Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


martedì 18 dicembre 2007

Auguri di buon Natale

Sono nato nudo, dice Dio,
perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
perché tu possa soccorrere chi è povero.
Sono nato debole, dice Dio,
perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore
perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono una persona, dice Dio,
perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato perseguitato
perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità
perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,
per portare tutti alla casa del Padre

giovedì 6 dicembre 2007

La legge oscura

Una mia studentessa, Francesca Gaudenzi, mi ha mandato questo scritto che posto alla vostra attenzione.

“Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro, pochissimi” (Galileo Galilei)
“Le nostre leggi non sono purtroppo universalmente note […]. È estremamente penoso essere governati secondo leggi che non si conoscono” (Franz Kafka)

Il processo di cambiamento in atto nella Pubblica Amministrazione sta sollecitando interventi di riorganizzazione, adeguamento di competenze e modelli necessari alla ridefinizione dei ruoli e delle prassi lavorative.
In tale contesto, un ruolo fondamentale è rivestito dai processi di comunicazione con l’esterno, fondamentali per lo sviluppo di un sistema di relazioni sempre più ampio sul territorio e per il rafforzamento del ruolo istituzionale che le amministrazioni sono chiamate a svolgere.
Un’esigenza sempre più avvertita è quella di rendere comprensibile il linguaggio burocratico.

L’Agenzia delle Entrate ha avviato a partire dal 2001 una collaborazione con il Dipartimento degli Studi Italianistici dell’Universita’ di Pisa sulle problematiche legate al linguaggio amministrativo e sulle possibili soluzioni per la semplificazione delle tecniche di scrittura, che ha portato alla stesura di un manuale d’uso destinato ai dirigenti e funzionari delle Direzioni centrali.
Il primo capitolo della pubblicazione affronta il tema dell’oscurita’ e ambiguita’ degli enunciati normativi.
Ne riporto alcuni stralci:

Alla domanda “chi scrive le leggi?” la risposta da parte di giuristi e linguisti è univoca: “la burocrazia è il più grande legislatore”.
Michele Ainis, autore del libro “La legge oscura. Come e perché non funziona”, in merito osserva:
“L’universo semantico del burocratese si comunica al linguaggio delle leggi, lo vizia, lo corrompe: gran parte dei difetti della legislazione dipende dalla circostanza che quest’ultima a conti fatti è una succursale del linguaggio burocratico, sia perché i disegni di legge vengono concepiti non di rado negli uffici legislativi dei ministeri, sia perché la legge stessa […] si è ormai amministrativizzata, nel senso che regola questioni minute e di dettaglio, un tempo ascritte al dominio pressoché esclusivo dell’atto amministrativo”.
Tra le molteplici e multiformi conseguenze dell’amministrativizzazione della legge bisogna includere il fatto che il linguaggio del diritto, quasi per un processo di omologazione a rébours, ha assunto tratti peculiari del cosiddetto burocratese.
[…]alle difficoltà intrinseche del testo di legge si sono aggiunte quelle prodotte dall’uso-abuso di un codice di comunicazione scritta difficile, ostico, quando addirittura non criptato. Il testo giuridico da naturalmente difficile è divenuto oscuro.
Nel sistema società, in cui i rapporti sono regolati dalle forme e dai canali della comunicazione (tanto più oggi, in tempi in cui si parla di comunicazione globale), l’oscurità non può che essere problematica, non può che ingenerare discriminazione. Nella giurisdizione, poi, l’oscurità può avere conseguenze molto gravi: oltre un certo limite determina infatti la violazione di uno dei princìpi fondamentali, quello della certezza del diritto. E il diritto, come scrisse Norberto Bobbio in un saggio del 1951, “o è certo o non è”.
[…]”Dal momento che il diritto da applicare è rivestito della forma linguistica, la sua applicazione si deve bene o male adattare a questa forma. Le leggi della lingua sono immanenti alle leggi giuridiche” (Merkl, 1987).
La sentenza della Corte Costituzionale 364/1988 è stata definita storica dai suoi commentatori per avere letteralmente ridimensionato la portata dell’antica massima giuridica ignorantia iuris non excusat: con tale sentenza, è noto, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5 del codice di procedura penale “nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile”.
Tra i primi e principali fattori su cui la Corte richiama l’attenzione sono indicati “la chiarezza e riconoscibilità dei contenuti delle norme penali”. A questi presupposti di fatto si connettono due proposizioni imprescindibili e vincolanti:
1) che la “possibilità di conoscere la norma penale” è l’“autonomo presupposto necessario d’ogni forma d’imputazione”;
2) che ciò comporta “il contemporaneo adempimento da parte dello Stato di altri doveri costituzionali: ed in prima, di quelli attinenti alla formulazione, struttura e contenuti delle norme penali. Queste ultime possono essere conosciute solo allorché si rendano riconoscibili. Il principio di riconoscibilità dei contenuti delle norme penali, implicato dagli artt. 73, terzo comma e 25, secondo comma, Cost., rinvia, ad es., alla necessità che il diritto penale costituisca davvero la extrema ratio di tutela della società, sia costituito da norme non numerose, eccessive rispetto ai fini di tutela, chiaramente formulate, dirette alla tutela di valori almeno di rilievo costituzionale e tali da esser percepite anche in funzione di norme extrapenali, di civiltà, effettivamente vigenti nell’ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare”.
Tra i doveri dello Stato si annoverano, anzitutto, la formulazione, la struttura e i contenuti delle norme (verrebbe da aggiungere: “non solo penali”).
Tra i fattori individuati quali concause dell’ignoranza inevitabile della legge è esplicitamente segnalata “l’obiettiva oscurità del testo”, cioè l’oscurità dell’enunciato.
La sentenza costituzionale 364/1988 è di per sé una legittimazione e uno stimolo a lavorare sulla disposizione affinché si arrivi alla stesura di leggi chiare e il processo iniziato negli anni Sessanta diventi fattivo.

giovedì 29 novembre 2007

Francia, giro di vite contro il p2p

Ritorno su un tema che appssiona ed interessa gli utenti della rete e di cui mi sono occupato in diversi post su un altro mio blog www.sirimarco.tiscali.it ai quali rimando.

Anche il popolo del web in Francia è in rivolta. Dopo aver fatto infuriare gli addetti al trasporto pubblico e gli studenti, Nicolas Sarkozy è riuscito ad attirarsi anche i fulmini degli internauti d'oltralpe (e non solo). A dar fuoco alle polveri la firma dell'accordo antipirateria, o se si preferisce, "per lo sviluppo e la protezione delle opere e dei programmi culturali sulle nuove reti", siglato dai provider, le major dell'audiovisivo e i poteri pubblici per contrastare il download illegale. Ma tra le associazioni dei consumatori c'è già chi parla di un'escalation repressiva nei confronti di internet, un tema che sta molto a cuore alle 12 milioni di famiglie francesi che hanno una connessione Adsl. La strada francese contro il p2p è fatta di liste nere e intese incrociate tra major e provider, una accordo definito "storico" da Sarkozy, che parla di "momento decisivo per l'arrivo di un internet civilizzato". L'inquilino dell'Eliseo, secondo i critici, usa gli stessi argomenti delle major: paragona gli atti di pirateria a dei "comportamenti medievali dove, con la scusa del digitale, ognuno può taccheggiare liberamente", e parla di "Far west di alta tecnologia", popolata di fuorilegge che possono "sottrarre le opere dell'ingegno senza farsi problemi o, peggio ancora, venderle nella più assoluta impunità. E sulle spalle di chi? Sulle spalle degli artisti". Per farsi aiutare in questa operazione, il presidente francese ha chiesto aiuto a un big del settore, ovvero Denis Olivennes, numero uno di Fnac, gigante internazionale della distribuzione di musica, film, videogames ed elettronica, attiva anche in Italia.
L'accordo, che Sarkozy definisce "solido ed equilibrato", prevede l'invio di email di "avvertimento" agli internauti che scaricano illegalmente da internet musica e film e, in caso di recidiva, l'interruzione o la sospensione del collegamento alla rete. E cambiare provider sarebbe impossibile. È infatti prevista la realizzazione di una black list degli utenti cattivi. Di fatto, sempre secondo i critici, è l'ufficializzazione del monitoraggio delle reti di sharing da parte delle major che altrove, come ad esempio in Italia, è invece messo sotto accusa per violazione della privacy degli utenti. A questo proposito va ricordato il recente caso Peppermint, una vicenda che si è conclusa con una doppia vittoria per i consumatori di casa nostra. Con due ordinanze pubblicate il 22 novembre 2007, il Tribunale civile di Roma ha confermato il suo orientamento più recente in materia di trattamento dei dati personali, affermando che nel settore delle comunicazioni elettroniche il diritto alla riservatezza dei dati personali degli utenti di servizi di telecomunicazioni prevale sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale su opere dell'ingegno. In Francia già esiste dall'anno scorso una legge a difesa del diritto d'autore con multe di 150 euro, per chi mette file a disposizione di altri internauti, e fino a 300.000 euro e tre anni di prigione per gli editori di programmi per lo scaricamento illegale di musica e video. Ma è la prima volta che anche i provider accettano di introdurre delle misure repressive. Sarà dunque creato un ufficio di supervisione dello scaricamento illegale. Il nuovo organismo potrà anche punire i provider che non si adegueranno in modo "congruo" alle disposizioni. Non solo: su diretto controllo del magistrato, l'Autorità potrà chiedere ai singoli provider di assumere le misure necessarie a prevenire o porre fine ai danni causati da un servizio di comunicazione online. Ma i consumatori sono in rivolta. L'Ufc Que Choisir giudica il rapporto uno strumento "molto duro, potenzialmente liberticida e antieconomico". Il dispositivo, secondo l'associazione, è contrario al rispetto della presunzione d'innocenza e alle garanzie procedurali previste a livello europeo. "E' inaccettabile - spiega Ufc - che il potere del giudice sia trasferito a un'Autorità dotata dei mezzi umani e tecnici necessari all'avvertimento e alla sanzione". Per la Ligue Odebi, invece, le nuove contromisure finiranno probabilmente per "far crollare le vendite dell'industria culturale, contrariamente all'obiettivo della missione Olivennes". E l'associazione April vede nel provvedimento le basi per "la realizzazione di una 'polizia privata del web' che spoglia i giudici delle loro funzioni e attenta al diritto alla difesa". Ma il testo prevede anche delle misure per incoraggiare lo scaricamento legale dal web. Le società che detengono i diritti degli autori, infatti, si sono impegnate a loro volta a mettere in linea, entro un anno, il repertorio della canzone francese (che equivale al 60 per cento delle vendite discografiche). I cinefili, invece, (e questo è l'unico punto valutato positivamente dai consumatori), non dovranno più aspettare sette mesi e mezzo, ma solo sei, per trovare un film in rete dopo l'uscita in sala. "Bastone e carota", dice Claudio Todeschini, editorialista di Tgmonline. "Chi scarica un film nel giorno dell'uscita in dvd, se non prima, non lo fa certo perché non ha voglia di uscire a comprarlo, ma solo perché non vuole pagarlo. E averlo a pagamento su un portale non costituisce certo un'alternativa". Comunque, nonostante l'interessamento delle parti in causa, per ora tutto questo è un memorandum di intesa. "La proposta Sarkozy - spiega ancora Todeschini - dovrà essere vagliata ancora da mille organismi e commissioni, che dovranno anche valutarne la dubbia legittimità". Insomma una procedura che richiederà ancora del tempo, e che potrebbe portare ad integrazioni e modifiche importanti. Ma non c'è dubbio che un primo passo importante sia stato fatto.
(29 novembre 2007)

