Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


venerdì 18 dicembre 2009

Documenti grandi, ecco come inviarli

Per lavoro o per divertimento spesso abbiamo bisogno di inviare file piuttosto pesanti. Rispetto a qualche tempo fa le caselle di posta elettronica sono diventate più capienti ma l'invio di certi allegati continua a rimanere un problema. Ecco alcuni servizi online per inviare i file direttamente tramite email oppure per "parcheggiarli" sui server disponibili fino a quando il destinatario non li recupererà e, comunque, per un periodo di tempo limitato. Sono gratuiti e, nella maggior parte dei casi, non richiedono registrazione

WeTransfer (https://www.wetransfer.com/) Permette di inviare file fino a due giga e non richiede registrazione. Una volta collegati è sufficiente selezionare il file da inviare, inserire indirizzo di posta elettronica del destinatario, indirizzo email personale e, a scelta, anche un messaggio.

Filedropper (http://www.filedropper.com/) Per caricare file fino a 5 Gb. Una volta eseguito l'upload si ottiene un link che può essere condiviso con i destinatari.

Filemail (http://www.filemail.com/it/) Per inviare file fino a 2 Gb. Non richiede registrazione. Ha anche un account Premium (fino a 10 Gb) a 4 dollari al mese e una versione Corporate a 45 dollari al mese per file superiori ai 10 Gb.

QuickBigFile (http://quickbigfile.com/) Consente l'invio di file fino a 2.5 Gb. Il suo utilizzo è molto semplice: è sufficiente caricare il file, impostare indirizzo del mittente e del destinatario e riempire il corpo del messaggio. I file rimangono su QuickBigFile per 30 giorni. E' anche possibile ricevere una mail di notifica nel momento in cui il destinatario effettua il download.

Yousendit (http://www.yousendit.com/) Permette di inviare fino a 2 Gb di file. Una volta caricato, il destinatario riceve una mail con un link dove poter scaricare il contenuto. Il file rimarrà disponibile per una settimana e poi verrà cancellato. Per spedire file più grandi e più velocemente esiste anche il software Yousendit Express (http://www.yousendit.com/cms/standalone-app) disponibile per WIndows e Mac.

TransferBigFiles (http://transferbigfiles.com/) E' possibile inviare gratuitamente fino a 2 Gb di file. Il contenuto rimane disponibile per 5 giorni, oppure per 30 se avete effettuato la registrazione al servizio.

Megaupload (http://www.megaupload.com/) E' possibile inviare gratuitamente file fino a 1024 Mb. Si clicca su Sfoglia, si sceglie il file da caricare. Alla fine del percorso si ottiene una Url da poter condividere.

Fileurls (http://fileurls.com/) La differenza rispetto agli altri servizi è che permette di inserire una password per proteggere i file e di scegliere per quanti giorni renderlo scaricabile

PipeBytes (http://host01.pipebytes.com/) Non richiede registrazione e non è necessario inserire la propria mail o quella del destinatario. Una volta caricato il file viene prodotta una url da condividere. Stream File (http://www.streamfile.com/) Permette di inviare file fino a due giga, il funzionamento è identico ai servizi precedenti.

Katia Ancona
www.repubblica.it

giovedì 17 dicembre 2009

"Le leggi per la Rete" di Stefano Rodotà

L'Italia ha scoperto la Rete. Appena ieri era divenuta evidente per tutti la forza di Internet quando proprio da lì era partita l'iniziativa che era riuscita a portare in piazza un milione di persone per il "No B Day".

Si materializzava così una dimensione della democrazia inedita per il nostro paese. Pochi giorni dopo quell'immagine appare rovesciata. Internet diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B Day" è presentato come un momento d'incubazione dei virus che avrebbero reso possibile l'aggressione a Berlusconi, Internet come lo strumento in mano a chi incita alla violenza.

Conclusione: la proposta di un immediato giro di vite per controllare la Rete, secondo un abusato copione che trasforma ogni fatto drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto d'ordine pubblico, limitando libertà e diritti.
Per fortuna, all'interno dello stesso mondo politico è stata subito colta la pericolosità di questa impostazione. Intervenendo alla Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini ha detto parole sagge: "Guai a promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete". E la finiana fondazione FareFuturo evoca la "sindrome cinese", la deliberata volontà di impedire che Internet possa rappresentare uno strumento di democrazia. Questi moniti, insieme a molti altri, sembrano aver trovato qualche ascolto, a giudicare almeno dalle dichiarazioni più prudenti del ministro Maroni.

Il tema della violenza è vero, e grave. Ma altrettanto ineludibile è la questione della democrazia. È istruttivo leggere la lista dei paesi che sottopongono a controlli Internet: tutti Stati autoritari o totalitari (con una particolare eccezione per l'India). Questo vuol forse dire che i paesi democratici sono distratti, che si sono arresi di fronte all'hate speech, al linguaggio dell'odio? O è vero il contrario, che è maturata la consapevolezza che la democrazia vive solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati per intervenire quando la libertà d'espressione si fa reato nel nuovo mondo digitale?
Vi è una vecchia formula che ben conoscono coloro i quali si occupano seriamente di Internet: quel che è illegale offline, è illegale anche online. Tradotto nel linguaggio corrente, questo vuol dire che Internet non è uno spazio privo di regole, un far west dove tutto è possibile, ma che ad esso si applicano le norme che regolano la libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali. Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza dell'autorità giudiziaria.

Considerando più da vicino le peculiarità di Internet, bisogna essere ben consapevoli del fatto che le proposte di introdurre "filtri" all'accesso a determinati siti sollevano un radicale problema di democrazia. Chi stabilisce quali siano i siti "consentiti"? Qual è il confine che separa i contenuti liberamente accessibili e quelli illeciti? Il più grande spazio pubblico mai conosciuto dall'umanità rischia di essere affidato, all'arbitrio politico, che inevitabilmente attrarrebbe nell'area dei comportamenti vietati tutto quel che si configura come dissenso, pensiero minoritario, opinione non ortodossa. E la proposta di vietare l'anonimato in rete trascura il fatto che proprio l'anonimato (peraltro ostacolo non del tutto insuperabile nel caso di veri comportamenti illeciti) è la condizione che permette la manifestazione del dissenso politico. Quale oppositore di regime totalitario potrebbe condurre su Internet la sua battaglia politica, dentro o fuori del suo paese, se fosse obbligato a rivelare la propria identità, così esponendo se stesso, i suoi familiari, i suoi amici a ogni possibili rappresaglia? Non si può inneggiare al coraggio dei bloggers iraniani o cubani, e denunciare le persecuzioni che li colpiscono, e poi eliminare lo scudo che, ovunque, può essere necessario per il dissenziente politico. Anche nei paesi democratici. È di questi giorni la denuncia di associazioni americane per la tutela dei diritti civili che accusano le agenzia per la sicurezza di controllare reti sociali come Facebook e Twitter proprio per individuare chi anima iniziative di opposizione. Non è la privacy di chi è in Rete ad essere in pericolo: è la sua stessa libertà, e dunque il carattere democratico del sistema in cui vive.

