Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


venerdì 28 novembre 2008

Creative Commons e SIAE

Immaginatevi un dialogo fra lo scrittore filosofo Luciano De Crescenzo e Jerry Yang, il fondatore di Yahoo! Improbabile dite? Sarà. Eppure quello andato in scena stamane a Milano fra Joi Ito, numero uno del movimento Creative Commons per la riforma del diritto d'autore, e Giorgio Assumma, presidente Siae, Società italiana autori e editori, ci assomigliava non poco. Due universi paralleli a confronto, sempre sull'orlo di incontrarsi e andare d'accordo, per poi allontanarsi improvvisante marcando di volta in volte le differenze che li separano.

Un giovane ricercatore americano di origini asiatiche da un lato, e un esperto avvocato degno dei tempi che furono dall'altro. Il presente e il passato, insomma, uno di fronte all'altro moderati da Massimo Micucci, presidente Retionline che ha organizzato l'evento. E al centro del contendere il diritto d'autore di un'opera d'ingegno - che sia un libro o un disco - e le relative libertà di deciderne il destino: se renderla ad esempio pubblica gratuitamente o no, e soprattutto come garantire l'eventuale retribuzione dovuta agli autori dell'opera.

Un problema dibattuto da anni e ben conosciuto da coloro che navigano in Internet, dove ad esempio è possibile scaricare file audio e video di artisti noti e meno noti, spesso senza nemmeno pagare quanto per legge è dovuto all'autore. E intaccando - denunciano case discografiche e cinematografiche in primis - i proventi destinati alle pur floride casse dell'industria dell'intrattenimento.

Un vero e proprio braccio di ferro, insomma, quello fra gli utenti e gli artisti emergenti da un lato, e la grande industria della musica, del cinema, e in molti casi dell'editoria dall'altro. In mezzo, almeno per quanto riguarda l'Italia, la tanto vituperata Siae, ovvero l'ente pubblico economico a base associativa, preposto alla protezione e all'esercizio dei diritti d'autore, presente in forze all'incontro dal titolo "Copyright e Creative Commons. Diritti e poteri sul web".

L'arrivo di Creative Commons. Già, perché da quando nel 2001, il professor Lawrence Lessig, ordinario della facoltà di Giurisprudenza di Stanford, propose di affrontare il problema del copyright concedendo all'autore il potere di decidere in completa autonomia il destino della propria opera, da quel momento, la cosiddetta licenza Creative Commons, altrimenti conosciuta come CC, ne ha fatta di strada e le cose sono cambiate.

Solo in Italia, ad esempio, Creative Commons è stato utilizzato recentemente da Feltrinelli, da La Stampa Alternativa e da La Stampa di Torino per vari inserti culturali, solo per citare alcuni esempi. Si stimano all'incirca 5 milioni di contenuti, (per lo più pagine html, ma anche video e libri) con licenza Creative Commons. Mentre nel mondo, sono almeno 200 milioni i contenuti protetti con questo marchio.

Concretamente, come si legge sul sito dell'organizzazione, le licenze Creative Commons offrono sei diverse articolazioni dei diritti d'autore per artisti, giornalisti, docenti, istituzioni e, in genere, creatori. Il detentore dei diritti può non autorizzare a priori usi prevalentemente commerciali dell'opera (opzione Non commerciale, acronimo inglese: NC) o la creazione di opere derivate (Non opere derivate, acronimo: ND); e se sono possibili opere derivate, può imporre l'obbligo di rilasciarle con la stessa licenza dell'opera originaria (Condividi allo stesso modo, acronimo: SA, da "Share-Alike"). Le combinazioni di queste scelte generano le sei licenze CC, disponibili anche in versione italiana.

Si tratta in sostanza di uno strumento tecnico e giuridico che permette all'autore di un qualsiasi contenuto (ad esempio libri, musica, video) di scegliere liberamente quali diritti di proprietà intellettuale riservarsi e quali cedere per l'utilizzo da parte di terzi. Una soluzione alternativa, cioè, al dispositivo giuridico di "Tutti i diritti riservati". E che con la sua flessibilità permette agli utenti del Web di fruire dei contenuti disponibili in rete, modificarli e migliorarli.