lunedì 26 novembre 2007

Gli uomini che fanno funzionare l’Italia

Il dott. Patrizio Gravano mi ha inviato una sua recensione scritta sul libro di Luigi Tivelli, Chi è Stato? Gli uomini che fanno funzionare l'Italia, Rubbettino, 2007, pp. 226. Ricordo che Gravano e Tivelli sono tra gli autori degli scritti contenuti nel volume da me curato dal titolo Informatica diritto e filosofia. Saggi di informatica per le scienze giuridiche, in corso di stampa presso l'editore Aracne.

Non è facile, in poche righe, recensire il bel libro di Luigi Tivelli (Chi è stato? Gli uomini che fanno funzionare l’Italia, Rubbettino – RAI ERI). Nello sterminato panorama dell’editoria nazionale ecco l’imminente comparsa dell’ultimo libro di Luigi Tivelli (consigliere parlamentare che nell’ultimo decennio ha operato come civil servant al servizio dei vari governi che si sono succeduti) dedicato ad alcuni (per nostra fortuna non sono gli unici!) tra i più bravi grand commis italiani, che con il loro costante e sempre efficace impegno hanno contribuito a far funzionare le nostre Istituzioni, il nostro Stato. Questo ultimo volume di Tivelli è infatti impostato su una scelta dei protagonisti basata su un criterio di autorevolezza e competenza.
I dieci capitoli del libro sono dedicati a personaggi del livello di Antonio Maccanico e Lamberto Dini, già grand commis d’Etat ed ora Senatori della Repubblica, Gaetano Gifuni (per molti anni autorevole, rigoroso e riservatissimo Segretario generale del Quirinale) e Andrea Monorchio (già Ragioniere generale dello Stato), Antonio Catricalà e Corrado Calabrò (entrambi attualmente al vertice di due autorità garanti, quella della concorrenza e del mercato e quella per le telecomunicazioni rispettivamente), Carlo Mosca (già capo di Gabinetto di alcuni ministri dell’Interno ed ora Prefetto di Roma) e Sergio Vento (grande diplomatico ora prestato al mondo degli affari), Mauro Masi (autorevole Capo di Gabinetto proveniente dai ranghi della prestigiosa Banca d’Italia) e Gianni Letta (già Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ai tempi del Governo Berlusconi).
L’autore, con sapiente abilità, porta avanti le sue riflessioni coordinandole e integrandole con quelle, sempre misurate e ben argomentate, dei suoi prestigiosi interlocutori. Le loro autorevoli opinioni sul funzionamento degli apparati pubblici, le loro rigorose e asettiche analisi del rapporto tra cittadini e Istituzioni, non sono certo un contributo alla cicalecciocrazia imperante, già pesantemente attaccata dall’autore in un suo precedente saggio (Questionando. Le sei questioni che bloccano l’Italia, RAI – ERI) ma, al contrario, offrono interessanti spunti e adeguate chiavi di lettura per cogliere i più rilevanti aspetti critici e problematici della nostra alta burocrazia.
“I nati per caso”. Così sono stati definiti i nostri grandi burocrati. E già nel definirli burocrati rischiamo di offenderli, non fosse altro per la considerazione che nel nostro paese si ha delle classi burocratiche, fatit comunque salvi alcuni casi particolari come quelli rappresentati dalle burocrazie parlamentari, dalla diplomazia e della Banca d’Italia, da sempre ritenute, da parte del grande pubblico, a ragione, inefficienti e spendaccione.
L’autore, molto opportunamente, nella sua introduzione mette in risalto le differenze nella formazione delle classi dirigenti pubbliche italiane rispetto a quanto avviene in altri paesi di elevata tradizione burocratica, come la Francia (ove l’Ena contribuisce a “sfornare” i migliori cervelli burocratici) e il Regno Unito (caratterizzato dalla presenza di alcuni college-fucina di civil servant).
I nostri grand commis, lungi dall’essere una delle tante intoccabili caste italiane, finiscono purtroppo per costituire una ristretta e sparuta pattuglia di persone destinate, ancora ai giorni nostri, ad operare in una Pubblica Amministrazione “a macchia di leopardo”, anche se, come lo stesso autore ricorda, “le macchie bianche”, soprattutto a livello centrale, comincino a prevalere su quelle nere.
Un libro molto atteso nei Palazzi del potere e nella Roma politica, molto utile per comprendere a fondo gli aspetti cruciali di alcune funzioni chiave dello Stato, per cogliere le ragioni profonde della carenza diffusa, davvero a tutti i livelli, del senso dello Stato, della decadenza della politica, della crisi delle classi dirigenti, ma anche della assenza del senso civico, sempre più sostituto dall’emergere a ogni livello di un pericoloso “senso cinico”. Mali che hanno radici profonde e che difficilmente potranno essere risolti senza una condivisione di valori che sembra del tutto irrealizzabile nell’attuale contesto politico, dominato dalle spinte dell’antipolitica.
Merito e concorrenza sono due valori che sintetizzano la ricetta proposta dall’autore per risolvere i problemi di un paese e di una società caratterizzata da sempre nuovi fermenti. Privilegiare dunque il merito in un Paese affetto dal “mal di merito”, rifuggendo quindi dalla spartizione partitocratica e clientelare che per molti decenni ha caratterizzato l’accesso all’alta burocrazia e dall’uso dissennato del sistema delle spoglie (spoils system), malamente importato dall’esperienza amministrativa nordamericana, che ha finito con il sopprimere di fatto il principio costituzionale dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Questa è una delle tante “lezioni” che possiamo apprendere dalla lettura di un testo plastico e lineare ove le vicende del Paese si intersecano con le vicende umane e professionali di alcuni grandi servitori dello Stato impegnati in settori chiave quali la diplomazia, le telecomunicazioni, la concorrenza e il mercato, i rapporti istituzionali.
La lettura del testo offre davvero tanti spunti di riflessione aiutandoci a capire dove stanno i mali che affliggono il nostro paese, quali le possibili vie d’uscita, costituendo, al contempo, un momento di riflessione su fatti importanti della vita istituzionale italiana come si evince dalla lettura dei capitoli dedicati a Antonio Maccanico e Lamberto Dini ben testimoniano.

Patrizio Gravano

mercoledì 21 novembre 2007

Una Carta dei diritti del web - di Stefano Rodotà

La mia studentessa Francesca Gaudenzi ha segnalato questo interessantissimo articolo di Rodotà su "La Repubblica" del 20 novembre sul tema nevralgico della governace di Internet. Lo posto alla vostra attenzione.