Certo, i gruppi che su Facebook inneggiano a Massimo Tartaglia turbano molto. Ma bisogna conoscere le dinamiche che generano queste reazioni, certamente inaccettabili, ma rivelatrici del modo in cui si sta strutturando la società, che richiede attenzione e strategie diverse dalla scorciatoia repressiva, pericolosa e inutile. Inutile, perché la Rete è piena di risorse che consentono di aggirare questi divieti. Pericolosa, non solo perché può colpire diritti fondamentali, ma perché spinge le persone colpite dal divieto a riorganizzarsi, dando così permanenza a fenomeni che potrebbero altrimenti ridimensionarsi via via che si allontana l'occasione che li ha generati.
Solo una buona cultura di Internet può offrirci gli strumenti culturali adatti per garantire alla Rete le potenzialità democratiche continuamente insidiate al suo stesso interno da nuove forme di populismo, dalla possibilità di creare luoghi chiusi, a misura proprie e dei propri simili, negandosi al confronto e alla stessa conoscenza degli altri. Più che misure repressive serve fantasia, quella che induce gruppi in tutto il mondo a chiedere un Internet Bill of Rights o che ha spinto uno studioso americano oggi collaboratore di Obama, Cass Sunstein, a proporre che i siti particolarmente influenti per dimensioni o contenuti debbano prevedere un link, una indicazione che segnali l'esistenza di siti con contenuti diversi o opposti e che permetta di collegarsi a questi immediatamente.

Stefano Rodotà
www.repubblica.it

mercoledì 9 dicembre 2009

"Internet Evolved" indaga sul futuro della rete

Dove sta andando Internet? Gran bella domanda. A cui difficilmente si può davvero pensare di poter dare una risposta univoca. Ci si può ragionare, però. Cercando di individuare traiettorie, possibilità, rischi e ipotesi di scenari presenti e futuri. Esattamente ciò che si farà giovedì 10 dicembre a Internet Evolved – La rete esce dalla rete, quinta conferenza annuale organizzata a Torino da Top-ix, consorzio nato nel 2002 per favorire attraverso Internet lo sviluppo della produttività del territorio piemontese e del Nord Ovest.

Il percorso scelto prevede quattro diversi momenti di incontro e riflessione, che occuperanno l’intera giornata. Si partirà con “Internet: nuove frontiere della rete”: analisi di una piattaforma in costante mutazione, che deve rispondere alle esigenze di un numero sempre crescente di utenti e di dati e a un intreccio sempre più stretto con il mondo imprenditoriale, economico, industriale e dei mercati. Alle tematiche dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile sarà invece dedicato lo spazio “Green Web”, nel quale si valuterà l’impatto ambientale del settore tecnologico, le sue possibilità di fare da volano per una rivoluzione verde della società e le incognite ambientali legate alla next big thing delle reti digitali, il “cloud computing”, cioè il passaggio a un ecosistema in cui la maggior parte dei dati (anche personali) saranno archiviati e gestiti a distanza, e non più negli hard disk dei computer degli utenti.

Nella seconda parte della giornata si passerà ad affrontare uno dei temi storicamente più importanti e al tempo stesso spinosi della rivoluzione digitale: il rapporto con le istituzioni e le possibilità (necessità?) dell’e-government di aggiornare e rendere più efficace la pubblica amministrazione. Titolo del segmento: “Government as a Platform”. Infine, spazio alla visione che fa da sottofondo (e sottotitolo) all’intera conferenza: l’idea di una Internet che esce dai suoi confini originari per coinvolgere in modo sempre più radicale la vita quotidiana e relazionale dei suoi utenti (attraverso Facebook e i social network) e per scoprire nuovi mercati e nuove vie di sviluppo nella dimensione dei dispositivi portatili (pensiamo al successo dell’iPhone, dei Blackberry, della rampante piattaforma Android, degli smartphone più sofisticati). “MICROApps” sarà il titolo di quest’ultimo panel.

Alla conferenza parteciperanno relatori provenienti dalle più svariate realtà imprenditoriali (multinazionali dell’IT, telco, start up), dal mondo dell’università, della ricerca scientifica, dell’informazione e delle istituzioni.

Luca Castelli
www.lastampa.it

domenica 29 novembre 2009

Assediati dai software intelligenti

La sfida tra l’uomo e la macchina intriga gli scienziati da anni, ovvero da quando sono riusciti a trasferire almeno alcune delle caratteristiche proprie dell’intelligenza umana ai «robot». Non si tratta solo di creature più o meno antropomorfe o zoomorfe (dall’aspirapolvere Roomba al cagnolino Aibo passando per il robot umanoide della Honda, Asimo), ma di sofisticati algoritmi con enormi spazi di applicazione nel settore della comunicazione ed elaborazione dati.

«La robotica oggi ha trovato nicchie applicative di grande interesse. si può dire che l’intelligenza artificiale (ai) sia ovunque intorno a noi», dice Andrea Bonarini del laboratorio Ai & Robotics del Politecnico di Milano. «Basti pensare ai software intelligenti per l’interpretazione dei trend di mercato, che permettono di costruire campagne pubblicitarie mirate, a quelli per la pianificazione delle attività strategiche in azienda o ai sistemi informatici che fanno dialogare tra loro database diversi».

Anche in Borsa da tempo vengono usati programmi di Ai per la compravendita di strumenti finanziari: Richard Balarkas, Ceo di Instinet Europe, fa notare che i mercati azionari europei sono per la maggior parte pilotati da algoritmi in grado di compiere sofisticate analisi sui titoli e l’andamento del mercato. Questi programmi non sempre tengono il passo con la dinamicità tipica delle borse, ma poichè trovare il software giusto vorrebbe dire assicurarsi guadagni milionari, scienziati (e aziende) non smettono di testare nuovi prodotti: l’ultimo è quello di Krishnen Vytelingum della University of Southampton che, insieme a colleghi della University of Bristol, ha sviluppato un programma di trading migliore del 5% di quelli esistenti: è più dinamico (cambia la sua aggressività in base al comportamento degli altri agenti) e sa impostare le scelte in base all’analisi di periodi passati.