Quali diritti sul Web? E così, in occasione dell'incontro, tocca allo stesso Joi Ito portare il primo affondo. "Io sono un fotografo amatoriale", ha detto, "e ovviamente ho pubblicato le mie foto online proteggendole con una licenza CC. Con sorpresa devo ammettere che il cento per cento dei siti o blog che usano le mie foto riportano il nome dell'autore così come richiesto dalla licenza, mentre mai nessun giornale o editore che utilizza le mie foto ha scritto da chi erano state scattate". In altre parole - spiega l'amministratore di Creative Commons - il diritto d'autore, così come è adesso, garantisce essenzialmente le grandi realtà, ma non serve a chi non si può permettere avvocati o processi, o semplicemente al normale cittadino della rete che vorrebbe difendere la sua opera di ingegno.

Pronta la risposta della Società degli autori e editori: "La regole della Siae non le fanno gli Ufo", ha tenuto a precisare il vicepresidente della società autori editori, Lorenzo Ferrero, "le decidono gli autori e gli editori". Come a dire: attenzione, non ci stiamo a essere il capro espiatorio solo perché ci chiamiamo Siae. E il portavoce dell'ente, Sapo Matteucci, rincara la dose: "Attenzione: internet non è questo paradiso in cui tutto è gratis. Vi dicono che potete scaricare quello che volete, ma in realtà lo pagate, solo che i soldi arrivano agli operatori delle telecomunicazioni che vi vendono la connessione e non agli autori e agli editori". E Virginia Filippi, consulente Siae, aggiunge: "E' vero che internet ha ampliato il mercato, e quindi le possibilità di guadagno, ma è proprio la difficoltà di ricondurre questo valore extra al diritto d'autore che preoccupa. Di fatto le entrate per gli autori quest'anno si sono ridotte del 30 per cento".

Un dato in controtendenza, almeno a sentire quanto ha dichiarato proprio oggi la Atlantic records, del gruppo Time Warner, nota per aver pubblicato album e cd di famosi artisti come Ray Charles, John Coltrane e i Led Zeppelin. Secondo la società il 51% del proprio fatturato del 2008, infatti, proviene dall'online, mentre il restante attraverso i supporti fisici tradizionali come cd, dvd.

Numeri alla mano. D'altra parte, secondo una ricerca del luglio 2008 presentata in occasione del convegno, il 53 % pensa che scaricare da internet danneggi molto o abbastanza l'autore, mentre il restante 47 % poco o per nulla. Campione spaccato a metà, quindi, di cui però il 60 %, chiede la fruizione gratuita delle opere, contro un 40% che preferisce che le cose rimangano come sono ora. Mentre il 45% dichiara di aver fatto uso di software scaricati gratuitamente da internet, e il 32% di aver scambiato frequentemente file musicali, video e/o immagini.

L'esempio olandese e danese. "La licenza Creative Commons non vale per tutte le situazioni" ammette Ito "bisogna vedere caso per caso. E' chiara però è la differenza fra una normale gestione del diritto d'autore e quello che proponiamo. E cioè ad esempio, per utilizzare un'opera, secondo il modello attuale, genericamente bisogna chiedere preventivamente il permesso, mentre con la licenza CC tale permesso è definito a monte dall'autore".

Una differenza non da poco, tanto che in Olanda e in Danimarca le società di autori e editori, rispettivamente Buma/Stemra e Koda, hanno adottato in via sperimentale le licenze Creative Commons come alternativa possibile per gli autori di quei paesi. Cosa che in Italia, fra riunioni, gruppo di studio e promesse, non è ancora stato fatto, e che lo stesso Juan Carlos De Martin, a capo della sezione italiana di Creative Commons, presente al convegno, ha chiesto nuovamente di prendere in considerazione. A rispondere, il solito, affabile, Assumma: vediamoci, parliamone, entrate nei gruppi di analisi della Siae. Come a dire: dobbiamo cambiare, ma ci vuole tempo e volontà politica. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

