Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


giovedì 29 gennaio 2009

Ancora su Internet e privacy

Internet e i social network hanno rivoluzionato la nostra vita relazionale: primo fra tutti Facebook, in testa a tutte le classifiche con oltre 150 milioni di utenti nel mondo di cui 6,5 milioni italiani; seguito da MySpace, Hi5, Flickr, Skyrock, Friendster, Tagged, LiveJournal, Orkut, Fotolog, Bebo.com, LinkedIn, Badoo.com...secondo l'ultima ricerca Alexa.com. Ma bisogna saperli usare. I neofiti della Rete sono i soggetti più a rischio di furto di identità e di altri dati personali, soprattutto la mancanza di cultura digitale rischia di vedere molti utenti incappare in errori di cui prima o poi si pentono online: anche solo perchè online, scripta manent. Spesso per sempre. Quindi se non si sta attenti a quello che si pubblica, dalle foto alle confessioni personali, addio riservatezza.

Per evitare un uso dei social network (e di tutta Internet!) inconsapevole, per esempio del fatto che i propri dati personali possono non scomparire mai e quindi vanno maneggiati con cura, oggi il Garante della Privacy ha indicato alcune regole per l’auto-regolamentazione degli utenti durante una tavola rotonda all’Università Cattolica di Milano nella Giornata Europea della protezione dei dati personali.

"Serve un antivirus umano" ha dichiarato Mauro Paissan, componente dell'Autorità Garante per la protezione di dati personali, nella sua relazione introduttiva. E il presidente Francesco Pizzetti ha tracciato un elenco dei rischi che è bene conoscere: «Una volta messi sulla Rete, i dati personali di un utente sono difficilmente cancellabili; un numero enorme di persone può conoscere le vostre confessioni più intime e chiunque - aziende private, pubbliche amministrazioni, professionisti, sconosciuti - potrà raccogliere un’enorme quantità di informazioni che vi riguardano e farne l’uso che vuole. Ma ci sono profili ben più gravi, come quelli che riguardano la reputazione, che vanno considerati. Secondo una recente ricerca il 77 % di chi recluta personale cerca possibili candidati sul web e il 35% di loro afferma di aver eliminato un candidato sulla base di informazioni scoperte navigando in rete. Se si tratterà di decidere chi assumere tra due candidati allo stesso livello avrà la peggio quello dei due che, senza pensarci bene, ha messo a disposizione nel suo social network dati e informazioni che possono danneggiarlo».

Per evitare questi problemi occorre che la privacy e la libertà possano convivere. Per questo il Garante, anche sulla scorta di quanto messo a punto anche delle Autorità Garanti di tutto il mondo riunite a Strasburgo nell’ottobre 2008, ha dato un elenco di raccomandazioni agli utenti affinchè valutino bene quali informazioni pubblicare.

«Ma anche i fornitori di servizi di social network devono essere sottoposti ad una serie di obblighi - ha spiegato Pizzetti - questi devono prevedere configurazioni tecniche orientate a favorire la privacy degli utenti ed informarli in modo corretto e trasparente sulle conseguenze che potrebbero derivare dalla pubblicazione di dati personali in un profilo. Devono inoltre garantire che i dati degli utenti non siano rintracciabili dai motori di ricerca se non con il loro previo consenso. Agli utenti deve essere consentito di cancellare ogni informazione pubblicata sul social network».

Un tema complesso e controverso, che non si esaurisce in una tavola rotonda.

ECCO IL DECALOGO x gli utenti:

AUTOGOVERNO - Pensarci bene prima di pubblicare propri dati personali (soprattutto nome, indirizzo, numero di telefono) in un profilo-utente.

USO CONSAPEVOLE - Tenere a mente che immagini e informazioni possono riemergere, complici i motori di ricerca, a distanza di anni.

RISPETTARE I TERZI - Astenersi dal pubblicare informazioni personali e foto relative ad altri senza il loro consenso. Ci potrebbero essere ripercussioni penali.

CAMBIARE LOGIN E PASSWORD - Usare login e password diversi da quelli utilizzati su altri siti web, ad esempio la posta elettronica e per la gestione del conto corrente bancario.