Particolarmente studiata l’informatica scacchistica: anche perchè permette applicazioni in altri campi, dalla telefonia alla psicologia. l’italiano Giancarlo Delli Colli è autore del software Equinox (all’ultimo Festival della Scienza di Genova ha sfidato i due scacchisti Elena Sedina e Igor Efimov). C’è stata anche una partita tra i due programmi Equinox e Freccia, anche questo di un italiano, Stefano Gemma, vinta dal primo. I software intelligenti si sostituiscono anche al medico o allo scienziato. Lo scienziato-robot Adamo della Aberystwyth University e della Cambridge University (Uk) ha elaborato un’ipotesi di ricerca, verificata e ripetuto l’esperimento.

Esiste anche il giornalista-robot: un programma evoluto capace di scrivere articoli, per ora solo di sport (baseball). Il progetto, denominato Stats Monkey, è dell’Intelligent Information Laboratory della Northwestern University americana: tutto quello che serve, pare, sono crawlers che mescolano espressioni del linguaggio umano e citazioni di articoli precedenti. Dato che un articolo di sport contiene informazioni standard, il sistema riesce a generare automaticamente il testo, compresi titolo e foto.

Fantascienza? No: l’azienda californiana demand media, che ha stretto una partnership con Google, crede nel giornalismo on-demand, generato - almeno in parte - al computer. L’algoritmo proprietario di demand media cerca attraverso i termini di ricerca inseriti su Google, individua le parole chiave su cui puntano gli inserzionisti e produce migliaia di argomenti per articoli e video che corrispondono a quanto è più richiesto sul web. La storia viene poi sviluppata da freelancer «umani» - almeno per ora.

E in Italia? «La comunità robotica italiana è all’avanguardia e contende il primato a Germania, Francia e Svezia. Non ci mancano i cervelli, il nostro problema sono risorse e strutture», risponde Stefano Chiaverini, direttore del dipartimento di automazione, elettromagnetismo, ingegneria dell’informazione e matematica industriale dell’Università di Cassino.

I finanziamenti ministeriali sono esigui (10 milioni di euro per l’intera area dell’ingegneria industriale e dell’informazione), ma grazie al settimo programma quadro Ue la robotica ha ottenuto 400 milioni, di cui circa il 10% tornerà in Italia. «L’università di Napoli Federico II, unitamente al mio ateneo, la seconda università di Napoli, l’università di Salerno, l’università della Basilicata e l’università di Roma Tre, è partner di un grosso progetto europeo sulla robotica, Echord, guidato dall’università tecnica di Monaco, che ha ottenuto il maggior finanziamento ue mai dato al settore (19 milioni di euro). Echord metterà l’accento sulla ricerca finalizzata all’applicazione industriale, favorendo il trasferimento tecnologico dai laboratori alle aziende», conclude Chiaverini: «solo così robot e programmi di Ai diventeranno prodotti di elettronica di consumo».

www.lastampa.it

martedì 24 novembre 2009

Privacy e uso dati sensibili Google nei guai in Germania

Il governo tedesco si prepara a un'offensiva contro Google Analytics, il sistema utilizzato da 1,8 milioni di siti tedeschi - e assai diffuso anche in Italia - per misurare il proprio traffico online. Lo afferma on line il giornale Die Zeit, secondo il quale le autorità federali potrebbero addirittura arrivare a comminare multe fino a 50mila euro per i siti che dovessero continuare a utilizzare lo strumento di Google.

Nel mirino dell'autorità federale e di quelle dei länder che si occupano della protezione dei dati della privacy dei cittadini, è finito lo strumento che raccoglie informazioni di navigazione sugli utenti internet. Secondo le autorità il suo utilizzo sarebbe contrario alle leggi tedesche, anche se ancora non sono state definite le misure da adottare per spingere i gestori dei siti ad abbandonarlo.

Due gli addebiti ad Analytics. In primo luogo il sistema assocerebbe i dati di fruizione dei siti degli utenti ad altre informazioni raccolte attraverso i servizi Google, come ad esempio la posta Gmail, condividendo il tutto con terze parti, non prevedendo per l'utente la possibilità di rifiutare il proprio consenso. Il timore dell'authority è che Google sia in grado di ricavare i profili di milioni di utenti internet ricostruendo dai siti visitati i loro interessi, il loro stile di vita, le abitudini, le condizioni di salute. Questa carta di identità sarebbe inoltre collegata a un indirizzo Ip, dunque - in definitiva, affermano le autorità di garanzia - a una persona fisica.

In secondo luogo desta preoccupazione il fatto che le informazioni siano custodite da Google su server ubicati sul suolo americano. Ciò violerebbe le normative tedesche in materia.

Per Meyerdierks, responsabile della sicurezza dei dati per Google in Germania, contesta questa lettura. L'accordo Safe Harbor tra Unione Europea e Usa, afferma il poravoce, garantisce che i dati vengano custoditi in modo appropriato. Quanto alla profilazione, la possibilità per gli utenti di cancellare i cookie, i pezzetti di codice che restano nel nostro computer quando navighiamo su internet permettendo la nostra tracciabilità, li metterebbe al sicuro da ogni profilazione indesiderata. Che sarebbe in ogni caso anonima.

Si attende che le autorità federali e statali tedesche prendano una decisione definitiva entro la settimana. Analytcs è uno degli strumenti gratuiti di Google più utilizzati dai webmaster. In Germania lo adotta il 13% dei siti, in Italia gli utenti sono centinaia di migliaia. Le informazioni che ne derivano sono utilizzate anche da altri software del motore di ricerca, come ad esempio AdPlanner, che consente agli investitori di pianificare inserzioni e campagne pubblicitarie.

L'episodio tedesco è solo l'ultimo di una serie di addebiti dei paesi europei contro Google. Sotto accusa non solo la privacy, ma anche il pagamento delle tasse sui ricavi generati in Europa e il presunto abuso di posizione dominante nel mercato della ricerca e della pubblicità. A questo proposito nell'agosto scorso l'Antitrust italiano, dopo una segnalazione della Fieg, l'associazione degli editori, ha aperto un'istruttoria che è ancora in corso.

di Massimo Russo
www.repubblica.it

venerdì 20 novembre 2009

Ecco Chrome Os di Google tutte le applicazioni in rete

Il sistema operativo di Google, Chrome Os, finalmente si mostra al mondo per mettere in luce il suo credo: velocità, sicurezza, semplicità e, soprattutto, rete. Pochi secondi per avviarsi e nessun programma installato: tutto quello che serve a Chrome Os è una connessione a internet, ed è proprio sul web che risiedono tutti i suoi programmi.