Quasi nelle stesse ore in cui a New York una commissione dell'Onu approvava con uno storico voto la proposta di moratoria della pena di morte, a Rio de Janeiro il rappresentante delle stesse Nazioni Unite chiudeva il grande Internet Governance Forum affermando che i molti problemi che si pongono in rete richiedono un Internet Bill of Rights.
Accosto questi avvenimenti, che possono apparire lontani e qualitativamente assai diversi, per tre ragioni. In entrambi i casi è balzata in primo piano l'importanza di una politica globale dei diritti. In entrambi i casi non siamo di fronte ad un definitivo punto d'arrivo, ma ad un processo che richiede intelligenza e determinazione politica. In entrambi i casi il risultato è stato reso possibile da una lungimirante iniziativa italiana.
Per la pena di morte si trattava di onorare una primogenitura culturale, quasi un dovere verso una storia che porta il nome di Cesare Beccaria e della Toscana, primo Stato al mondo ad abolire nel 1786 quella pena, "conveniente solo ai popoli barbari", come si espresse il Granduca Pietro Leopoldo.
Tutta diversa la situazione riguardante Internet, visto che l'Italia non può certo essere considerata un paese di punta nel mondo dell'innovazione scientifica e tecnologica. E tuttavia proprio da qui è partito, negli ultimi due anni, un movimento che ha progressivamente coinvolto ovunque settori sempre più larghi, dimostrando così che la buona cultura è indispensabile per una buona politica. Quale politica, allora? Il risultato finale di Rio è stato possibile grazie anche al fatto che, un giorno prima, era venuta una dichiarazione congiunta dei governi brasiliano e italiano che indicava proprio nell'Internet Bill of Rights lo strumento per garantire libertà e diritti nel più grande spazio pubblico che l'umanità abbia mai conosciuto.
Ma questa svolta, assai significativa, esige ora una adeguata capacità di azione. Nelle discussioni che hanno preceduto la dichiarazione, il ministro brasiliano della cultura, Gilberto Gil, aveva esplicitamente evocato la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Siamo di fronte ad una situazione che sta diventando paradossale. Ancora sottovalutata e osteggiata da più d'uno in Europa, la Carta sta diventando un punto di riferimento costante per tutti quelli che, in giro per il mondo, sono impegnati nella costruzione di un nuovo sistema di garanzia dei diritti, tanto che studiosi statunitensi hanno parlato di un "sogno europeo" che prende il posto del loro "sogno americano". E' tempo, dunque, che l'Unione europea abbia piena consapevolezza di questa sua forza e responsabilità verso l'intera "comunità umana", com'è detto esplicitamente nel Preambolo della Carta dei diritti. Proprio perché conosciamo bene i limiti dell'influenza dell'Europa, il suo futuro politico si lega sempre più nettamente alla capacità d'essere protagonista di questa planetaria "lotta per i diritti".
In questa prospettiva, l'Internet Bill of Rights fornisce una occasione preziosa. Proprio perché dall'Onu è venuta una insperata apertura, è indispensabile rafforzare e rendere concreto il processo così avviato. Indico le prime tappe di questo cammino. La dichiarazione italo-brasiliana è aperta all'adesione di altri Paesi. Non è una operazione facile. Ma il ministro degli Esteri ha dato prova di grande intelligenza politica nel guidare il processo verso il voto sulla moratoria della pena di morte, sì che si può pensare che non sarà indifferente rispetto a questa diversa opportunità. Più agevole dovrebbe essere una azione volta a far sì che, proprio come è accaduto per la moratoria, l'iniziativa italiana si risolva in una più generale presa di posizione del Parlamento europeo. Qui, tuttavia, si apre una questione più generale. Mentre la Carta dei diritti fondamentali si avvia a diventare giuridicamente vincolante, e ad essa si guarda come ad un modello, la Commissione europea prende iniziative che, anche con discutibili espedienti procedurali, limitano grandemente la tutela di diritti fondamentali, ad esempio in materia di raccolta e conservazione dei dati personali. Si deve uscire da questa schizofrenia istituzionale, che vede le grandi proclamazioni sui diritti troppo spesso contraddette da concrete e forti limitazioni, democraticamente pericolose e tecnicamente non necessarie o sproporzionate. Una terza via d'azione riguarda le stesse Nazioni Unite. Poco tempo fa Google, consapevole della necessità di prevedere più forti garanzie per i dati personali, ha proposto l'istituzione presso l'Onu di un "Global Privacy Counsel". L'indicazione va raccolta perché offre uno spunto concreto per cominciare a riflettere sulla futura presenza dell'Onu in questo settore. Ma, soprattutto, quella proposta pone un problema più generale. Nel corso di quest'anno abbiamo assistito ad un forte attivismo del mondo economico. Oltre alla proposta di Google, vi è stata una iniziativa congiunta di Microsoft, Google, Yahoo!, Vodafone, che hanno annunciato per la fine dell'anno la pubblicazione di una Carta per tutelare la libertà di espressione su Internet. In luglio Microsoft ha presentato i suoi Privacy Principles. Ma è possibile lasciare la tutela dei diritti fondamentali su Internet soltanto all'iniziativa di soggetti privati, che tendenzialmente offriranno solo le garanzie compatibili con i loro interessi e che, in assenza di altre iniziative, appariranno come le uniche "istituzioni" capaci di intervenire? Si può accettare una privatizzazione della governance di Internet o è indispensabile far sì che una pluralità di attori, ai livelli più diversi, possa dialogare e mettere a punto regole comuni, secondo un modello definito appunto multistakeholder e multilevel?
L'Internet Bill of Rights, infatti, non è concepito da chi lo ha immaginato e lo promuove come una trasposizione nella sfera di Internet delle tradizionali logiche delle convenzioni internazionali. La scelta dell'antica formula del Bill of Rights ha forza simbolica, mette in evidenza che non si vuole limitare la libertà in rete ma, al contrario, mantenere le condizioni perché possa continuare a fiorire. Per questo servono garanzie "costituzionali". Non dimentichiamo che Amnesty Internacional ha denunciato il moltiplicarsi dei casi di censura, "un virus che può cambiare la natura di Internet, rendendola irriconoscibile" se non saranno prese misure adeguate. Ma, conformemente alla natura di Internet, il riconoscimento di principi e diritti non può essere calato dall'alto. Deve essere il risultato di un processo, di una partecipazione larga di una molteplicità di soggetti che si sono già materializzati nella forma di "dynamic coalitions", gruppi di diversa natura, nati spontaneamente in rete e che proprio a Rio hanno trovato una prima occasione di confronto, di lavoro comune, di diretta influenza sulle decisioni. Nel corso di questo processo si potrà approdare a risultati parziali, all'integrazione tra codici di autoregolamentazione e altre forme di disciplina, a normative comuni per singole aree del mondo, come di nuovo dimostra l'Unione europea, la regione del mondo dove più intensa è la tutela dei diritti. Le obiezioni tradizionali - chi è il legislatore? quale giudice renderà applicabili i diritti proclamati? - appartengono al passato, non si rendono conto che "la valanga dei diritti umani sta travolgendo le ultime trincee della sovranità statale", come ha scritto benissimo Antonio Cassese commentando il voto sulla pena di morte. Nel momento stesso in cui il cammino dell'Internet Bill of Rights diverrà più spedito, già vi sarà stato un cambiamento. Comincerà ad essere visibile un diverso modello culturale, nato proprio dalla consapevolezza che Internet è un mondo senza confini. Un modello che favorirà la circolazione delle idee e potrà subito costituire un riferimento per la "global community of courts", per quella folla di giudici che, nei più diversi sistemi, affrontano ormai gli stessi problemi posti dall'innovazione scientifica e tecnologica, dando voce a quei diritti fondamentali che rappresentano oggi l'unico potere opponibile alla forza degli interessi economici.
Né utopia, né fuga in avanti. Già oggi, all'indomani stesso della conferenza di Rio, molti sono all'opera e sono chiare le indicazioni per il lavoro dei prossimi mesi: inventario delle "dynamic coalitions" e creazione di una piattaforma che consenta il dialogo e la collaborazione; inventario dei molti documenti esistenti, per individuare quali possano essere i principi e i diritti alla base dell'Internet Bill of Rights (un elenco è nella dichiarazione italo-brasiliana); elaborazione di una prima bozza da discutere in rete. La semina è stata buona. Ma il raccolto verrà se saranno altrettanto fervidi gli spiriti che sosterranno le azioni future.

martedì 20 novembre 2007

La tesi è sul futuro di Second Life e a discuterla saranno gli avatar

Matteo Loddo e Alessandro Ciaralli saranno forse i primi laureandi a discutere la loro tesi di persona ma senza esserci. Saranno infatti i loro avatar a discuterla domani, 21 novembre, alla facoltà di architettura di Roma La Sapienza. Non la solita tesi ma una performance di 10 minuti in digital puppetry, una tecnologia che sfrutta l'idea dei "pupi siciliani" ma li trasforma in digitali in 3D, in cui i fili non sono quelli tradizionali ma fili digitali manovrati da una console nascosta. E la performance sarà la dimostrazione migliore dello stesso argomento della loro tesi: "Animazione in tempo reale di due personaggi realizzati in computer grafica tridimensionale". Più o meno chi si troverà nell'aula Magna di via Gramsci domani alle 11 avrà davanti una scena come questa: proiettore, schermo appeso alla parete di fronte alla commissione d'esame, su cui due avatar con la voce di Matteo e Alessandro interagiranno tra loro parlando, cantando, ballando, suonando il pianoforte e dimostrando tutto quello che si può fare con questo particolare tipo di realtà virtuale, che offre molte più possibilità rispetto a quella "standardizzata" di Second Life. Infatti i "puppet" diventano vivi, e non si muovono secondo schemi e gesti precostituiti, come avviene su Second Life. Possono infatti interagire tra loro e anche con il pubblico presente. I due tesisti saranno completamente invisibili ai presenti e manovreranno i loro pupi del terzo millennio da una sala a parte, dove ognuno avrà a disposizione una console speciale, un display a cristalli liquidi dotato di tecnologia multitouch pad con cui controllare i movimenti di dita, braccia, gambe e persino l'espressione facciale degli avatar, tutto in tempo reale. Come si farebbe con dei veri e propri fili digitali appunto. Alcuni gesti complessi, come le mosse di Kung Fu (in cui i due avatar si esibiranno) e gli inchini sono stat preregistrati e basterà uno sfioramento del touchpad per far partire l'azione.
Tutto il resto avviene in diretta, così se il pubblico o la commissione d'esame vorrà rivolgere domande ai due avatar potranno farlo tramite un microfono mobile messo a disposizione e i due personaggi virtuali risponderanno con la voce dei ragazzi- quelli veri- dotati di microfono. La tecnologia digital puppetry, con la Motion Capture (quella utilizzata da Gollum nel "Il Signore degli Anelli") infatti consente all'animatore di controllare l'animazione del volto, delle labbra, degli occhi, del corpo e delle dita, in perfetta sincronia con la propria voce. I due burattinai si muoveranno in una sorta di viaggio virtuale dagli anni 30 a oggi ricostruendo e commentando, anche presentando le loro slide nell'ambiente virtuale, l'evoluzione del cinema di animazione. L'ambiente intorno a loro cambierà di volta in volta con il passare degli anni. "Si tratta della prima tesi con questa tecnologia, almeno a quanto ne sappiamo noi" commenta Flaviano Pizzardi, correlatore dei tesisti e creative director di Pool Factory. "È la dimostrazione di come con questa tecnologia si può sviluppare un nuovo tipo di tv in cui i protagonisti sono puppet come questi. Esistono già per esempio alcune televendite che vengono realizzate con questa tecnologia".