ESSERE INFORMATI - Informarsi su chi gestisce il servizio e quali garanzie dà il fornitore del servizio rispetto al trattamento dei dati personali. Utilizzare impostazioni orientate alla privacy, limitando al massimo la disponibilità di informazioni, soprattutto rispetto alla reperibilità dei dati da parte dei motori di ricerca.

Ecco il decalogo per i fornitori:

FAVORIRE LA PRIVACY - I fornitori di social network devono prevedere configurazioni tecniche orientate a favorire la privacy.

INFORMAZIONE TRASPARENTE - Devono informare gli utenti in modo trasparente sulle conseguenze che potrebbero derivare dalla pubblicazione di dati personali in un profilo.

GARANTIRE NON RINTRACCIABILITÀ DATI - Devono garantire che i dati degli utenti non siano rintracciabili dai motori di ricerca se non con il loro previo consenso.

LIMITARE VISIBILITÀ INTERO PROFILO - Agli utenti deve essere consentito di limitare la visibilità dell’intero profilo, così come il recedere facilmente dal servizio e di cancellare ogni informazione pubblicata sul social network.

sabato 24 gennaio 2009

L'antivirus non basta più il vostro pc si difende così

ALL'INIZIO era una cascata di lettere verdi su uno schermo nero, come nelle scene più cupe di Matrix. Ora c'è Lord Voldemort. Allora, anni anni 80-90, erano ragazzini che si misuravano con la loro bravura, anche un po' matti, mettevano in giri quei programmini-bomba. Non che non fossero tempi difficili, poteva capitare di perdere un anno di lavoro dal pc, se non avevi fatto una copia di sicurezza. E ogni settimana dovevi aggiornare l'antivirus. Lo stesso concetto ci sfuggiva: una leggenda metropolitana dice che l'impiegata di un ministero romano, sentendo dire che sul suo computer c'era un virus, chiese guanti di plastica alla direzione. Poi ci insegnarono che un virus è un programma, come tutti gli altri, ma che raggiunge uno scopo suo, estraneo alla volontà del proprietario del computer.

"Oggi - dice Alberto Berretti, matematico e docente di sicurezza informatica a Roma 2 - siamo alla terziarizzazione del crimine informatico. Computer di ignari cittadini possono essere adoperati per scopi grigi o criminali tout court. Regna una raffinata divisione del lavoro: chi scrive il virus non conosce chi lo distribuisce, e chi lo utilizza per scopi commerciali è ancora un altro soggetto sconosciuto agli altri due. È un delitto perfetto, che non ha niente di mitologico, ma che si serve della capacità della rete di far cooperare insieme centinaia, migliaia di computer. Il classico "uso negativo" della tecnologia".

Quanto è serio l'allarme di questo virus Conficker, di cui si parla negli Usa?
"Con oltre nove milioni di computer infettati mi pare che la gravità si definisca da sola. È una cosa molto seria: basti pensare che la Microsoft, per far fronte a questo attacco ha rilasciato una correzione extra, eppure lo fa già su base mensile".

Una volta l'hacker era benigno, aiutava la tecnologia a migliorare se stessa
"Ciò che succede oggi non ha niente a che vedere con la visione dell'hacker romantico, pirata benevolo che per amor di conoscenza entra nei computer della Nasa. Qui siamo di fronte ad attività criminali su scala internazionale. Il virus lavora perché qualcun altro possa affittare a terzi il tuo computer".

Un attimo. Sarà meglio spiegare prima cosa c'entra il computer di casa del signor Rossi con il cyber crime internazionale?
"L'utente domestico è una vittima inconsapevole, anzi lo è il suo computer. I virus di cui parliamo oggi non hanno l'effetto plateale di bloccare tutto e di danneggiare la macchina, come succedeva una volta. Anzi quella gli serve intatta. Volano basso, l'utente non si accorge di nulla, sono stealth".

Come può una persona "normale" proteggersi da tutto questo?
"Aggiornando ogni mese il sistema operativo sul sito di Microsoft - è il prezzo del successo, i virus attaccano i sistemi Microsoft perché sono più diffusi degli altri - e tenendo sempre installata l'ultima versione dell'antivirus. Poi ci sarebbe qualcosa che dovreste fare voi dei media".

