati parziali, all'integrazione tra codici di autoregolamentazione e altre forme di disciplina, a normative comuni per singole aree del mondo, come di nuovo dimostra l'Unione europea, la regione del mondo dove più intensa è la tutela dei diritti. Le obiezioni tradizionali - chi è il legislatore? quale giudice renderà applicabili i diritti proclamati? - appartengono al passato, non si rendono conto che "la valanga dei diritti umani sta travolgendo le ultime trincee della sovranità statale", come ha scritto benissimo Antonio Cassese commentando il voto sulla pena di morte. Nel momento stesso in cui il cammino dell'Internet Bill of Rights diverrà più spedito, già vi sarà stato un cambiamento. Comincerà ad essere visibile un diverso modello culturale, nato proprio dalla consapevolezza che Internet è un mondo senza confini. Un modello che favorirà la circolazione delle idee e potrà subito costituire un riferimento per la "global community of courts", per quella folla di giudici che, nei più diversi sistemi, affrontano ormai gli stessi problemi posti dall'innovazione scientifica e tecnologica, dando voce a quei diritti fondamentali che rappresentano oggi l'unico potere opponibile alla forza degli interessi economici.
Né utopia, né fuga in avanti. Già oggi, all'indomani stesso della conferenza di Rio, molti sono all'opera e sono chiare le indicazioni per il lavoro dei prossimi mesi: inventario delle "dynamic coalitions" e creazione di una piattaforma che consenta il dialogo e la collaborazione; inventario dei molti documenti esistenti, per individuare quali possano essere i principi e i diritti alla base dell'Internet Bill of Rights (un elenco è nella dichiarazione italo-brasiliana); elaborazione di una prima bozza da discutere in rete. La semina è stata buona. Ma il raccolto verrà se saranno altrettanto fervidi gli spiriti che sosterranno le azioni future.

martedì 20 novembre 2007

La tesi è sul futuro di Second Life e a discuterla saranno gli avatar

Matteo Loddo e Alessandro Ciaralli saranno forse i primi laureandi a discutere la loro tesi di persona ma senza esserci. Saranno infatti i loro avatar a discuterla domani, 21 novembre, alla facoltà di architettura di Roma La Sapienza. Non la solita tesi ma una performance di 10 minuti in digital puppetry, una tecnologia che sfrutta l'idea dei "pupi siciliani" ma li trasforma in digitali in 3D, in cui i fili non sono quelli tradizionali ma fili digitali manovrati da una console nascosta. E la performance sarà la dimostrazione migliore dello stesso argomento della loro tesi: "Animazione in tempo reale di due personaggi realizzati in computer grafica tridimensionale". Più o meno chi si troverà nell'aula Magna di via Gramsci domani alle 11 avrà davanti una scena come questa: proiettore, schermo appeso alla parete di fronte alla commissione d'esame, su cui due avatar con la voce di Matteo e Alessandro interagiranno tra loro parlando, cantando, ballando, suonando il pianoforte e dimostrando tutto quello che si può fare con questo particolare tipo di realtà virtuale, che offre molte più possibilità rispetto a quella "standardizzata" di Second Life. Infatti i "puppet" diventano vivi, e non si muovono secondo schemi e gesti precostituiti, come avviene su Second Life. Possono infatti interagire tra loro e anche con il pubblico presente. I due tesisti saranno completamente invisibili ai presenti e manovreranno i loro pupi del terzo millennio da una sala a parte, dove ognuno avrà a disposizione una console speciale, un display a cristalli liquidi dotato di tecnologia multitouch pad con cui controllare i movimenti di dita, braccia, gambe e persino l'espressione facciale degli avatar, tutto in tempo reale. Come si farebbe con dei veri e propri fili digitali appunto. Alcuni gesti complessi, come le mosse di Kung Fu (in cui i due avatar si esibiranno) e gli inchini sono stat preregistrati e basterà uno sfioramento del touchpad per far partire l'azione.
Tutto il resto avviene in diretta, così se il pubblico o la commissione d'esame vorrà rivolgere domande ai due avatar potranno farlo tramite un microfono mobile messo a disposizione e i due personaggi virtuali risponderanno con la voce dei ragazzi- quelli veri- dotati di microfono. La tecnologia digital puppetry, con la Motion Capture (quella utilizzata da Gollum nel "Il Signore degli Anelli") infatti consente all'animatore di controllare l'animazione del volto, delle labbra, degli occhi, del corpo e delle dita, in perfetta sincronia con la propria voce. I due burattinai si muoveranno in una sorta di viaggio virtuale dagli anni 30 a oggi ricostruendo e commentando, anche presentando le loro slide nell'ambiente virtuale, l'evoluzione del cinema di animazione. L'ambiente intorno a loro cambierà di volta in volta con il passare degli anni. "Si tratta della prima tesi con questa tecnologia, almeno a quanto ne sappiamo noi" commenta Flaviano Pizzardi, correlatore dei tesisti e creative director di Pool Factory. "È la dimostrazione di come con questa tecnologia si può sviluppare un nuovo tipo di tv in cui i protagonisti sono puppet come questi. Esistono già per esempio alcune televendite che vengono realizzate con questa tecnologia".

di AGNESE ANANASSO
(20 novembre 2007)

giovedì 15 novembre 2007

Rubava mobili virtuali: arrestato ragazzo olandese

Parlavo a lezione qualche giorno fa del concetto di virtuale che non deve essere inteso come spesso si crede nel senso di "irreale", ma come nuova dimensione del reale. Eccovi una notizia apparsa su "Repubblica" di oggi che forse aiuta a rendere l'idea ...