di AGNESE ANANASSO
(20 novembre 2007)

giovedì 15 novembre 2007

Rubava mobili virtuali: arrestato ragazzo olandese

Parlavo a lezione qualche giorno fa del concetto di virtuale che non deve essere inteso come spesso si crede nel senso di "irreale", ma come nuova dimensione del reale. Eccovi una notizia apparsa su "Repubblica" di oggi che forse aiuta a rendere l'idea ...

Forse voleva solo rendere più bella e ricca la sua casa virtuale. Forse la sua paghetta, nella moneta del suo universo parallelo - come gli Habbo crediti, una sorta di Linden dollari dei piccoli - non era sufficiente per decorarla proprio come voleva lui. Oppure, meno poeticamente, ha solo pensato a tavolino ad una frode a danni degli altri inquilini della sua comunità in rete. Ma il furto di mobili, per quanto virtuali, può avere conseguenze assai reali: così è stato arrestato un ragazzo olandese di 17 anni, accusato di aver rubato pezzi di arredamento su Habbo, popolarissimo sito di networking in 3D per adolescenti, e di averli portati nella sua "stanza". Perché se gli oggetti sono solo visibili sul monitor di un computer, sono però stati acquistati con soldi molto veri: così l'hacker, con in tasca un bottino di 4000 euro, è finito nei guai. Insieme a lui la polizia ha interrogato altri cinque quindicenni. Secondo un portavoce della Sulake, l'azienda che gestisce l'Habbo Hotel, i sei hanno indotto persone ignare a consegnare loro le password e le proprie informazioni personali, creando falsi siti Habbo. La decisione di adottare una linea di tolleranza zero è dettata dagli eventi: nei mondi virtuali come Habbo, dove i ragazzi possono conoscersi, diventare amici per "fare una festa, lanciare palle di neve, costruire una piramide", come invita la homepage del sito, quella di rubare informazioni personali sta diventando una brutta e pericolosa abitudine: questo è il primo caso, esemplare, in cui la polizia è intervenuta.
Nel mondo di Habbo gli utenti possono creare i propri personaggi, decorare le loro stanze nell'hotel, incontrarsi, giocare e fare acquisti, appunto, con gli Habbo crediti. Costo? 6,25 euro per comprarne 60. Il gioco piace e la comunità prolifera: ogni mese sei milioni di persone giocano all'Habbo hotel in oltre 30 paesi. "E' un furto vero e proprio perché i mobili sono stati acquistati con soldi veri", dice alla Bbc un portavoce della Sulake. Ma come ci sono riusciti? L'unico modo è appropriarsi di username e password altrui, collegarsi, e rubare i pezzi di arredamento: dai tatami giapponesi ai comodini, alle cassettiere. Non è la prima volta che capita e ora si è deciso di fare qualcosa. Del resto, i furti virtuali sono in crescita: nel 2005 in Cina, un giocatore è finito pugnalato a morte per una lite su una spada durante un gioco. (15 novembre 2007)

lunedì 5 novembre 2007

Secondo i canadesi, il P2P aiuta le vendite di dischi

Posto questo articolo di Luca Castelli, La Stampa del 5/11/2007, che farà piacere a molti ... In fondo anche il link per chi volesse leggere la ricerca per intero.

Il download non autorizzato di brani musicali da Internet non ha effetti negativi sulle vendite di cd. Anzi, chi scarica musica online potrebbe avere una propensione maggiore all’acquisto di dischi. Nel complesso, comunque, non esistono relazioni dirette e provate tra i due fenomeni. Sono questi alcuni tra i risultati più interessanti di una ricerca commissionata dalla commissione governativa Industry Canada e condotta su un campione di circa duemila cittadini canadesi. Lo studio è stato pubblicato la scorsa settimana sul sito di Industry Canada e farà di sicuro storcere il naso ai rappresentanti dell’industria discografica, che da sempre indicano nella pirateria multimediale la causa principale del crollo delle vendite di dischi. Secondo lo studio, in realtà i download online funzionerebbero da traino per l’acquisto dei cd, in una misura che viene anche quantificata: per ogni download mensile l’utente avrebbe una propensione all’acquisto di 0,44 cd in più all’anno.Quella proveniente dal Canada non è certo la prima ricerca sull’argomento. Dai tempi di Napster, studi del genere vengono proposti con frequenza e distribuzione geografica regolare (ne abbiamo anche diversi esempi in Italia). Semmai, è interessante la natura indipendente della commissione che ha promosso l’iniziativa. Di solito i sondaggi vengono sponsorizzati dall’industria discografica o dalle associazioni sostenitrici del filesharing: puntualmente, i primi criminalizzano il P2P e i secondi lo scagionano. In questo caso non sembrano esserci doppi fini.Un altro aspetto significativo della ricerca canadese lo si trova nell’elenco dei risultati. Se gli autori non vedono correlazioni tra il download di musica online e la crisi del mercato discografico, suggeriscono invece che i proprietari di lettori MP3 portatili potrebbero essere tendenzialmente meno portati all’acquisto di cd. A tenere lontani gli appassionati di musica dai negozi di dischi, insomma, potrebbe essere il successo di gadget come l’iPod, che stanno costruendo e diffondendo un’esperienza d’ascolto completamente diversa rispetto al passato: l’unica conosciuta dalle giovani generazioni, che magari di dischi non ne hanno mai comprato uno.

+ The Impact of Music Downloads and P2P File-Sharing on the Purchase of Music: A Study for Industry Canada (il testo della ricerca, in inglese)

mercoledì 31 ottobre 2007

Il convegno "Internet e privacy - quali regole?" - La relazione introduttiva di Stefano Rodotà

Dal sito www.interlex.it riprendo questa relazione del prof. Stefano Rodotà ad un convegno.
Si tratta di una versione provvisoria, non rivista dall'autore, che potrebbe presentare qualche imprecisione.