www.repubblica.it

giovedì 20 novembre 2008

Una biblioteca da 2 milioni di libri

Microsoft si ispirava alla biblioteca di Alessandria, ma fallì. L'Unione europea si rifà invece alla "Biblioteca di Babele" di Borges. E lancia la sfida ai grandi dell'informatica, Google in testa: mettere insieme il sapere custodito dalle biblioteche di tutta Europa nel pieno rispetto dei diritti d'autore e sfruttando le potenzialità di Internet. Nasce così www.Europeana.eu, la biblioteca online di Bruxelles che da domani sarà liberamente accessibile a studenti, ricercatori, professori e semplici amanti di letteratura e arte. Perché Europeana non conterrà solo libri, ma anche musica e quadri. Una vera e propria sfida al mastondontico progetto di Google di raccogliere tutto il sapere dell'umanità.

Si comincia, dunque, domani con circa due milioni di opere, tra cui la Divina Commedia, i manoscritti e le registrazioni di Beethoven, Mozart, i quadri di Vermeer, la Magna Carta e le immagini della caduta del muro di Berlino. Ma anche opere altrimenti introvabili, perché custodite in diversi musei del Vecchio Contiente. Come il Codice Sinaitico, antichissima traduzione in greco dell'Antico e del Nuovo Testamento oggi sparpagliato in quattro diverse bilbioteche: ebbene per la prima volta sarà liberamente consultabile nella sua versione integrale.

Grazie a Internet e alle tecniche di digitalizzazione, "uno studente italiano potrà consultare i lavori della British Library senza andare a Londra", ha detto a Repubblica Viviane Reding, commissario Ue responsabile del progetto. "E' un sogno antico che diventa reale - ha aggiunto - chiunque può avere libero accesso alla nostra cultura, l'eredità che accomuna ogni europeo".

"Se un taxista di Roma - spiega Reding - sente casualmente in radio un brano di Chopin può andare su Europeana e capire chi era l'autore, leggere le sue lettere d'amore, vedere la casa dove viveva quando ha composto l'opera e vedere gli spartiti originali". Così come uno studente, o un esperto, può guardare le mappe dei Conquistadores o scoprire le diverse espressioni dell'art nouveau nelle varie città d'Europa.

L'obiettivo è di arrivare a 10 milioni di opere entro il 2010. Significherebbe superare Google Book Search, lanciato nel 2004, che oggi conta circa 7 milioni di volumi più una vasta serie di cause per la violazione dei diritti d'autore. Ma la Ue vorrebbe aggirare l'ostacolo ottenendo il copyright dagli enti e dagli istituti europei che lo hanno già acquistato per sé. E il compito più arduo sarà proprio la digitalizzazione dei testi, un'impresa che portò la Microsoft ad abbandonare il suo progetto di biblioteca alessandrina in formato Pdf lanciato nel 2006. In un anno e mezzo il colosso di Bill Gates aveva importato in formato elettronico solo 750.000 volumi.

Ma la Ue non si scoraggia: "Abbiamo dei progetti pilota per accelerare la copia in digitale e un nuovo traduttore automatico", spiega la Reding. Che si richiama alla Biblioteca di Babele: "Nel racconto di Borges la gente impazziva perché si trovava di fronte ad una infinità di lingue e contenuti. Noi facciamo il contrario: selezioniamo il materiale giusto, lo ordiniamo e lo corrediamo di critica e interpretazione certificata dai massimi studiosi del Continente".

Insomma, niente a che vedere con il normale caos delle ricerche su Internet e con le spiegazioni spesso date da esperti improvvisati.