Anche se per poterlo provare con mano bisognerà aspettare ancora un anno, la breve dimostrazione nel quartier generale di Mountain View del motore di ricerca evidenzia tutte le carte nascoste del sistema operativo. Alcune già nell'aria, e altre del tutto inattese, come la possibilità di utilizzarlo solo sui computer che lo equipaggiano al momento dell'acquisto (in maniera simile ai Mac della Apple).
Caratteristiche. Il Chrome Os vive in simbiosi con l'omonimo browser e, accendendo il computer, in pochi secondi l'utente si ritrova già su internet. Le operazioni che siamo abituati ad eseguire dal desktop, come il lancio di un programma o la navigazione tra cartelle, vengono eseguite attraverso il browser, sfruttando alcuni dei servizi noti del motore di ricerca, primi tra tutti i "Docs". Tutti i documenti e i dati dell'utente, inoltre, non vengono salvati sul pc ma sulla rete: nei piani di Google questo permetterà di cambiare computer con facilità e senza dover "dipendere" dall'hard disk di quello vecchio.

Chi ha già avuto modo di utilizzare il programma Chrome, potrebbe avere difficoltà nel notare la differenza al confronto dell'omonimo sistema operativo. In caso si utilizzi più di un programma, ad esempio un videogioco e un lettore musicale, su Chrome verranno aperte diverse "schede" (o tab), proprio come avviene già adesso sui principali browser in circolazione. Durante la presentazione è stato mostrato con successo il funzionamento di periferiche aggiuntive (come le webcam), ed è stato confermato l'impegno per rendere compatibile l'os con stampanti, tastiere e mouse in circolazione. Un elemento da non sottovalutare visto che la diffusione di driver per il funzionamento delle periferiche può mettere in discussione il successo di un sistema operativo.
Non su tutti i computer. Un po' a sorpresa rispetto alle previsioni, Google si è limitata a rilasciare il codice sorgente alla comunità dei programmatori, smentendo le voci di un arrivo sul mercato nel giro di alcune settimane. La novità davvero inattesa è stata però la notizia che l'os di Google non sarà scaricabile su ogni computer, ma funzionerà solo sulle macchine che lo equipaggiano al momento della vendita. I "Google pc" saranno dei netbook, gli ultraportatili pensati per navigare, e verranno commercializzati a fine 2010 dai maggiori produttori di computer con cui il motore di ricerca ha stretto un accordo. Nessuna rivelazione sul prezzo finale, anche se è stato specificato che non dovrebbe discostarsi dalle cifre attuali del settore dei netbook (quindi tra i 250 e i 350 euro).

Perché Chrome Os. Per spiegare la decisione di realizzare il nuovo programma, Google ha illustrato i trend che stanno caratterizzando il mondo dell'informatica. Prima di tutto la convergenza delle piattaforme, con i computer che si fanno più piccoli (e diventano netbook) e i cellulari che si ingrandiscono (e diventano smartphone o tablet pc). A questo si deve poi aggiungere la crescita delle applicazioni "cloud based", che utilizzano cioè i server su internet per funzionare ed immagazzinare i dati (gmail, facebook, youtube ecc). L'unione di questi trend porta quindi a pensare a una rivoluzione complessiva del computer per come è strutturato oggi, erede di una concezione dell'informatica che risale a un periodo in cui il web non esisteva. Meno potenza nella propria macchina in cambio di prestazioni più veloci sulla rete insomma.

Un successo annunciato? Quando Google presenta un nuovo prodotto attira immediatamente l'attenzione di appassionati e media. Eppure la sfida che dovrà affrontare Chrome Os è tra le più ardue ed è oggi difficile pronosticarne il successo. Rosicchiare quote di mercato a Windows, giunto alla sua settima versione, non è facile; secondo i dati Net application, il sistema di Microsoft è installato su più di nove computer ogni dieci, mentre ai rivali Mac e Linux restano le briciole del mercato con, rispettivamente, il cinque e l'uno percento.

Il Chrome Os di Google non punta inoltre alla totalità dei sistemi, ma solo alla nicchia sempre più larga dei netbook. E se la supremazia del gigante di Mountain View non è messa in discussione sul fronte dei servizi online, non si può dire lo stesso per i programmi "classici": il browser intorno a cui ruota il sistema operativo di Google, Chrome, è stato apprezzato dagli utenti più esperti ma ad un anno dalla pubblicazione, risulta installato su circa due computer ogni cento, contro il 64% di Internet Explorer di Microsoft (le cui quote però scendono costantemente da alcuni anni) e il browser open source Firefox (installato su un quarto dei computer).

venerdì 13 novembre 2009

Generazione social network. "Macché isolati, più curiosi"

Hanno più amici, sono più tolleranti e aperti alle diversità, continuano a preferire i rapporti faccia a faccia con familiari e persone care ma scrivono pochissime lettere. Ecco il quadro della generazione che utilizza telefoni cellulari e social network.

Pensavate che dietro allo schermo del computer si nascondessero persone asociali e timorate dal mondo? Vi stavate sbagliando. A dirlo è una ricerca americana condotta dalla Pew Internet & American Life Project, una società non profit e apartitica che fornisce informazioni sulle attitudini e i trend negli Stati Uniti e nel resto del mondo.

Questa volta ad essere analizzato è il rapporto tra isolamento e tecnologia, con particolare interesse a quei mezzi che negli ultimi venti anni hanno sostituito le vecchie modalità di interazione. E il risultato è sorprendente. Tra gli oltre 3mila cittadini americani adulti intervistati telefonicamente, chi frequenta social network, blog o usa il cellulare ha più opportunità di stringere relazioni. Il volume dei rapporti sociali è in media più alto del 12 % tra chi usa il cellulare e del 9 tra chi frequenta siti di condivisione o invia email. Rispetto all'ultimo rapporto sull'argomento, risalente al 1985, il numero di persone alle quali confidare i propri segreti però è sceso da tre a due. Ma l'uso della tecnologia non è legato a questa decrescita.

Anzi, per chi usa le nuove reti sociali i contatti risultano più numerosi e diversificati rispetto agli altri: solo il 45% degli intervistati afferma di parlare di questioni importanti con persone fuori dalla propria famiglia mentre lo fa il 55% degli utenti internet. Quelli che scambiano foto online hanno il 61% di chance in più rispetto alla media d'avere discussioni con interlocutori con interessi politici differenti. I blogger hanno il 95 % di opportunità d'avere relazioni con gente di etnia diversa dalla propria. In altre parole, le tecnologie di comunicazione sono un fattore d'integrazione sociale.