Non è facile giungere al cuore di Internet e coglierne la realtà vera, bisogna liberarsi con pazienza di molta retorica, superare diffidenze, evitare trappole ideologiche, non restare abbagliati da quella che è stata chiamata la Internet Trinity, una trinità fatta dalla tecnologia del mezzo, dalla distribuzione geografica dei suoi utenti, dalla natura dei suoi contenuti.
Le discussioni si sono venute intensificando, soprattutto nel corso dell'ultimo anno, ma in esse si possono ritrovare tomi e temi che abbiamo già conosciuto all'inizio dei dibattiti intorno alla introduzione dei computers nella nostra organizzazione sociale.Nel 1965 un osservatore tutt'altro che sprovveduto, come Paul Baran, scriveva in un rapporto per la Rand Corporation (cito): "non aspettiamoci che il contributo dei giuristi possa sostituire una buona progettazione tecnica, anche se non si volesse tenere conto del ritardo sociale dei procedimenti legislativi e giudiziari, gli specifici problemi del mondo dei computers si collocano in una dimensione che ad essi, ai giuristi, sfugge completamente".
Non voglio dire che questa superbia tecnologica, questo orgoglio tecnologico è stato smentito dal fatto che negli anni successivi, nei trenta e più anni che abbiamo alle spalle, si sono venute accumulando moltissime leggi. Ormai, la legislazione sulla privacy e sui settori a questa connessi riempie una consistente biblioteca e attraverso questo intenso intervento legislativo si è anche venuto ridefinendo, vorrei dire rivoluzionando la nozione stessa di privacy.Oggi il problema si ripropone; da molte parti si afferma la capacità autoregolativa della nuova tecnologia che si manifesta in rete, delle molte tecnologie che si congiungono dando origine alla rete. E si prospetta una sorta di invincibile contrasto tra le potenzialità tecnologiche e i rischi dell'intervento legislativo, quasi che si trattasse di mondi non comunicanti.
Se usciamo da questa contrapposizione di maniera e guardiamo i fatti, ci possiamo accorgere che proprio nel Paese, gli Stati Uniti, dove più marcata è la diffidenza verso l'intervento legislativo, nel giro dell'ultimo anno si sono venute moltiplicando le iniziative di tipo legislativo. Mi limito a ricordare che, alla fine del '97, erano stati presentati al Congresso degli Stati Uniti sei bills, sei proposte di legge sulla on-line privacy, due sul trattamento fiscale delle transazioni su Internet, tre sulla crittografia, due sulla proprietà intellettuale e altri progetti si sono venuti aggiungendo in questi mesi, ma è particolarmente significativo il fatto che in tutti e 50 gli Stati americani siano state prese iniziative, alcune delle quali già arrivate alla conclusione dell'approvazione di una legge nelle materie specifiche del commercio elettronico e della firma digitale.
Quindi ci troviamo di fronte all'avvio di una attività legislativa assai più intenso di quello che aveva segnato l'esordio delle tecnologie elettroniche della comunicazione.Possiamo aggiunge - ma non voglio insistere in questa carrellata in giro per il mondo - che molte ormai sono nei diversi emisferi del mondo, le iniziative e le leggi che già affrontano questioni specifiche legate all'uso di Internet e regole anche particolarmente penetranti, come quelle che riguardano la trasmissione di "messaggi spazzatura", i junk e-mail, che ha costituito oggetto da anni di interventi negli Stati Uniti, di interventi in Europa (in Germania una decisione giudiziaria, in Italia in un decreto di prossima pubblicazione), il divieto dell'invio per ragioni commerciali, senza il precedente consenso dell'interessato di qualsiasi messaggio con telefonate automatizzate, fax o posta elettronica.
Dunque, la dimensione istituzionale, la dimensione giuridica è tutt'altro che estranea già in questa fase iniziale, formativa, alla questione di "quali regole per Internet".Ma se noi torniamo di nuovo alle discussioni degli anni settanta, troviamo un altro motivo ricorrente. Allora erano consuete, abituali nella discussione libri e scritti che avevano nel titolo la formula, l'espressione "la morte della privacy". Tornano di nuovo, con riferimento a Internet, con riferimento al servizio on-line, le formule "la morte della privacy".Il rischio esiste, ma forse c'è da tenere conto del fatto che così come nella prima fase di decollo di queste nuove tecnologie, la privacy è uscita fortemente trasformata e per molti versi rafforzata, così oggi si offre una ulteriore opportunità di riflessione su questo tema.Terzo ritorno di temi del passato: faccio qui un riferimento alla situazione italiana. Molti dei presenti ricordano che, a metà degli anni sessanta e nella prima parte degli anni settanta, la liberalizzazione nel settore delle televisioni e delle radio, fece nascere una generosa illusione di una libertà conquistata per cui sarebbe stato possibile a tutti ampliare le possibilità di comunicazione e di dialogo proprio attraverso televisioni libere, radio libere e per questo si affermava che questa libertà sarebbe stata tanto maggiore quanto minore fosse stata invece la regolazione pubblica.
Noi conosciamo in Italia l'esito di questa vicenda; questa illusione generosa si è spenta in breve tempo, proprio l'assenza di un quadro di regole istituzionali ha favorito il prevalere di pure logiche di mercato. Le televisioni libere sono diventate oggetto di attenzione dei grandi gruppi e questa illusione di libertà è stata riassorbita nelle grandi strutture di tipo oligopolistico. I digital libertarians, coloro i quali affermano che la rete è il luogo di una infinita libertà, che non deve essere in alcun modo limitata perché altrimenti correrebbe il rischio di essere compressa e negata, dovrebbero forse tenere d'occhio queste esperienze del passato: la libertà ha sempre bisogno di un quadro istituzionale non che la protegga, ma che consenta ad essa di rimanere al riparo dai molti attacchi che alla libertà possono essere portati anche senza una volontà censoria. E nel momento in cui Internet evolve come grandi luogo di interessi economici, tendenza che non può e sarebbe sbagliato contrastare, dobbiamo però tenere conto della necessità di salvaguarda in rete i diritti e le dinamiche della libertà. Non è un caso che da anni si parli e si invochi un information bill of rights, che si parli di una "carta di diritti dell'informazione" che poi concretamente, almeno nel quadro e nello spazio dell'Unione Europea comincia a tradursi in atti significativi e certamente alla fine di quest'anno si avrà una novità senza precedenti: la creazione di uno spazio giuridico europeo dove la tutela della privacy e tramite essa la tutela di libertà fondamentali dei cittadini avrà probabilmente il grado più intenso che si conosca al mondo.
Comunque, nell'ultimo anno la discussione si è arricchita, si è fatta più riflessiva, meno unilaterale, mettendo a fuoco i molteplici problemi e le diverse potenzialità di Internet. Che si comincia a percepire sempre più nettamente non come una dimensione separata, così come era avvenuto troppe volte in passato; non come uno spazio del tutto autonomo, del quale i suoi primi frequentatori vorrebbero rimanere gli unici abitanti, ma Internet si manifesta sempre più nettamente come un potente strumento di trasformazione della società.
Di fronte a noi abbiamo davvero un modello di organizzazione sociale. In due sensi: nel senso proprio, perché si propone alla società un suo modo di organizzarsi. Non più l'organizzazione piramidale, ma l'organizzazione a rete. Non più un'organizzazione con una comunicazione a suo modo autoritaria, dall'alto verso il basso e anche le prime forme di interattività non modificavano radicalmente questo schema, ma davvero come una possibilità di una rete di rapporti che consenta a ciascuno di entrare in rapporto con gli altri mettendo in discussione l'assetto gerarchico dell'organizzazione sociale.Non ci sono privilegi nel comunicare, anche la più ricca delle strutture di tipo tradizionale, le televisioni dei 500 canali, non hanno le potenzialità di rottura dello schema gerarchico che abbiamo conosciuto perché non tutti possono nello stesso tempo assumere il ruolo di produttori e consumatori delle informazioni.
Quante volte in questi anni abbiamo assistito alla rottura da parte di singoli utenti della rete di schemi di controllo sociale, ad esempio mettendo in rete informazioni sgradite ai governi, sgradite ai gruppi economici che sui tradizionali mezzi di informazione non avevano trovato assolutamente alcuna eco.Questo è un modello di organizzazione sociale, che tuttavia deve essere valutato anche con spirito critico. Ma Internet è un modello di organizzazione anche per quanto riguarda se stessa. Internet non è immobile: ha generato Intranet, ha generato cioè delle reti a loro modo chiuse ma tuttavia anche di grandi dimensioni e in prospettiva questa è una dinamica da tener presente. Internet genera la Internet II, la next generation Internet, di cui ha parlato nel suo discorso Clinton, la rete superveloce. Un luogo di ulteriori privilegi o un luogo che consentirà la migliore utilizzazione delle potenzialità di questo insieme di nuovi mezzi? Questo è un problema che abbiamo di fronte.Quindi, in un doppio significato, Internet si presenta come modello sociale.
Ma Internet si diffonde non solo negli spazi sociali, ma per così dire occupa lo sapzio della mente. Impone un altro modo di essere, di pensare, di percepire se stessi in rete. Quante volte, inverando una profezia di William Gibson in "Neuromante" abbiamo letto nelle ultime settimane di persone che si sono trovate ad avere una sorta di problema di personalità per essere state private della possibilità di rimanere in rete.
Internet dunque non è solo un modello, lo sappiamo tutti, è anche uno spazio. E' uno spazio sociale, uno spazio politico, uno spazio economico, uno spazio altamente simbolico, che permette nuove forme di rappresentazione del sé, incide sulle identità, consente nuove forme di espressione e di esperienza artistica. Non sono spazi separati. Non si può pensare Internet sezionaldola. La globalità della rete non riguarda soltanto il fatto che si stende sull'intero pianeta ed è veramente oggi la forma estrema di globalizzazione. Internet è inseparabile. Non è solo un sistema di vasi comunicanti, è appunto una rete, per cui noi non possiamo pensare lo spazio economico di Internet come a qualcosa di separato; pensare alle regole del commercio elettronico senza perciò riflettere sugli effetti che tutto ciò potrà produrre, ad esempio su Internet come spazio sociale, su Internet come spazio pubblico per definizione.
Dobbiamo trovare quindi non solo regole specifiche per ciascuno di questi spazi, ma regole di compatibilità, che impediscano ad esempio alla dinamica economica che prende sempre più forza nella rete di oscurare, non voglio dire di cancellare, le potenzialità di Internet come grande spazio pubblico di confronto e di discussione.
Internet - lo accennavo - nette in discussione o crea identità individuali e collettive, modifica il ruolo dei soggetti, produttori e consumatori al tempo stesso, ci dà una nuova percezione di oggetti e contenuti della comunicazione, ci propone nuovi concetti.Dunque si tratta di tenere insieme le diverse questioni e connetterle. L'idea di spazio pubblico si pone in maniera radicale, come luogo anche di costruzione della cittadinanza. Noi non ci costruiamo in rete soltanto come consumatori, non ci costruiamo soltanto in rete come utenti di informazioni o produttori di informazioni, tendenzialmente ci costruiamo come cittadini, le analisi che sono state condotte, per esempio negli Stati Uniti attraverso ricerche sostenute in particolare dalla Mark Foundation dimostra la varietà degli usi civili di Internet, senza con ciò voler affermare che Internet è il luogo della democrazia. Internet, la rete per meglio dire, è una forma che la democrazia può assumere, è una opportunità per rafforzare la declinante partecipazione politica. E' un modo per modificare i processi di decisione democratica.