sabato 8 novembre 2008

Internet e diritto d'autore: la posizione della SIAE

Gli autori, gli editori, i produttori, insomma l’intera industria dei contenuti ci è cascata dentro fino in fondo. Nella rete. Quella digitale. E non riesce a districarsene. Un intrico di tecnologie sempre più efficaci e pervasive, norme, interessi economici prevalenti, forse anche strategie di marketing e offerte legali partite in ritardo, hanno fatto sì che ormai l’intera filiera dei contenuti creativi abbia subito dagli scaricamenti illegali di opere tutelate, danni incalcolabili. Un’opinione pubblica che fa leva sulla “libertà del consumatore” di scaricare dalla rete opere protette senza corrispondere alcunché perché “la cultura deve essere libera e gratuita”, ha fatto il resto. Così oggi, per comprare una valigia on line, un biglietto aereo, un orologio…si ritiene giusto dover prima pagare, mentre per una canzone, un film, un testo letterario si sostiene di no: la merce “mercantile” va rispettata, la più “spirituale” opera dell’ingegno, no. C’è qualcosa di straordinario in questo ribaltamento di prospettiva, tant’è che qualcuno si è spinto a prospettare la formula del “sulla rete tutto (film, musica, foto ecc.) libero, salvo avvertenza contraria”. Come se su un’ automobile parcheggiata o su un cavolfiore al mercato, dovesse campeggiare la scritta “vietato appropriarsene senza pagare”, altrimenti, senza avvertenza, ognuno può prendersi ciò che vuole. Si legga, in questo senso, il bel pamphlet “La gratuità è un furto”, scritto da Denis Olivennes, Direttore del “Nouvel Observateur”, pubblicato ora in Italia da Scheiwiller.

Va da sé che il problema sta nella riproducibilità estrema, che cambia radicalmente i connotati del consumo culturale nella rete. E’ questo il confine: non etico, non giuridico, non estetico. Bensì materiale. Un confine che fa apparire naturale la sottrazione: mi approprio di tutto ciò che è immateriale perché posso farlo, in barba al lavoro di chi ha scritto, filmato, prodotto, diffuso. E se questo è l’effetto immediato, fa specie che un effetto, invece più mediato, sia quello di piegarsi acriticamente al diktat tecnologico, agitando per di più il vessillo della libera circolazione della cultura. Se fosse clonabile un’ auto, l’industria automobilistica chiuderebbe e milioni di persone perderebbero il loro lavoro, con la scusa del diritto alla mobilità.

Chiamare pirati i ragazzini che scaricano illegalmente file musicali e cinematografici da magazzini digitali sempre più vasti, non risulta certo facile. E nemmeno giusto. Il peer to peer ha creato una ricchezza d’offerta ineguagliabile, i ragazzini (ma non solo loro) scaricano per uso personale (senza lucro come fanno invece i veri pirati) assemblano e spesso trovano ciò che in catalogo non c’è più. E allora perché criminalizzarli? Le leggi attuali in tutto il mondo sono severe, prevedono multe a tre zeri e anche sanzioni penali, ma forse proprio per questo sembrano difficilmente applicabili ai singoli. Negli Stati Uniti s’è scelta la via di alcune sentenze esemplari per dare un segnale. Ma è questa la strada? Che fare? Rassegnarsi alla sottrazione continua (come se in una libreria si tollerasse il furto di libri perché si leggono o, in un negozio, di maglioni perché s’indossano)? Limitarsi a dire che la rete ha stravolto tutto e che quindi i diritti d’autore (solo quelli, mentre tutti gli altri diritti di proprietà, dai costi degli abbonamenti, ai computer, alle memorie ecc. vanno invece rispettati) così come sono attualmente, non servono più a niente, senza per altro offrire alternative concrete e praticabili? Cercare qualche soluzione, evitando di disturbare troppo i manovratori delle industria tecnologica che fanno utili a palate anche e soprattutto grazie agli scaricamenti illegali? Evitare di urtare politici sensibili al consenso di massa dei navigatori-consumatori?

Dopo un decennio di spolpamento degli autori, degli editori e dell’industria dei contenuti, qualche proposta, non per distruggere ma per governare il fenomeno del peer to peer si va configurando, come è emerso dai lavori delle Stati Generali del Cinema a Roma, che hanno riunito autori, produttori, internet provider, specialisti di sicurezza informatica, associazioni di consumatori, ingegneri e esperti in diritto d’autore.