Disinformiamo? Abbiamo colpe? Sa, va di moda...
"Diciamo che il signor Rossi, grazie allo sviluppo della potenza di calcolo delle macchine e a Internet, ha in mano una Ferrari della conoscenza, va bene? E la Ferrari non si guida con la patente B. Ci vuole più esperienza. Allora c'è un flusso continuo di notizie da coprire: non è solo l'allarme virus, che pure è importante come dimostra questo caso, ma altri problemi, per esempio quelli che riguardano i difetti e i bachi di sicurezza nei programmi che si usano. Se ne trovano in continuazione. Se giornali e tv ci facessero più attenzione, con misura e competenza...".

Insomma l'utente "guida" la Ferrari a rotta di collo
"Non aggiornano l'antivirus, lasciano il sistema operativo come lo prendono dal venditore, vanno su qualsiasi sito, magari a cercare programmi copiati, i giochi soprattutto. Tengono il computer collegato 24 ore al giorno per scaricare qualsiasi cosa, e così prima a o poi...".

Si diventa Zombie, cioè membri forzosi di una "botnet"? È sanscrito: può spiegarlo?
"Una "botnet" non è niente altro che una rete di computer alla quale il pc che viene colpito dal virus viene associato, grazie a piccole quantità di informazione che vengono depositate nella macchina all'atto dell'infezione. È come se gli dessero un ordine sbagliato. Sono attività che l'utente non vede e che possono essere compiute da migliaia di computer che lavorano insieme ma rimanendo sparsi per il mondo. Sono "risorse" di operatività e connettività che altri possono affittare a soggetti interessati ad usarli".

Pornografia? Spie? La fantasia potrebbe scatenarsi
"Mah, in passato esisteva la cosiddetta Russian Business Network, una rete basata in Russia che svolgeva attività per soggetti che facevano phishing, quelli che ti dicono: siamo la tua banca, dacci la password. Oppure posso pensare che un sito che si occupa di prostituzione a un certo punto subisca un attacco e che subito dopo qualcuno lo contatti perché si affidi a provider di connessione più sicuro".

Questo succede col pizzo di mafia e camorra.
"E chi le dice che in questo "terziario" virtuale non viga la stessa logica?".

Lei delinea una quadro angoscioso per noi poveri utenti
"Non bisogna esagerare. Intendo, se il privato o l'azienda si proteggono, hanno fatto tutto il loro dovere, sono ragionevolmente al sicuro, non gli succede niente. E certo Internet non è una giungla. Ma è come in ogni città, c'è un quartiere malfamato, dove succedono certe cose. Le attività criminali hanno un versante economico, bisogna muovere soldi, contatti, informazione, e bisogno farlo in modo sicuro".

"Loro" fanno sicurezza informatica per i loro clienti togliendola agli utenti onesti?

"Si può dire anche in questo modo".

Non c'è il rischio di una mitologia negativa di queste cose, come per certi personaggi di Stieg Larsson, l'hacker Lisbeth Salander?
"Dobbiamo riparlare dei media? Negli Stati Uniti il Washington Post ha fatto una campagna meritoria contro tre reti di cyber crime, facendo ottimo investigative reporting. La Fbi li ha trovati e chiusi".

www.repubblica.it

venerdì 23 gennaio 2009

Internet: dono per l'umanità

Internet è un «vero dono per l'umanità» e deve essere accessibile a tutti. Parola di Benedetto XVI che nella 43esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, è tornato su un argomento negli ultimi tempi caro alla Chiesa, quello delle tecnologie digitali e del loro (corretto) utilizzo. Sarebbe «un grave danno» se non fossero accessibili a tutti, e specialmente ai più poveri e agli emarginati, ha sottolineato il Papa, ed «è gratificante vedere l'emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione. Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali».

RISPETTO DELLA DIGNITÀ - Un altro rischio di Internet è la circolazione di contenuti che promuovono «odio e intolleranza», che sfruttano «i deboli e gli indifesi» o di natura pornografica. «Coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media - scrive Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali - non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi».