Ma tutto questo ci riporta alla necessità di riflettere sulle precondizioni di tutto questo. Noi sappiamo che se vogliamo che l'affermazione altrimenti retorica della fine della distinzione tra soggetti produttori e consumatori di informazioni, sono necessarie almeno due condizioni che riguardano la connettività, e quindi le condizioni della connettività, i costi, le tariffe (tariffe telefoniche, questione particolarmente viva e importante in Paesi come l'Italia), le modalità e le regole dell'accesso e l'accesso non significa soltanto affermare genericamente o retoricamente che tutti possono accedere a tutto. A che cos anoi possiamo oggi accedere in condizioni di libertà? Non basta incidere sulle tariffe se poi ciò a cui accedo è sempre più costoso e se i beni e le informazioni a cui accedo liberamente sono sempre più limitate. Internet già ci mette di fronte a quello che può essere considerato un paradosso o una contraddizione. In teoria l'accesso è illimitato, in concreto la richiesta di accesso a costi particolari rischia di limitare molto tutto questo.
Voglio fare un esempio: può sorprendere o può essere considerato soltanto un fatto marginale, ma ai miei occhi è significativo, il fatto che due anni fa la Camera dei Lords in Inghilterra abbia ritenuto necessario intervenire, dichiarando una serie di manifestazioni sportive come una sorta di patrimonio culturale del popolo inglese, affermando che la finale della Coppa di Inghilterra o il Torneo di Wimbledon o il Derby di Exon non possono essere trasmesse in forme criptate, debbono essere lasciate liberamente accessibili.Esiste dunque un problema di una massa critica che deve essere mantenuta per evitare che l'accesso diventi soltanto formula retorica, potere di accedere, ma a che cosa e in presenza di quali condizioni?
Vi è poi il tema della alfabetizzazione informatica. Le condizioni di utilizzazione della rete sono oggi fortemente diseguali. Le diseguaglianze finora non sono diminuite, sono cresciute. Le ricerche fatte negli Stati Uniti dalla Rand Corporation, con riferimento a parametri come il reddito, l'istruzione, la collocazione sociale e la razza dimostrano che le distanze tra i vari gruppi in funzione di questi diversi fattori sono cresciute nell'ultimo decennio.Naturalmente l'obiezione che viene fatta è che comunque siamo in presenza di tecnologie che per il loro carattere diffusivo invertiranno questa tendenza in tempi non lunghi.Questo, tuttavia, non deve essere inteso come una sorta di non necessità di politiche pubbliche per cui tutto può essere lasciato unicamente alle dinamiche di mercato, richiama invece la necessità di politiche pubbliche intelligenti e peraltro questo già sta avvenendo, con gli investimenti che nei diversi Paesi si fanno proprio in termini di alfabetizzazione di massa. L'alfabetizzazione non significa soltanto mettere in condizione un numero crescente di cittadini di usare un personal computer o di sapere come si accede a Internet, significa fornire la capacità di un uso critico di questi mezzi.
Nello stesso tempo però, Internet che può essere una grande opportunità e uno strumento di comunicazione e di coesione, si presenta anche - ed è una critica che tutti voi conoscete benissimo e sulla quale quindi non insisto, anche come uno strumento di frammentazione e di isolamento. La possibilità per ciascuno di noi di avere accesso rapido e diretto di comunicazione immediata con tutti coloro i quali si occupano dello stesso tema che ci interessa in qualunque angolo del mondo è certamente una straordinaria opportunità. Ma può diventare una gabbia, non la gabbia di acciaio di cui ci parlava Max Weber, ma certamente una limitazione nel senso che io, assorbito dalla comunicazione con gli studiosi della mia disciplina ai quattro angoli del mondo perdo il contatto con gli altri studiosi di discipline diverse, che si trovano magari nella mia stessa facoltà universitaria, tutti chiusi nella loro stanza, a dialogare con i loro simili ma separati uno dall'altro. Ci sarà un'enorme crescita della specializzazione nei singoli settori, c'è il rischio della perdita della connessione con un paradosso che in questa materia diverrebbe inquietante.
Nello stesso tempo, la sfida che viene dalla rete è particolarmente rilevante ed evidente sul terreno della città politica. Gli spazi politici sono stati messi radicalmente in discussione. E' ormai un luogo comune, quale che sia il libro, il saggio su Internet che apriamo, leggiamo tra le prime righe l'affermazione che i confini nazionali ormai non valgono più e che con essi è stata travolta la tradizionale sovranità degli Stati. Dunque uno degli elementi costitutivi dello Stato moderno che, come voi sapete, ha due elementi, ci raccontano gli studiosi: il popolo e il territorio.Il territorio ormai è l'intero pianeta, il popolo dei cybernauti è l'umanità intera, almeno in prospettiva. Chi può governare una dimensione che abbia queste caratteristiche?
Naturalmente le tentazioni di utilizzare queste tecnologie, in modo non da arricchire, ma da impoverire i processi democratici è molto forte. Prima ancora dell'avvento di Internet si è molto discusso delle potenzialità delle tecnologie elettroniche per costruire la città democratica per eccellenza. I referendum elettronici sembravano il non plus ultra della democrazia. Abbiamo poi visto come essi possano diventare null'altro che la via alla manipolazione della partecipazione politica, il passaggio da una democrazia dei cittadini a una democrazia del plebiscito, in cui i cittadini saranno magari nevroticamente chiamati a votare tutti i giorni, ma esclusi dai processi di elaborazione politica.Dunque, Internet ci offre la possibilità, aggiungerei l'obbligo, di riflettere invece su opportunità diverse. I cittadini non sono costretti a occuparsi soltanto del momento finale della decisione. Il sì o il no a una domanda che qualcuno dall'alto ci pone.Il problema più importante non è essere associati al momento finale della decisione. Internet ci insegna - posso usare proprio questa parola - che è possibile cambiare il procedimento di elaborazione delle proposte, farlo diventare da procedimento chiuso in poche stanze o ristretto a poche persone, farlo diventare fatto corale. La valutazione dei progetti, la loro preparazione possono diventare fatto aperto a un numero tendenzialmente definito di soggetti, che possono intervenire più volte nel processo di decisione proprio perché non abbiamo più un processo piramidale, dove ciascuno può intervenire in un momento soltanto del processo di decisione, che poi sale a un livello superiore dal quale coloro i quali si trovano più in basso vengono esclusi, ma il procedimento a rete consente continui inserimenti nel processo di decisione. Questo è il punto su cui dobbiamo discutere: più che moltiplicare le possibilità di intervenire, quasi che la democrazia fosse un ininterrotto sondaggio solo nel momento finale della decisione.La democrazia può diventare allora una democrazia continua, una democrazia che abbraccia l'intero processo di elaborazione e di decisione.
Si apre però in questo modo una sorta di conflitto tra usi sociali e usi commerciali di Internet, tra la richiesta di politiche pubbliche e invece la sottolineatura delle opportunità soltanto di regole private. Io insisto: dobbiamo liberarci da una visione puramente ideologica del problema e guardare in concreto quello che accade o che può accadere. Pensate alla questione dell'anonimato, in rete. E' una questione capitale, come voi tutti sapete.Qui vi è una significativa, importante convergenza tra le esigenze dello spazio sociale e politico, la libertà della discussione, l'ampiezza della partecipazione dei cittadini e le esigenze dello spazio economico, dove il commercio elettronico esige garanzie per gli utenti e per i partecipanti al processo di commercio elettronico, pena il rifiuto di questa dimensione. Se io vado in rete per acquisire beni e servizi senza la sicurezza per ciò che riguarda l'uso dei miei dati, evidentemente la dimensione del commercio elettronico può, già nel breve periodo, essere depressa o non avere la dinamica che ad essa si attribuisce.
Dunque, qui abbiamo una significativa convergenza intorno al tema del rispetto della privacy, della esigenza di anonimato nelle diverse dimensioni. Naturalmente con caratteristiche proprie, ma con un punto comune, vorrei dire con un denominatore comune di riferimento.Qui ci accorgiamo che stiamo non dico dando un addio definitivo alla vecchia nozione di privacy ma certamente possiamo cogliere con maggiore nettezza il fatto che da strumento di isolamento dagli altri, quale era l'antica nozione di privacy, diritto ad essere lasciato solo, la privacy diventa strumento di comunicazione. A me serve avere tutela dell'anonimato, a me serve la tutela della riservatezza della privacy non per isolarmi, ma per partecipare. Solo se sono certo del mio anonimato potrò partecipare senza timore di essere discriminato o stigmatizzato a gruppi di discussione in rete su temi politicamente sgraditi al potere dominante in un certo momento. Solo se avrò la certezza di non essere discriminato, potrò denunciare gli abusi, magari nel luogo dove io stesso lavoro.
Ecco allora che la riservatezza non è un problema di silenzio, di isolamento dagli altri, ma uno strumento di comunicazione. Allo stesso modo, nell'area del commercio elettronico, la riservatezza diventa lo strumento attraverso il quale, con fiducia, io accedo all'acquisto di beni o di servizi, avendo ad esempio la sicurezza che quelle mie informazioni non verranno ulteriormente utilizzate, fatte circolare, elaborate per costruire profili della mia personalità che potrebbero avere anche effetti discriminatori.Tuttavia, quando noi ci preoccupiamo di questa dimensione, dobbiamo tener conto che la dimensione della privacy non è da considerare soltanto da parte del soggetto attivo in rete, deve essere considerato anche dal punto di vista dei soggetti che possono essere a loro volta oggetto della comunicazione in rete. Mi spiego: se un imprenditore si sveglia tutte le mattine e trova in un sito particolarmente frequentato l'affermazione che arriva da un anonimo che questo imprenditore non è affidabile, consegna in ritardo, usa bambini per il lavoro, ecco, questa è sicuramente una affermazione che invade la sua sfera privata e se queste informazioni non rispondono alla realtà costituiscono sicuramente una invasione della sua sfera privata.Ci troviamo quindi, in rete, di fronte alla esigenza di tutelare due diversi interessi alla privacy: da una parte l'interesse di chi comunica; dall'altra l'interesse di chi, essendo oggetto della comunicazione, ha diritto di vedere la propria sfera privata difesa da ingiustificate invasioni altrui.
E qui si pone un problema, come voi tutti sapete, molto delicato: arrivare al soggetto che immette in rete informazioni che possono violare la privacy altrui. Problema delicato perché incide con la questione dell'anonimato, pone il problema di quali siano gli obblighi del provider, se deve accertare in ogni caso l'identità di coloro i quali si servono della rete; come e con quali garanzie di segretezza deve conservare questa informazione su chi, essendo stato identificato all'ingresso poi si manifesta in modo anonimo, con un nome di fantasia in rete e in quali casi è legittimo superare il segreto, per quali esigenze e in base all'intervento di chi. Evidentemente una soluzione può essere quella di ritenere che solo con esplicito provvedimento dell'autorità giudiziaria e in presenza di rischi per la privacy o altri tipi di rischi per l'organizzazione sociale l'anonimato possa essere superato.E' un problema ed è un problema che si ricollega poi alla questione della responsabilità dei providers. Voi sapete che è una questione aperta e io mi limito qui, poiché sarà certamente oggetto di ulteriori discussioni anche in questa mattinata, a segnalare soltanto un problema.
Se noi facciamo gravare un eccesso di responsabilità sul provider, sia responsabilità penali che civili nel senso di farne i responsabili dei danni arrecati a coloro i quali usano la rete, noi, consapevoli o meno, possiamo avviare dei processi di censura, nel senso che se il provider sa che, ammettendo in forme anonime, che non potranno essere superate alcuni soggetti in rete, che arrecheranno danni a terzi e sarà poi il provider a doverne rispondere perché non potrà essere superata la barriera dell'anonimato, il provider, per ovvie ragioni di autodifesa selezionerà in modo molto rigoroso non solo coloro i quali sono inaffidabili dal punto di vista economico, ma anche quelli che possono apparire scomodi o pericolosi per le opinioni che esprimono.Quindi noi affermiamo in astratto la libertà della rete, ma facciamo del provider un censore istituzionale e rischiamo in questo modo di entrare in contraddizione con un altro dei caratteri che alla rete viene attribuita, quella di essere un potente strumento di disintermediazione. Si dice: la possibilità del contatto diretto, superare gli intermediari tradizionali. E' vero, la comunicazione, punto a punto. Ma se noi, di questo intermediario tecnico, che è il provider, facciamo anche un intermediario sociale, un filtro giuridico, ricostituiamo condizioni di intermediazione in modo sicuramente pericoloso.