Nel mondo si prospettano a breve (Francia, Gran Bretagna) o sono già operative (Olanda, Nuova Zelanda, Australia, Giappone) leggi, accordi o codici di comportamento che in sostanza si fondano sulla cooperazione tra autori, industria dei contenuti e internet provider, coloro cioè che incassano dal “cittadino-consumatore” le quote per gli abbonamenti con cui si viene connessi alla rete. Il sistema, in sintesi, prevede che, direttamente o indirettamente (tramite Autorità terze) verrà inviato per due volte, a chi scarica illegalmente opere tutelate, un avviso-richiamo. Alla terza infrazione si potrà procedere al taglio del servizio. Si tratta d’una specie di patente a punti, che tende a informare e responsabilizzare l’utente tramite una serie d’avvisi. I rappresentanti dei produttori si sono detti favorevoli a questa via. Gli internet provider si sono invece dichiarati d’accordo con l’invio degli avvisi, ma non con gli eventuali tagli del servizio. Dello stesso parere, il Professor Juan Carlos De Martin del Politecnico di Torino, storico sostenitore della flessibilità dei diritti d’autore per l’on-line (secondo il sistema dei cosiddetti Creative Commons) che ritiene eccessivamente sanzionatorio e non ben normato il taglio d’un servizio fondamentale per il cittadino qual è internet, concordando sulle censure dichiarate in questo senso dal Parlamento Europeo. Lo stesso De Martin, si è detto invece, favorevole a un sistema di licenza legale che a fronte di un pagamento forfettario da parte di chi incassa gli abbonamenti (gli internet provider) permette gli scaricamenti di opere tutelate. Anche il rappresentante della Federazione degli Autori di Musica Italiani (raccoglie in pratica la maggioranza degli autori musicali italiani) Franco Micalizzi e lo sceneggiatore Francesco Scardamaglia a nome dei Cento autori, si sono dichiarati d’accordo con questa ultima ipotesi. Insomma libertari della rete e detentori dei diritti si sono trovati, per una volta, insieme.

Per la SIAE, è di estrema importanza che si cominci concretamente a parlare delle soluzioni in campo, perché i lamenti finora non sono serviti a molto e “il contatore” delle connessioni a internet continua a scattare, mentre il consumatore continua a pagare le connessioni, con le quali può scaricare musiche, film, canzoni senza corrispondere alcun diritto. A tutto vantaggio dell’industria tecnologica, non di chi ha lavorato e lavora ai contenuti. Insomma, continua la prevalenza assoluta del contenitore sui contenuti con buona pace di chi lavora proprio a questi ultimi.

di Giorgio Assumma
Presidente SIAE

mercoledì 5 novembre 2008

Internet e le elezioni americane

Sarà, probabilmente, l'ultima campagna elettorale americana dominata dalla televisione. Già in queste elezioni il web è stato più rilevante rispetto ai quotidiani nella formazione dell'opinione pubblica.

Secondo una rilevazione del Pew Research Center, molti più americani hanno navigato su internet alla ricerca di informazioni sui candidati di quanto non abbiano fatto nel 2004. Nonostante la televisione sia ancora la fonte dominante per le informazioni elettorali, la percentuale di coloro che si sono rivolti a internet per formarsi una opinione è triplicata rispetto all'ottobre 2004 (da 10% al 33%).

Se internet ha già superato i quotidiani come fonte principale rispetto alla campagna elettorale, alcuni dati fanno presagire che già dalle prossime elezioni il sorpasso potrebbe consumarsi anche nei confronti della televisione. Secondo la ricerca, infatti, nella fascia di età tra i 18 e i 29 anni gli elettori che hanno scelto internet sono il 49% rispetto al 61% che si è dedicato alla televisione e il 17% dei giornali.

Nella fascia immediatamente successiva (30-49 anni), le percentuali sono 70% televisione, 37% internet, 23% quotidiani. Negli over 45 invece televisione e quotidiani fanno la parte del leone (82% e 45%) mentre internet è presente solo con un 12%. La proiezione di queste dati sembra indicare una tendenza: tra quattro anni il web potrebbe essere il media più rilevante nella formazione dell'opinione pubblica americana.

da
www.corriere.it