BANALIZZARE L'AMICIZIA - Il Papa mette in guardia dal rischio di banalizzare il concetto di amicizia nelle reti sociali digitali, come Facebook o MySpace. «Il concetto di amicizia ha goduto di un rinnovato rilancio nel vocabolario delle reti sociali digitali emerse negli ultimi anni - scrive Benedetto XVI -. Tale concetto è una delle più nobili conquiste della cultura umana. Per questo motivo occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l'esperienza dell'amicizia. Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare online le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale». In conclusione ai giovani cattolici il Papa affida il compito di evangelizzare il «continente digitale», diffondendo la Buona Novella tra i loro coetanei, alla pari degli apostoli tra i popoli pagani del mondo greco-romano: «Sentitevi impegnati a introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita».

CANALE SU YOUTUBE - L'approccio del Vaticano alle tecnologie non è solo teorico: la Santa Sede ha aperto e presentato oggi un canale dedicato su YouTube, http://it.youtube.com/vaticanit, che offre una copertura informativa delle principali attività di Benedetto XVI e degli avvenimenti vaticani più rilevanti. Le immagini sono prodotte dal Centro Televisivo Vaticano (Ctv), i testi sono redatti dalla Radio Vaticana e dallo stesso Ctv. Audio e testo dei videoclip - l’ultimo è il suo messaggio per la pace in Medio Oriente - sono in inglese, spagnolo, tedesco e italiano. Presentando l'iniziativa padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, ha spiegato: «Siamo convinti che dappertutto ci siano persone attente e sensibili, interessate ai messaggi, alle proposte, alle posizioni sui grandi problemi del mondo d'oggi di una autorità morale di alto livello come il Papa, e in generale la Chiesa cattolica. Perciò la scelta di YouTube come piattaforma adatta per diventare presenti sulla Rete, in modo da poter offrire una fonte di riferimento attendibile e continua, aldilà dei moltissimi frammenti di informazione su Papa e Vaticano presenti sulla Rete in modo piuttosto casuale o disperso».

venerdì 16 gennaio 2009

Modificare la Playstation è reato

Anche le Playstation sono protette dal diritto d’autore ed è reato modificarle per caricare videogiochi non originali. La Cassazione riconosce alla «consolle» più amata dai ragazzi la patente di «opera dell’ingegno» e condanna chi vende chip in grado di modificare le Playstation per «utilizzare videogiochi masterizzati». La quarta sezione penale, con la sentenza 1243, ha confermato la condanna del socio di un’azienda di distribuzione di prodotti elettronici di Bolzano che attraverso il proprio sito Internet aveva «posto in commercio dei ’mod-chip’ destinati ad alterare il prodotto Playstation 2 e a consentire la fruizione di videogiochi masterizzati». Condannato in primo grado e assolto in appello, il commerciante si era visto annullare con rinvio dalla Suprema Corte la sentenza favorevole.
Già con la precedente decisione i giudici di piazza Cavour avevano spiegato che «i videogiochi sono qualcosa di più articolato rispetto ai programmi per elaboratore comunemente in commercio», aggiungendo che possono essere definiti «opere dell’ingegno complesse e multimediali». Insomma, la Playstation non è un semplice computer ma, a parere dei magistrati, una «macchina automatica per l’elaborazione dell’informazione». La Corte d’appello di Trento, che aveva inizialmente assolto il venditore di chip per le modifiche, ha quindi rivisto la propria decisione giungendo ad una sentenza di condanna. Inutile il nuovo ricorso in Cassazione, secondo la quale «se l’uso prevalente della Playstation modificata è quello di leggere videogiochi masterizzati», c’è violazione delle misure di protezione adottate dalla Sony (società produttrice della consolle) a tutela del diritto d’autore. In sostanza, l’azienda di Bolzano dovrà anche risarcire le spese del giudizio alla Sony, costituitasi parte civile.

giovedì 15 gennaio 2009

Internet, privacy, identità personale

"Buon compleanno, caro Marc. Il 5 dicembre 2008 festeggerai i tuoi ventinove anni". Comincia così un testo pubblicato nel numero di dicembre-gennaio del bimestrale Le Tigre. Testata poco conosciuta e alternativa e che è riuscita a fare quel che tutti temiamo, ma che in fondo pensiamo sia solo frutto dei nostri fantasmi: la biografia di un qualunque signor Rossi, ricostruita grazie a tutte le tracce lasciate su internet nell'arco di una decina d'anni. L'interessato, sgomento, l'ha scoperto poco tempo fa e ha protestato, ma inutilmente: tutto quel che si può trovare sul suo conto è pubblico ed è stato messo in rete da lui stesso.