Secondo la ricerca Pew i nuovi network aiutano ad ampliare i propri orizzonti e ad abbattere barriere geografiche e razziali. Si scopre per esempio che chi usa il telefono cellulare ha un bacino di contatti più vasto del 25%, chi è un internauta base del 15% e la percentuale sale ancora di più per chi è un navigatore abituale o un utilizzatore di servizi di chat o di condivisione di immagini. Inoltre le persone con le quali discutere di argomenti importanti sono per chi usa il cellulare numericamente maggiori del 12%, per chi condivide immagini o usa chat del 9%. Gli internauti sono più inclini del 45% a frequentare bar, del 69% a mangiare in un ristorante e del 42% a fare una passeggiata in un parco pubblico. Chi usa le nuove tecnologie è anche chi pratica maggiormente il volontariato su base locale, così come i gruppi giovanili e le organizzazioni benefiche.

Un dato che consolerà i tanti detrattori della nuove forme di socialità è sicuramente quello relativo all'isolamento. Oggi, come nel 1985, la percentuale di cittadini americani che possono considerarsi socialmente isolati continua ad essere pari al 6%. Non aumentano dunque le persone sole, ovvero che non hanno conoscenti con i quali discutere o che considerano persone significative nella loro vita, ma si diversifica, a favore di chi utilizza tecnologie digitali, la qualità delle relazioni. Un dato rimane inalterato: quello relativo al rapporto con le persone care. Gli intervistati continuano a preferire la comunicazione faccia a faccia per quanto riguarda familiari e amici, persone che amano frequentare con una media di 210 giorni all'anno, contattare con telefoni cellulari circa 195 giorni all'anno, con telefoni fissi 125 giorni, tramite e-mail quasi 72 giorni, in chat 55 giorni e via social network 39 giorni. E la lettera? Se vogliamo la vera sconfitta dalle nuove tecnologie è proprio lei che gli intervistati dichiarano di utilizzare con una media di solo 8 giorni all'anno.

Altro dato inatteso è quello relativo ai rapporti con le realtà locali: secondo la ricerca Pew infatti chi si serve di internet lo fa indifferentemente sia per incoraggiare relazioni con persone che vivono a grande distanza che per mantenere i contatti locali. Fanno eccezione però gli iscritti a Facebook: sono loro quelli ad essere meno interessati a conoscere i propri vicini. Quando hanno bisogno di supporto, compagnia o aiuto per vicende familiari preferiscono parlarne con i loro contatti Facebook piuttosto che con le persone vicine, ma quando sono i vicini ad avere bisogno d'aiuto non esitano ad intervenire.

"Il dato fa parte di un tendenza tipica nella storia dell'umanità %u2013 spiega Keith Hampton, principale autore del rapporto e docente della Annenberg School for Communication dell'università della Pennsylvania %u2013 accadde lo stesso quando fu introdotto il telefono fisso e si percepì per la prima volta che era possibile ottenere un sostegno sociale anche fuori dalla cerchia del vicinato. I social network sono solo l'ennesimo esempio di come l'uomo utilizzi le tecnologie di comunicazione per ottenere vari tipi di interazioni da persone a distanze che prima non avremmo mai raggiunto".

di Benedetta Perilli
www.repubblica.it

sabato 24 ottobre 2009

La Francia stacca la spina ai pirati e indica la strada su Internet

La Francia vuole essere all’avan­guardia nella battaglia contro la pirateria intellettuale. E ieri questa volon­tà ha fatto un sensibile passo in avanti. La Corte Costituzionale d’Oltralpe ha da­to il via libera alla legge che si propone di proteggere la produzione intellettuale an­che su Internet. Si tratta di una seconda versione delle norme suggerite dalla Ha­dopi ( Haute autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur Internet ), la commissione da cui pren­de il nome la legge. Le nuo­ve regole stabiliscono pe­nali che possono essere an­che molto pesanti per chi scarica illegalmente conte­nuti dalla rete.

Non è la prima volta nel­la storia che la Francia si pone come Paese che sen­za timidezze vuole imporre principi che poi si rivelano universali. La rete che si è sviluppata grazie al binomio libertà e gra­tuità mal sopporterà quella che viene vi­sta come un’autentica invasione di cam­po. Ma come la Polis fisica, affinché po­tesse continuare a esistere, doveva conta­re su regole, allo stesso modo nel mondo digitale si dovrà avviare un analogo pro­cesso. Non si sta mettendo in discussio­ne la libertà e il gratuito della rete, quan­to la necessità di confini. E questo anche per un malinteso senso del gratuito. Anche la strategia del free teorizzata da Chris Anderson nel suo ultimo libro è una strategia commerciale, vale a dire che il gratis è uno dei mezzi per poter arrivare a «vendere» prodotti. Tanto più nel caso di prodotti dell’intelletto. Con un problema in più, non tutti sono in grado di at­tuare una difesa o una stra­tegia che valorizzi la pro­pria produzione.

Certo, i francesi non sono andati leggeri: hanno previsto pe­nali pesanti per la pirate­ria via web. Sanzioni di due tipi: la prima prevede la disconnessione da Inter­net per un anno dopo il terzo avviso inviato a chi scarica illegal­mente contenuti, la seconda prevede ad­dirittura l’arresto. E allora si potrà an­che discutere la forza e la misura delle regole. Ma è evidente che non sarà possi­bile rinviare ulteriormente la necessità della loro esistenza.

Daniele Manca (www.corriere.it)
24 ottobre 2009

mercoledì 7 ottobre 2009

'Navigatori' spiati per 7 anni registrate le visite a ogni sito

La privacy? Dice un dirigente dell'autorità garante: "Chiunque tra il 2001 e l'inizio del 2008 abbia usato la rete internet deve sapere che tre tra i maggiori fornitori di accesso del paese (Telecom Italia, Vodafone e H3g) tre compagnie di telecomunicazione, hanno registrato tutto il traffico di quegli anni. Non tutti lo facevano con la stessa profondità, e lo abbiamo specificato nei nostri provvedimenti del 17 gennaio 2008. Non è nemmeno detto che lo abbiano fatto in modo continuo dal primo all'ultimo giorno. Però quella raccolta di dati avveniva e il pretesto era che bisognava tenersi pronti per rispondere alle richieste dell'autorità giudiziaria. Il punto è che raccogliere i dati personali in quel modo e con quella rozzezza espone gli stessi investigatori ad errori e valutazioni sbagliate".