Qual è la via da seguire, allora? In questi anni i tentativi di cogliere la dimensione sociale, economica, giuridica di Internet ha spinto in molti casi ad analogie con altri schemi già noti. Questo è del tutto ovvio. La novità sconvolge in molti casi; sfida poi la pigrizia dei giuristi, i quali sono molto restii in molti casi ad abbandonare gli schemi ai quali sono affezionati e che danno loro certezza. Ecco che si è detto: la rete è molto simile alla disciplina dell'ambiente. Anche lì, nell'ambiente c'è un danno che ha la sua origine in un luogo lontano e che si propaga senza rispetto delle barriere nazionali. L'inquinamento del Danubio, che attraversa una serie di Paesi; le foreste di questo o di quello Stato danneggiati dalle piogge che hanno origine in uno stato lontanissimo; l'inquinamento delle nevi delle Alpi per effetto della sciagura di Chernobyl, non ci dicono qualcosa che ci riporta proprio alla rete, dove i fenomeni hanno origine in un luogo, effetto in un luogo lontano, diverso dal punto di vista dello Stato interessato e che quindi pone gravi problemi di quale sia il soggetto competente a intervenire, quale sia la regola da applicare.
Ancora: analogie tratte dal diritto della navigazione. L'alto mare è un luogo che non è soggetto alla sovranità degli Stati o il diritto dell'Antartide, come un luogo senza sovranità statuale, regolato da intese tra i diversi Stati, e ancora la suggestione della lex mercatoria, la legge creata spontaneamente dai rapporti tra mercanti nel Medio Evo. In una situazione in cui le frontiere sono attraversate con molta maggiore libertà di quanto avvenisse oggi; Marco Polo probabilmente arrivò fino alla Cina senza dovere esibire mai un passaporto.Quindi, lo schema che affascina qualcuno anche dal punto di vista linguistico, invece di lex mercatoria, in saggi, non nell'ambiente giuridico italiano affezionato al latino, ma negli Stati Uniti, hanno come titolo lex informatica.Tutte queste analogie con il passato colgono certamente aspetti veri della natura e della dimensione di Internet, ma solo qualche aspetto. La dimensione globale non è colta da queste analogie, che quindi, spinte oltre un certo limite, possono diventare anche un ostacolo a una corretta impostazione della questione istituzionale di Internet.
Certo, la sovranità nazionale è finita. E' finito quello che si è chiamato il territorio giacobino. Lo Stato moderno si è retto sull'idea di un territorio chiuso nei confini, governabile da un unico centro, dall'alto. Oggi ci troviamo di fronte all'assenza di confini, ma anche alla creazione di entità diverse dagli Stati, a diversi soggetti che da punti diversi intervengono per regolare il traffico in rete e quindi la prima questione è la ricognizione della complessità dei diversi centri di potere che regolano questo universo.Non possiamo più pensare che sia soltanto una la sede della regolazione. Su questo, credo, che si vada creando un consenso piuttosto diffuso, che taglia da una parte gli assertori invincibili della libertà anarchica in rete, e dall'altra i sostenitori dell'altrettanto invincibile logica della regolazione da parte di un unico centro: lo Stato o altro che sia.
La logica è piuttosto quella che io chiamerei di una strategia integrata, che vede presenti soggetti e strumenti diversi, che io elenco con estrema rapidità, cercando di concludere questa mia introduzione.Atti internazionali e sovranazionali, di varia provenienza, convenzioni, ma non soltanto. Pensate in questo momento allo sforzo che sta facendo l'OCSE di rivitalizzare le sue linee direttive del 1981, per adattarle alla nuova grande dimensione di Internet. Le norme nazionali, di vario rango; l'intervento dei giudici, che nell'ultimo anno ha, soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti, manifestato una particolare vitalità e dato maggiore concretezza alla riflessione proprio sui problemi giuridici di privacy. I codici di deontologia, richiamati anche esplicitamente dalla direttiva europea 95/46. Le certificazioni da parte di soggetti. Il ricorso ai contratti. Gli standards tecnici, le privacy enhancing technologies, che costituiscono anche qui una sorta di modello linguistico che si ritrova altrove. La ricerca più interessante che io abbia letto negli ultimi tempi, proprio un mese fa, della ..... University e di Benjamin Barber, nome noto a voi tutti, si intitola Democracy enhancing technologies, dove il calco linguistico è proprio quello del PET, delle privacy enhancing technologies.Vorrei dire rapidamente pochissime cose su questo punto capitale, perché in questo momento l'accento posto proprio sulle tecnologie protettive dei diritti della privacy in primo luogo è molto forte e tende in molti casi ad essere presentato come un approccio al problema, che esclude tutti gli altri nel senso che l'arricchimento dello strumentario tecnologico può rendere inutile, superfluo o del tutto accessorio il tipo di regola giuridica o comunque norme sia statuali e perfino norme deontologiche.
Io credo che qui la questione sia particolarmente importante. Dobbiamo renderci conto che le privacy enhancing technologies non costituiscono la risposta a un problema tecnico. Herbert Burker insiste e ci richiama sempre alla necessità di riflettere su questo punto. Sono un tentativo di rispondere a un problema politico e sociale, dunque non possono essere descritte all'insegna della neutralità.Faccio soltanto un caso - avremo in questi giorni opportunità di valutare tutti questi aspetti, io non anticipo soluzioni, non voglio invadere i campi degli altri relatori, richiamo soltanto alcuni problemi. Quando noi insistiamo, con particolare attenzione e intensità, sulla opportunità di tecniche di filtraggio per tenere al riparo i minori dall'accesso a informazioni e a siti che possono rappresentare un rischio per essi; a tecniche di filtraggio per ciò che riguarda i siti nei quali si manifestano violenza, discriminazione razziale, il negazionismo che sta invadendo alcune reti negli Stati Uniti per tutto ciò che riguarda, per esempio, la vicenda nazista, apparentemente ci dotiamo di strumenti tecnici che danno una risposta soddisfacente a esigenze socialmente diffuse. Ma noi non ci rendiamo sempre conto - anche se ormai il problema è sottolineato con grande intensità - che stiamo creando nuovi, accentrati e incontrollati centri di potere perché il potere di classificare l'informazione come violenta diventa in quel momento il potere socialmente più rilevante perché se a quella classificazione corrisponde poi sul mio software un segnale per cui automaticamente io vengo escluso dall'accesso a quel tipo di informazione, voi vi rendete conto, immediatamente, delle conseguenze sociali e politiche di questo tipo di classificazione. Non è né innocente né neutrale il ricorso a queste tecnologie. Va valutato per il quadro istituzionale all'interno del quale si inserisce, ma le polemiche intorno al Communication Decensy Act, al Wchip e a tutto ciò che ha questa caratteristica, alla crittografia non ci dicono proprio che entriamo su un terreno socialmente e politicamente assai sensibile, di cui vanno ridefiniti i termini e i confini. Non siamo di fronte a tecnologie neutre, neutrali; siamo di fronte a tecnologie in cui si manifesta al massimo grado la forza di modello sociale della rete e quindi esigono una seria discussione sul quadro istituzionale, all'interno del quale noi possiamo muoverci e dobbiamo muoverci.
Tutto questo mi porta a dire, anche se in passato molte volte, ancora nella relazione che ho fatto all'inizio di quest'anno all'OCSE mi limitavo a dire: ci troviamo di fronte a tutte quelle forme e a tutti quei soggetti che possono intervenire, si tratta di integrarli opportunamente. Ma prima di integrarli, è necessaria una riflessione accurata su ciascuno di essi.Le privacy enhancing technologies richiedono questo tipo di riflessione; il riferimento alle norme giuridiche richiede altrettanta riflessione critica. Che tipo di norme giuridiche? Norme giuridiche di tipo stringente o norme giuridiche elastiche, capaci di autoadattarsi alle situazioni che cambiano? Questa è una domanda alla quale dobbiamo rispondere.E poi, anche all'interno delle stesse tecnologie, del filtraggio, comincia a porsi il problema, ma noi non rischiamo di introdurre un elemento di rigidità. Che tipo di rigidità introduciamo quando stabiliamo un rapporto tra codici, che riflettono valori e che escludono poi l'accesso a determinati siti, e se cambia la valutazione sociale? Quali interventi dovranno essere fatti sui software? Quali costi, anche economici, dovranno essere sopportati?Problemi tutti che richiedono non solo la considerazione del fatto che ci sono diverse tecniche che devono combinarsi, ma del fatto che queste tecniche, entrando nella nuova dimensione, trovano sicuramente una ridefinizione.
Dobbiamo fare due operazioni contemporaneamente. Per i codici deontologici, ad esempio - e bisogna dirlo, credo con sincerità - finora hanno funzionato poco. Sono codici di prima generazione, in qualche caso, se li leggiamo, poverissimi di contenuto normativo, sono più delle dichiarazioni di intenzioni. Sono più degli strumenti che hanno una finalità di prima rassicurazione di angosce sociali che veri e propri insiemi di regole. Infatti chi riflette su questi temi si chiede se siamo di fronte a quella massa critica necessaria perché i codici deontologici possono pesare effettivamente come strumenti di regolazione.
Concludo: qui ci troviamo di fronte a diversi problemi, che ho cercato sommariamente di indicare, non li ho indicati tutti, ne ho indicati alcuni e vorrei concludere con una considerazione.Io dico qualche volta scherzando che quando riflettiamo su Internet dobbiamo fare i conti con tre P: pornografia, privacy e proprietà.La pornografia è un problema ma può diventare anche lo strumento per introdurre forme di censura. La risposta della Corte Suprema americana al Communication Decency Act, quale che sia il modo in cui noi la valutiamo è sicuramente l'espressione di queste preoccupazioni. E ci dice anche un'altra cosa: che noi abbiamo bisogno, in primo luogo, di principi di riferimento molto forti: possiamo articolare come vogliamo i diversi strumenti. Ma quali sono i principi di riferimento? Non sempre è indispensabile riscrivere questi principi di riferimento. La Corte Suprema degli Stati Uniti, come sapete tutti, ha basato la sua decisione sul free speech, sulla libertà di manifestazione del pensiero, 1° emendamento della Costituzione americana, approvato il 25 settembre 1789. Quando i principi sono forti, socialmente condivisi, non è la data di nascita a contare, ma i principi sono necessari. Per Internet come per tutti gli altri aspetti della vita democratica, noi abbiamo bisogno di un quadro forte di principi di riferimento, all'interno del quale poi troverà posto, in una logica non più monocentrica, ma corale, una molteplicità di soggetti e di strumenti.
Privacy, non ho bisogno di insistere su questo punto: è uno dei grandi terreni di verifica non solo della efficienza di Internet, ma anche della sua capacità democratica. Se tutela della privacy significa nello stesso tempo dinamica economica e partecipazione politica, è chiaro che qui si gioca l'una e l'altra.
Proprietà: noi avremo questo pomeriggio un discussione molto impegnativa, ma evidentemente la estensione senza ragioni solide della logica proprietaria a tutti gli oggetti che possono essere portati in rete, può comportare restrizioni forti dello stesso diritto di sapere. L'enfasi posta tante volte su Internet come la biblioteca totale - non dirò la biblioteca di Babele di Borges - rischia di essere vanificata proprio dalla logica proprietaria. La biblioteca pubblica nella storia della civiltà, dalla biblioteca di Alessandria distrutta dall'incendio, fino alla très grande bibliothèque di Mitterrand è l'accesso libero e gratuito di tutti al sapere. Internet non può diventare il luogo dove alcuni acquistano i diritti sui musei e subordinano poi al pagamento di un pedaggio la possibilità di accedere da lontano alla visione della Gioconda o della Primavera di Botticelli.
Stiamo discutendo sicuramente di dati molto concreti, ma stiamo anche disegnando o ci stiamo interrogando intorno al futuro della cittadinanza democratica.