La testata ha parzialmente accolto le proteste del giovane: se la rivista, in circolazione da settimane, non può più essere modificata, il testo presentato sul sito è stato reso anonimo, i nomi propri e le città sono stati cambiati (il vero Marc abita e lavora nella regione di Nantes, adesso il testo parla di Bordeaux e dintorni). Il direttore, Raphaël Meltz, ha tuttavia respinto tutte le accuse e non rimpiange la sua iniziativa: "Rendere pubblica la propria vita su internet è pericoloso, questo è il senso generale dell'articolo. Una volta sintetizzate, le informazioni pescate nella rete prendono all'improvviso un rilievo inquietante".

Basta qualche scampolo dell'articolo per capire che questo Marc è stato davvero un po' imprudente. E' stato scelto fra milioni di anonime persone perché ha pubblicato su Flickr, in due anni, la bellezza di diciassettemila foto. E già l'autore dell'articolo può cominciare a ricostruire una parte della vita: Marc lavora in uno "studio di architettura di interni", come si desume dal suo profilo su Facebook, e viaggia spesso per lavoro (in Canada, a Roma). In più ci sono le date dei viaggi: nell'agosto 2008 è a Montréal e c'è una sua foto in uno Starbuck's Café: "Bel viso, capelli piuttosto lunghi, un volto fine e dei grandi occhi curiosi". La vita di Marc si segue bene : si sa chi l'accompagna all'aeroporto, la data del matrimonio di due amici, la partecipazione al battesimo di una nipote. Basta ingrandire le foto per sapere anche con che marca di computer lavora.

Ma naturalmente si ritrova anche la vita privata. Basta dare un'occhiata al solito Facebook, in cui Marc si definisce come "celibe ed eterosessuale". Nella primavera 2008 ha una storia con Claudia, che lavora in un centro culturale. Il 'biografO' commenta : "E' affascinante, seni piccoli, capelli corti, belle gambe". Del resto, viene ritrovata anche la fidanzata precedente: Jennifer, sua compagna per due anni e una tipologia femminile molto simile. Poi ci sono le feste, gli incontri con gli amici. Tutto datato, tutto rigorosamente vero. E pubblico.

La rivista ha così scoperto che dieci anni fa Marc era in un'orchestrina di amici, ha ritrovato il suo telefonino, sempre sulla rete, e ha verificato che è ancora lui a rispondere a quel numero. E poi, quando Meltz ha voluto diventare amico di Marc su Facebook, che gli ha risposto chiedendogli chi fosse, il sistema gli ha consentito di accedere, senza nessuna pirateria, alla lista degli amici e alle informazioni di base. Le Tigre, insomma, ha ritrovato tutto, tranne il domicilio di Marc: sa in quale viale abita, ma non conosce il numero. E Marc non è sull'elenco telefonico.

Il malcapitato ha appreso dell'esistenza dell'articolo da una collega di lavoro (Le Tigre è una rivista scarsamente diffusa), ha telefonato alla redazione e c'è stato l'accordo che abbiamo detto. Poi un giornale locale ha dato pubblicità all'affare. Nel frattempo, Marc ha cercato di limitare l'accesso ai suoi dati e alle sue foto alle sole persone del suo entourage. "Ma per alcune notti non ho dormito", ha detto, preoccupato soprattutto perché nel testo apparivano i nomi di altre persone e soprattutto quello della ditta per cui lavora. Nonostante tutto, Marc non rinnega internet : "Resta un bellissimo strumento". A patto di stare attenti.

da www.repubblica.it

sabato 10 gennaio 2009

La filosofia al tempo di Internet

Che ruolo può svolgere la Filosofia nell'era di Internet? Punto Informatico ha interpellato Luciano Floridi, Professore di "Information Ethics" e "Philosophy of Information" ad Oxford, su come l'argomento tocchi Wikipedia, Google e gli altri fenomeni di massa dell'IT.