Insomma, cari utenti di internet di quegli anni, siete avvertiti: da qualche parte esisteva (e "dovrebbe" non esistere più) un complesso sistema di grossi hard disk sui quali c'erano gli indirizzi (URL) di tutte le nostre pagine internet visitate. "Tutte, ma proprio tutte". Più le password che immettevate per entrare nella vostra mail, i codici di accesso alla banca (se il sistema non era protetto) e anche sì, la password di quel sito un po' scollacciato che ogni tanto allieta una vostra serata un po' uggiosa. Per non parlare di chat e messaggi posta. Tutto era "captivato" e tutto era leggibile.

Ora, dal gennaio del 2008 non lo è più (e sì che resistenze da parte di magistratura e apparati di polizia, perché si continuasse con la rete a strascico, ce ne sono state). Non solo: in Italia è stato anche adottato il sistema dello "Ip univoco" che rappresenta un passo avanti in materia - in Inghilterra, dopo gli attentati del 2005, è successo qualcosa di simile e su scala più ampia.

Domanda: ma quelle informazioni sono poi state davvero distrutte? Questo non lo sa nessuno, ma il funzionario dice che non ha motivo di ritenere che non lo siano state. E il problema della traccia e della completa tracciabilità elettronica delle nostre vite resta, ma non è detto che sia irrisolvibile.

L'ingegner Cosimo Comella è il dirigente dell'Autorità per la protezione dei dati personali che ha detto queste ed altre cose al seminario organizzato a Roma dal "Pasion", un progetto sulla protezione dei dati finanziato dall'Unione europea proprio nella sede dell'Autorità, con la presenza sia dell'attuale (Francesco Pizzetti) che del primo presidente (Stefano Rodotà). Comella ragiona che il pubblico e i media si indignano o si allarmano per questioni anche superficiali: "Non mi spiego perché il nostro provvedimento del 2008 che mise fine a quella situazione fu sostanzialmente ignorato dai giornali". Ma qui si apre un capitolo assai grosso: la sensibilità di ognuno di noi al tema "protezione dei dati", non privacy, come prega di dire il presidente Pizzetti.

Perché siamo forse un paese rassegnato: non solo al traffico, all'evasione fiscale e all'esistenza della mafia. Ma anche all'idea che contro la violazione delle nostre vite non si può fare niente. Risulta da un'indagine di opinione mostrata al workshop. Così guardiamo con rassegnazione al fatto che le aziende, ormai in modo dichiarato, facciano indagini attraverso Google sulle persone che presentano una domanda di assunzione. Lo fanno, non è un mistero. "E' ormai diventato quasi inutile avere un curriculum" dice il garante Pizzetti, "Quella è solo la nostra versione della nostra vita, poi sarà messa al vaglio di motori e social netwiork".

Noi italiani siamo rassegnati all'idea che internet sia intercettata e studiata in un modo che ci indignerebbe per qualsiasi altro mezzo. Eppure succede ben altro che l'intercettazione malandrina. E accettiamo in modo supino che la politica pensi e legiferi alla rete senza rendersi conto di cosa sta maneggiando. Pizzetti e Rodotà si esprimono in modo diverso, ma le loro analisi portano esattamente a questo punto: che governi e parlamenti ricorrono a controlli e censure sempre più approfonditi e indiscriminati perché di fatto non conoscono l'oggetto di cui parlano.

Si può far qualcosa per impedire che un datore di lavoro ci studi su Google e scopra che dieci anni fa, dopo una festa di laurea, ci siamo fatti uno spinello? Non si può fare molto. E se la misura - sostiene Rodotà - è solo l'autocensura, ne deriva un danno devastante della libertà personale e di espressione. Perché se sappiamo di essere spiati cambiano anche i nostri pensieri".

Invece si può fare molto perché la nostra posta non sia spiata, perché le nostre "pagine viste" non siano spiate da chi non deve, perché il nostro comportamento non diventi solo e soltanto il grano che viene macinato nei mulini del "marketing comportamentale" sul quale vengono investiti milioni di dollari ed euro ogni anno.

Si può fare qualcosa e una delle risposte è nel lavoro dei crittografi. La crittografia è una branca della matematica coltivata da pochi, che viene chiamata in causa solo quando si parla di cose militari. Ma che potrebbe - è l'argomento di Giuseppe Bianchi, matematico e crittografo all'università Roma 2, che lavora in vari progetti Ue - trovare soluzioni concrete ed efficaci: possiamo avere uno "pseudonimo" registrato, che permetta di "mostrare al vigile la patente senza dire il proprio nome". Si può pensare a messaggi di posta che dopo un certo periodo si autodistruggano scomparendo dalla disponibilità di spioni e ficcanaso. Si può pensare a sistemi che controllino chi scarica abusivamente contenuti coperti da copyright senza frugare nell'attività online della persona. Serve una politica avvertita e colta. E un'opinione pubblica che non dica: "Non c'è niente da fare".

Vittorio Zambardino

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giovedì 1 ottobre 2009

Icann si apre al mondo

L’Icann, l’organismo americano che si occupa della gestione di Internet e dei suoi domini, si sgancia dalle autorità americane e diventa più indipendente.

Creato nel 1998 in California, l’Icann (Internet corporation for assigned names and numbers) ha funzionato fino a oggi sulla base di un accordo con le autorità americane per la telecomunicazioni e l’informatica, dipendente dal dipartimento del Commercio Usa: l’intesa però scade oggi, e proprio per questo le due parti si sono accordate su un nuovo testo, chiamato «dichiarazione di impegno», con cui accorda un peso maggiore al comitato di supervisione governativa internazionale, di cui gli Usa fanno parte assieme alle altre autorità.

La Commissione europea ha accolto con favore la decisione americana di rendere la governance di Internet più indipendente, più democratica e più internazionale. Viviane Reding, responsabile per i Media e la Società dell’informazione, si è detta soddisfatta del fatto che l'organismo incaricato della gestione dei domini Internet, diventerà più aperto e sarà costretto a rendere conto delle sue decisioni ai miliardi di internauti del mondo intero.

Bruxelles aveva chiesto a più riprese, dal 2005, che la governance delle risorse essenziali e mondiali di Internet venisse riformata, in modo da garantire la libertà di espressione e la continuità delle operazioni online.