sabato 27 ottobre 2007

Programmi dei miei corsi

Programma del corso di Informatica per le Scienze Giuridiche (Università di Roma "La Sapienza") - Primo semestre -

Il corso si propone di approfondire il rapporto fra informatica ed attività legislativa.
Saranno affrontati in particolare i seguenti argomenti:
- diritto e informatica
- informatica documentaria
- informatica metadocumentale
- inquinamento legislativo
- inflazione legislativa
- legistica
- legimatica
- progettazione legislativa

Testi per la preparazione dell'esame:

M. Sirimarco (a cura di), Informatica diritto e filosofia. Saggi di informatica per le scienze giuridiche, Aracne, Roa, 2007, in corso di stampa.


Programma del corso di Informatica Giuridica (Facoltà di Giurisprudenza, Università di Teramo) - Secondo semestre -

Il corso si articolerà in due parti. Nella prima, a carattere generale, dopo aver delineato gli incerti confini della disciplina, saranno affrontate le principali questioni e passati in rassegna i più importanti argomenti che riguardano il rapporto fra diritto e informatica. Nella seconda parte sarà dato spazio all’approfondimento del rapporto fra informatica ed attività legislativa.

Programma d'esame
Parte generale: definizioni e problemi dell'informatica giuridica - Informatica giuridica teoria generale e filosofia del diritto - De-territorializzazione e de-centralizzazione - Origini dell'informatica giuridica - Informatica giuridica e diritto dell'informatica - Informatica e ricerca giuridica - Sistemi esperti legali - Informatica giudiziaria - Banche dati e privacy - Tutela del software - Firma digitale e documento informatico - Informatica e pubblica amministrazione - Telelavoro - Problematiche giuridiche di Internet
Parte speciale: informatica e attività legislativa: dalla legistica formale alla legistica sostanziale; la legimatica; la valutazione legislativa.

Testi per la preparazione dell’esame:

- A.C. Amato Mangiameli, Diritto e cyberspace, Giappichelli, Torino, 2000 (da pag. 1 a pag. 110 e da pag.163 a pag. 254);
- M. Sirimarco (a cura di), Informatica diritto e filosofia. Saggi di informatica per le scienze giuridiche, Aracne, Roma, in corso di stampa.
- R. Pagano, Introduzione ala legistica, Giuffrè, Milano, 2004, da pag. 1 a pag. 184 (per gli studenti non frequentanti).

giovedì 25 ottobre 2007

Una gabbia per la Rete?

Come se non bastassero i tanti fronti di impopolarità aperti, il governo Prodi, nel pieno di una serie di passaggi nevralgici (legge finanziaria) e problematiche serie che attengono al rapporto di rappresentanza (legge elettorale), non trova di meglio che concentrarsi su un provvedimento ai limiti della correttezza e della legalità costituzionale, un provvedimento che potrebbe limitare, e di molto, la libertà di manifestazione del pensiero che Internet garantisce, di contro al controllo oligarchico e monopolistico sugli altri mezzi di comunicazione.
Mi associo all'appello lanciato da Beppe Grillo contro questa proposta, confidando in una ferma reazione del popolo della rete e dei parlametari più sensibili e lungimiranti.

Eccovi l'interventi di Grillo:

Ricardo Franco Levi, braccio destro di Prodi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha scritto un testo per tappare la bocca a Internet. Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre. Nessun ministro si è dissociato. Sul bavaglio all'informazione sotto sotto questi sono tutti d'accordo.La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell'Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.I blog nascono ogni secondo, chiunque può aprirne uno senza problemi e scrivere i suoi pensieri, pubblicare foto e video.L'iter proposto da Levi limita, di fatto, l'accesso alla Rete.Quale ragazzo si sottoporrebbe a questo iter per creare un blog?La legge Levi-Prodi obbliga chiunque abbia un sito o un blog a dotarsi di una società editrice e ad avere un giornalista iscritto all'albo come direttore responsabile.Il 99% chiuderebbe.Il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura.Il disegno di legge Levi-Prodi deve essere approvato dal Parlamento. Levi interrogato su che fine farà il blog di Beppe Grillo risponde da perfetto paraculo prodiano: "Non spetta al governo stabilirlo. Sarà l'Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà discussa e approvata dalle Camere".Prodi e Levi si riparano dietro a Parlamento e Autorità per le Comunicazioni, ma sono loro, e i ministri presenti al Consiglio dei ministri, i responsabili.Se passa la legge sarà la fine della Rete in Italia.Il mio blog non chiuderà, se sarò costretto mi trasferirò armi, bagagli e server in uno Stato democratico.