Forse voleva solo rendere più bella e ricca la sua casa virtuale. Forse la sua paghetta, nella moneta del suo universo parallelo - come gli Habbo crediti, una sorta di Linden dollari dei piccoli - non era sufficiente per decorarla proprio come voleva lui. Oppure, meno poeticamente, ha solo pensato a tavolino ad una frode a danni degli altri inquilini della sua comunità in rete. Ma il furto di mobili, per quanto virtuali, può avere conseguenze assai reali: così è stato arrestato un ragazzo olandese di 17 anni, accusato di aver rubato pezzi di arredamento su Habbo, popolarissimo sito di networking in 3D per adolescenti, e di averli portati nella sua "stanza". Perché se gli oggetti sono solo visibili sul monitor di un computer, sono però stati acquistati con soldi molto veri: così l'hacker, con in tasca un bottino di 4000 euro, è finito nei guai. Insieme a lui la polizia ha interrogato altri cinque quindicenni. Secondo un portavoce della Sulake, l'azienda che gestisce l'Habbo Hotel, i sei hanno indotto persone ignare a consegnare loro le password e le proprie informazioni personali, creando falsi siti Habbo. La decisione di adottare una linea di tolleranza zero è dettata dagli eventi: nei mondi virtuali come Habbo, dove i ragazzi possono conoscersi, diventare amici per "fare una festa, lanciare palle di neve, costruire una piramide", come invita la homepage del sito, quella di rubare informazioni personali sta diventando una brutta e pericolosa abitudine: questo è il primo caso, esemplare, in cui la polizia è intervenuta.
Nel mondo di Habbo gli utenti possono creare i propri personaggi, decorare le loro stanze nell'hotel, incontrarsi, giocare e fare acquisti, appunto, con gli Habbo crediti. Costo? 6,25 euro per comprarne 60. Il gioco piace e la comunità prolifera: ogni mese sei milioni di persone giocano all'Habbo hotel in oltre 30 paesi. "E' un furto vero e proprio perché i mobili sono stati acquistati con soldi veri", dice alla Bbc un portavoce della Sulake. Ma come ci sono riusciti? L'unico modo è appropriarsi di username e password altrui, collegarsi, e rubare i pezzi di arredamento: dai tatami giapponesi ai comodini, alle cassettiere. Non è la prima volta che capita e ora si è deciso di fare qualcosa. Del resto, i furti virtuali sono in crescita: nel 2005 in Cina, un giocatore è finito pugnalato a morte per una lite su una spada durante un gioco. (15 novembre 2007)

lunedì 5 novembre 2007

Secondo i canadesi, il P2P aiuta le vendite di dischi

Posto questo articolo di Luca Castelli, La Stampa del 5/11/2007, che farà piacere a molti ... In fondo anche il link per chi volesse leggere la ricerca per intero.

Il download non autorizzato di brani musicali da Internet non ha effetti negativi sulle vendite di cd. Anzi, chi scarica musica online potrebbe avere una propensione maggiore all’acquisto di dischi. Nel complesso, comunque, non esistono relazioni dirette e provate tra i due fenomeni. Sono questi alcuni tra i risultati più interessanti di una ricerca commissionata dalla commissione governativa Industry Canada e condotta su un campione di circa duemila cittadini canadesi. Lo studio è stato pubblicato la scorsa settimana sul sito di Industry Canada e farà di sicuro storcere il naso ai rappresentanti dell’industria discografica, che da sempre indicano nella pirateria multimediale la causa principale del crollo delle vendite di dischi. Secondo lo studio, in realtà i download online funzionerebbero da traino per l’acquisto dei cd, in una misura che viene anche quantificata: per ogni download mensile l’utente avrebbe una propensione all’acquisto di 0,44 cd in più all’anno.Quella proveniente dal Canada non è certo la prima ricerca sull’argomento. Dai tempi di Napster, studi del genere vengono proposti con frequenza e distribuzione geografica regolare (ne abbiamo anche diversi esempi in Italia). Semmai, è interessante la natura indipendente della commissione che ha promosso l’iniziativa. Di solito i sondaggi vengono sponsorizzati dall’industria discografica o dalle associazioni sostenitrici del filesharing: puntualmente, i primi criminalizzano il P2P e i secondi lo scagionano. In questo caso non sembrano esserci doppi fini.Un altro aspetto significativo della ricerca canadese lo si trova nell’elenco dei risultati. Se gli autori non vedono correlazioni tra il download di musica online e la crisi del mercato discografico, suggeriscono invece che i proprietari di lettori MP3 portatili potrebbero essere tendenzialmente meno portati all’acquisto di cd. A tenere lontani gli appassionati di musica dai negozi di dischi, insomma, potrebbe essere il successo di gadget come l’iPod, che stanno costruendo e diffondendo un’esperienza d’ascolto completamente diversa rispetto al passato: l’unica conosciuta dalle giovani generazioni, che magari di dischi non ne hanno mai comprato uno.

+ The Impact of Music Downloads and P2P File-Sharing on the Purchase of Music: A Study for Industry Canada (il testo della ricerca, in inglese)