«Accolgo con favore la decisione delle autorità americane di far evolvere il funzionamento dell’Icann al fine di adattare il suo ruolo, essenziale in materia di governance di Internet, alle realtà del ventunesimo secolo e di una rete sempre più mondiale», ha spiegato Reding, aggiungendo: «Gli utilizzatori di Internet del mondo intero possono aspettarsi che le decisioni dell’Icann sui nomi dei domini e sugli indirizzi internet siano più indipendenti e tengano conto dell’interesse di tutti».

Reding ha garantito che la Commissione Ue ha la «ferma volontà di portare a termine la riforma collaborando con le autorità nazionali, le imprese e la società civile», ha aggiunto il
commissario, garantendo che «la Commissione seguirà ugualmente da vicino l’effetto dei lavori dell’Icann sulla concorrenza».

Oltre a decidere quali nomi aggiungere alla lista dei domini più importanti come .com, .net e .org, gestisce il sistema degli indirizzi web (dns) che assicura la connessione e la navigazione dei pc.

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martedì 22 settembre 2009

Obama salva la neutralità della Rete

Obama il salvatore: mentre non è chiaro quanto sia positivo il suo intervento di oggi per salvare i giornali tradizionali, è sicuramente rivoluzionario il sostegno che ha dato alla battaglia per preservare l'originale natura neutrale della Rete. Un dibattito, quello sulla Neutralità della Rete, che i media tradizionali hanno sempre confinato nell'ambito dei tecnicismi, e che invece riguarda la libertà di comunicazione di tutti i cittadini-utenti. La notizia di oggi è che, per garantire che Internet resti «libera ed aperta» la Commissione federale per le comunicazioni (Fcc) ha annunciato diverse misure innovative, fra le quali anche quella che imporrà ai provider di trattare il traffico online in modo uguale per tutti.

A parlarne è stato il presidente della Fcc, Julius Genachowski, in un discorso alla Brookings Institution nel quale ha sottolineato come sia «vitale che Internet continui ad essere un motore di innovazione, crescita economica, competizione e impegno democratico».

In quest’ottica la necessità di garantire «la neutralità della rete» imponendo ai fornitori del servizio di fornire la stessa velocità a tutti i clienti, dai piccoli siti ai giganteschi portali.
Le nuove regole impediranno ai provider di bloccare o rallentare video o applicazioni che richiedono un vasto impegno della banda e di applicare tariffe diverse fra gli utenti.

Durante la sua campagna elettorale, il presidente Barack Obama aveva parlato molto della neutralità della rete, un'idea fortemente appoggiata dalle imprese del Web (giganti come Google, Amazon, Yahoo!, Ebay) e dai rappresentanti dei consumatori, ma che è invece osteggiata dalle compagnie di telecomunicazioni (At&T, Verizon e Comcast) che vorrebbero rientrare dai costi sostenuti per le infrastrutture offrendo qualità di connessione in base ai contenuti: offrendo a quelli a pagamento corsie preferenziali.

Genachowski ha detto che le nuove norme verranno sottoposte al dibattito e che la Fcc ha aperto un nuovo sito OpenInternet.gov per incoraggiare il pubblico a partecipare al processo.

Che differenza, rispetto all'approccio del governo Usa sotto George W. Bush... Fa ben sperare che anche in Europa e in Italia, con i leader giusti, si possano avere regole chiare, trasparenti ed eque per Internet...

(Peccato che sempre oggi Obama, nell'offrire il salvataggio ai giornali tradizionali, abbia invece dichiarato inaffidabili le notizie provenienti dalla Blogosfera: sono contraddizioni che faranno molto discutere, appunto, nella Blogosfera...!).

Entrando nel merito delle novità introdotte dalla Fcc, le riassume bene The Consumerist:

"FCC Proposes New, Awesome, Net Neutrality Rules
The FCC today proposed new rules to protect and preserve "net neutrality," the idea that ISPs must treat all users the same and not prejudice against different types of customers.
In a speech, Chairman Julius Genachowski supported adopting the "Four Freedoms" first articulated by the FCC in 2004 not just as principles but as formal rules, and adding two more: "non-discrimination" and "transparency." The big networks are, naturally, incensed.

More specifically, the new principles are:

5) Non-discrimination
broadband providers cannot discriminate against particular Internet content or applications.

6) Transparency
providers of broadband Internet access must be transparent about their network management practices.

And to recap, The "Four Freedoms" are:

1) Freedom to Access Content: Consumers should have access to their choice of legal content

2) Freedom to Use Applications: Consumers should be able to run applications of their choice

3) Freedom to Attach Personal Devices: Consumers should be permitted to attach any devices they choose to the connection in their homes

4) Freedom to Obtain Service Plan Information: Consumers should receive meaningful information regarding their service plans."


Fonte

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mercoledì 16 settembre 2009

Internet e sicurezza

ANCHE la rete ha il suo galateo "la netiquette", ma spesso gli utenti non lo conoscono e non lo rispettano mettendo in pericolo sé stessi e gli altri. Per diffondere la conoscenze delle norme della community virtuale, la polizia delle Comunicazioni, il ministero dell'Istruzione e il portale di videosharing YouTube, si sono alleati e all'interno del progetto "Non perdere la bussola" organizzeranno delle task force on demand che a richiesta "invaderanno" le scuole medie e superiori della penisola per mettere in guardia i giovani dalle insidie del web.

Il test della nonna. Non caricare online sui siti di condivisione video o foto che potrebbero sconvolgere tua nonna. E' questo il galateo in pillole che la polizia delle Comunicazioni e YouTube consigliano per utilizzare al meglio le risorse della rete. Internet è come una grande metropoli: offre divertimento, cultura e luoghi di aggregazione, ma nasconde delle insidie, dei vicoli bui in cui non ci si dovrebbe infilare. "La rete non è diversa dalla vita di tutti i giorni, quindi anche sul web ci sono dei codici di condotta che regolano le reti sociali, codici riassumibili nel test della nonna", ha spiegato Marco Pancini, European Senior Policy Consuel di Google. E in effetti YouTube, sito di condivisione video acquistato da Google nel 2006, ha un suo codice di condotta che pochi tra i 10 milioni di utenti mensili italiani conoscono. Per esempio: i minori di 13 anni dovrebbero usarlo insieme ad un adulto, sono vietati i contenuti violenti o sessualmente allusivi e quelli di cui non si possiedono i diritti d'autore.