Punto Informatico: In questo momento quali sono le principali questioni aperte nella Filosofia dell'Informazione?
Luciano Floridi: Temo che la lista sarebbe lunga, tecnica e percio' forse un po' tediosa per le lettrici e i lettori di Punto Informatico. Provero' quindi a riassumere solo due punti salienti, semplificando.
Primo punto. Il rinnovamento della filosofia, una delle discipline più antiche e conservatrici del nostro sapere. Farla oggi, con metodologie (come i livelli di astrazione), teorie (come quella sui sistemi multiagente) e soluzioni tecniche (come quelle pertinenti le varie logiche create in ambito AI) fornite dall'informatica, permette di rinnovare lo studio di problemi secolari e aggiornare approcci concettuali ormai calcificatisi.

PI: Ad esempio?
LF: Si pensi alla questione dell'identità personale, e le classiche domande su chi siamo e chi vorremmo essere, o quanto la nostra identità dipenda dai nostri corpi, memorie o interazioni sociali.
Poter costruire e sperimentare molteplici identità online getta nuova luce su vecchie teorie e apre prospettive di indagine molto interessanti. Cambia inoltre il vocabolario concettuale, che si sta svecchiando e raffinando anche grazie all'IT (si pensi ai concetti di agente, rete, interazione, telepresenza e così via).
Secondo punto. La filosofia dell'informazione puo' e deve contribuire, con la sua capacità di analisi, comprensione e argomentazione logica, a chiarire e risolvere i nuovi problemi nati oggi da una società che definiamo appunto dell'informazione, e le nuove sfide dirette (si pensi al vandalismo informatico) o indirette (tipo la bioingegneria) poste dallo sviluppo delle tecnologie digitali. Gli esempi si potrebbero facilmente moltiplicare, ma forse la gestione e protezione della privacy sui dati personali rappresenta quello più ovvio e noto.

PI: Nell'articolo sulla Tragedia dei beni comuni digitali riprende il classico esempio di un bene comune considerato inesauribile (il mare), ma oggi in crisi per inquinamento e sostenibilità alimentare, paragonandolo al Web, a sua volta a rischio per la saturazione di banda da parte degli utenti P2P in caso di superamento del Digital Divide nella Infosfera. Quali soluzioni avete individuato tramite la disciplina della Etica Informatica?
LF: Ampliare l'approccio ambientalista anche alle realtà sintetiche e artificiali. L'ambientalismo è spesso visto in contrasto con lo sviluppo tecnologico, ma in realtà sono due "forze buone". Devono allearsi contro i veri nemici: lo spreco delle risorse, la distruzione di ricchezze naturali, storiche e culturali, l'inquinamento e impoverimento degli ambienti.
Manca ancora la consapevolezza che le giuste sinergie tra tecnologie informatiche e tali valori possono portare a soluzioni molto efficaci nello sviluppo e nel mantenimento ottimali sia degli ecosistemi biologici, sia di sistemi sintetici o artificiali altrettanto complessi come la Rete, sia di tutte le realtà costruite dall'uomo, basti pensare all'ecosistema del mondo aziendale.
La società non solo va sempre più globalizzandosi, sta anche aumentando l'interdipendenza: i beni comuni sono non solo biologici o digitali, ma soprattutto l'esito di interazioni simbiotiche tra il naturale e l'artificiale. Caso ben rappresentato dalla medicina e dalla sua dipendenza dall'IT, la cosiddetta e-Health. Ecco, in questo ampio contesto, la risoluzione della tragedia dei beni comuni digitali passa attraverso la consapevolezza e l'implementazione di valori ambientalistici.
Quello che ho definito come ambientalismo sintetico mostra quanto ecologia e tecnologia possano essere il binomio vincente per il progresso di una società dell'informazione avanzata.

PI: Come si inquadra un fenomeno quale le enciclopedie collaborative di natura wiki nell'epistemologia contemporanea? Vale il "Vox populi, vox dei"?
LF: Le enciclopedie collaborative, Wikipedia ma non solo essa, sono il fenomeno forse più vistoso di una trasformazione radicale più profonda ma anche meno visibile, nello sviluppo della conoscenza e quindi delle sua interpretazione.
Semplificando molto, dal Seicento, con Cartesio, fino alla metà del Novecento, con Wittgenstein, la conoscenza è stata di solito interpretata come un fenomeno stand-alone, si direbbe in informatica, cioè come se il soggetto conoscitore fosse un agente singolo, isolato e scollato dall'ambiente. Oggi, grazie alla rivoluzione digitale, stiamo comprendendo sempre meglio come essa si sviluppi, si organizzi, possa essere gestita e fruita al meglio soltanto in modalità online, ovvero tenendo conto dei sistemi distribuiti e multiagente di cui necessita.
Cartesio che identifica nell' "Io penso" la soluzione del fondamento della conoscenza, solo nella sua stanza davanti al focolare, o Newton che solo, sotto l'albero di mele, scopre la gravitazione universale, sono vignette al massimo di valore pedagogico elementare. Di fatto il sapere è un'impresa collaborativa, ci sono sempre meno geni isolati e sempre più reti di collaborazione, scuole, gruppi di ricerca.
Cio' non significa tornare alla vecchia idea per cui, se tutti la pensano in un certa maniera allora le cose devono stare in quel modo. Se così fosse, l'astrologia, data la sua popolarità, sarebbe una scienza invece che una frottola. La conoscenza è sì distribuita, multiagente e contestualizzata, ma le sue dinamiche sono anche molto strutturate e gerarchizzate, per ragioni di fondi, di capacità tecniche sempre più specialistiche e quindi rare, e quindi per ragioni di credibilità e di riconoscimento.
Tornando alle enciclopedie collaborative, esse sprigionano forze altrimenti non sfruttabili, dalle competenze scientifiche del grande laboratorio, in grado di correggere una voce, alla passione di un neofita in grado pur sempre di apportare qualche miglioria a voci di suo interesse. Non devono tuttavia essere confuse con la ricerca e l'avanzamento del sapere.

PI: In che modo?
LF: Sono dei depositi di ciò che già sappiamo. Ogni miglioramento conta e fa accrescere la qualità e il valore del tutto. E tanto migliore sarà il loro funzionamento tanto più facile sarà progredire nell'esplorazione di quello che è ancora ignoto. Ma Wikipedia è la prima tappa del percorso, non l'arrivo. Se si tiene presente questo punto, non si può negare che la democratizzazione dell'informazione, anche attraverso le enciclopedie collaborative, sia un fenomeno molto positivo e di grande arricchimento e facilitazione della nostre vita intellettuale.

PI: I motori di ricerca sono la Pizia dei giorni nostri?
LF: Questa è un'idea molto suggestiva. Direi che l'analogia è pertinente per quanto riguarda alcuni usi che vengono fatti dei motori di ricerca. Google, per esempio, a volte sembra essere usato come un tempo si ricorreva ai vati, per cercare risposte a qualsiasi domanda prema all'interessato. Ancor peggio, una nuova generazione di utenti impazienti sembra implicitamente adottare un approccio molto pericoloso: se il vate/Google non ne parla significa che l'oggetto in questione non esiste o è comunque trascurabile ed insignificante. Il limite dell'analogia sta nel fatto che i motori di ricerca non si compromettono, non perchè danno risposte misteriose che necessitano di interpretazione, ma piuttosto perchè ci danno moltissime risposte non sempre compatibili tra loro, e tra le quali sta poi a noi scegliere.
Riprendendo la precedente domanda, se due voci enciclopediche (anche solo due voci di Wikipedia, una italiana e l'altra inglese sullo stesso argomento) discordano, come possiamo decidere? Serviva molta scaltrezza per interpretare la Pizia. Direi che la stessa scaltrezza, anche se per motivi diversi, deve ancora essere esercitata per usare i motori di ricerca con intelligenza.

PI: Quali letture consiglierebbe a chi volesse approfondire gli argomenti trattati in questa intervista?
LF: Quasi tutti i miei scritti sono disponibili presso il mio sito. Purtroppo sono quasi tutti in inglese. La buona notizia è che Massimo Durante, ricercatore dell'Università di Torino, sta preparando un'antologia in italiano degli scritti più importanti da me pubblicati nello scorso decennio nell'ambito dell'etica informatica. Uscirà per la Giappichelli di Torino tra alcuni mesi.

a cura di Fabrizio Bartoloni