Non perdere la bussola. Cyberbullismo, pornografia, problemi di privacy, violazione del copyright sono solo alcune delle "materie" che a partire dall'anno scolastico 2009-2010, potranno essere insegnate nelle scuole medie e superiori grazie a dei workshop formativi organizzati dalla Polizia delle Comunicazioni con il supporto di YouTube. L'iniziativa "Non perdere la bussola" vuole fornire agli studenti gli strumenti per una navigazione sicura e consapevole, attraverso l'impiego di giovani poliziotti che utilizzano lo stesso linguaggio dei ragazzi: "Gli studenti non ascoltano i genitori per quanto riguarda il mondo di internet, perché è il loro regno, un luogo quasi sconosciuto per gli adulti - ha detto il neodirettore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni Antonio Abruzzese - e sarebbe assurdo pensare di competere con loro sul piano tecnico, sono molti più avanti".

Come fare. Le Scuole interessate ad ospitare il workshop formativo o a ricevere un approfondimento sull'attività didattica proposta potranno inviare una richiesta al seguente indirizzo email: polizia.comunicazioni@interno.it, specificando nell'oggetto il riferimento al progetto "Polizia delle Comunicazioni e YouTube". Le iscrizioni sono già aperte e la sessione formativa si terrà nell'anno scolastico 2009-2010.

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domenica 6 settembre 2009

Wikipedia vacilla: "C'è troppa libertà"

Wikipedia - ma sono in pochi a non saperlo - è un’enciclopedia on line, collaborativa e gratuita. Significa che la si può consultare in internet e che chiunque può contribuire alla compilazione - arricchendo le voci esistenti o creandone di nuove - senza presentare credenziali: basta connettersi e mettersi al lavoro. Come non si paga per leggerla, così non si viene pagati per scriverla. Il volontariato e la passione sono la potenza della Rete. Oggi, otto anni dopo la nascita, Wikipedia esiste in duecentocinquanta lingue: la fonte è la medesima Wikipedia alla voce «Wikipedia»: «All’inizio di aprile 2008, Wikipedia contiene in totale più di 12 milioni di voci, 34 milioni di pagine (modificate 470 milioni di volte) e 11 milioni di utenti registrati».

Ogni giorno vengono contati 60 milioni di accessi. I pregi sono innumerevoli. Anzitutto la velocità: domenica, mezz’ora dopo la fine del Gran Premio di Formula Uno, la voce dedicata al vincitore Kimi Raikkonen era già stata aggiornata. Ormai, dunque, tutti scorrono Wikipedia benché in pochi la citino. Un po’ perché viene usata per verificare dati oggettivi (in che anno è nato Soren Kierkegaard?), un po’ perché ci si vergogna a indicarla come fonte. E qui c’è il punto centrale della questione. Wikipedia si autodefinisce «enciclopedia libera» perché «non c’è un comitato di redazione né alcun controllo preventivo sul materiale inviato».

E’ libera, dunque, perché non essendoci controllo non esiste il rischio di censura; non essendoci editore, non ci sono interessi economici o accademici da soddisfare. Gli errori saranno corretti dagli altri partecipanti. E dunque la prima controindicazione è l’anarchia: la voce di Alessandro Del Piero è lunga il doppio di quella di Giacomo Leopardi. La portata scientifica dell’opera è discutibile e, infatti, se si vuole sapere chi sono i macchiaioli più celebri Wikipedia va benissimo, se si vogliono approfondirne le ragioni estetiche uno si sente più rassicurato dalla compulsazione dell’«Argan».

Il cronista, più o meno tre anni fa, trovò la voce «giacobinismo» fotocopiata dalla Garzantina, e un amico gli ha segnalato che alcune località riportavano notizie copiate da agenzie di viaggio. «L’Espresso» inserì la voce sul poeta Carlo Zamolli - inesistente - per dimostrare la fragilità dell’impresa. Ma i guai arrivano per le biografie dei viventi: non molti mesi fa l’ex sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, minacciò Wikipedia di querela e i compilatori rimasero di sasso: Wikipedia non è querelabile, la responsabilità degli scritti è degli autori, ma soprattutto l’enciclopedia ha un altro spirito, e cioè gli errori non si querelano, si correggono, anche se offensivi: a nessuno è negato l’accesso.

E tutti possono controllare - correzione dopo correzione - come una voce è evoluta negli anni. E però - la notizia è già girata - i coordinatori dell’edizione in lingua tedesca hanno deciso di dotarsi di un gruppo di esperti incaricati di controlli a priori, anziché a posteriori. Presto la novità sarà estesa alla versione in lingua inglese, e non tutti sono contenti. Nei gruppi di discussione si parla di tradimento: «Da collaborativa a classista». Cioè: ci saranno wikipediani di serie A e wikipediani di serie B. E’ il crollo di un’impalcatura, di un sogno o di un’utopia: l’ecinclopedia libera limita la sua libertà.

Wikipedia ha fallito o ha semplicemente preso atto di essere diventata grande? «La libertà è difficile. Contrariamente a quel che pensa la maggior parte della gente, essa è piuttosto un dovere che non un diritto (...) è il risultato d’un lungo cammino, bisogna guadagnarsela, conquistarsela, accettare perfino di limitarla, di ridisegnarne continuamente i confini, di rimetterla incessantemente in discussione». Così cominciava un saggio di Franco Cardini («La fatica della libertà», Fazi editore, 2006), ordinario di Storia medievale all’Università di Firenze. Quel saggio, applicato a Wikipedia, suggerisce oggi a Cardini che «la libertà è distruttiva se non è accompagnata dalla consapevolezza».

E Gianpiero Lotito, già docente di Editoria multimediale alla Statale di Milano e autore di «Emigranti digitali» (Bruno Mondadori editore, prefatto da un guru come Peter Sondergaard), osserva: «Per Wikipedia si tratta di una presa di coscienza, di un atto di maturità: il controllo editoriale non impedisce a nessuno di partecipare. Qui c’è un vantaggio enorme: nessuno, come succedeva in passato, deve conquistarsi uno spazio. Lo spazio c’è già. E chi rifiuta il controllo non ne capisce il valore, a meno che non voglia dire censura, ma questo va da sé... Io non credo che l’assenza di controllo garantisca la libertà, ma piuttosto che porti all’arbitrio».

E’ lo stesso giudizio di Cardini: «Io consulto Wikipedia, mi piace, ma l’esercizio indiscriminato della libertà porta dritto, io temo, alla libertà della cazzata. Forse si sono accorti che volendo fare l’enciclopedia libera avevano aperto gli spazi alla libertà della corruzione: liberi tutti di prendere parte, liberi tutti di corrompere». Ed è qui che Lotito pone un ulteriore problema, e serio: «Si vadano a vedere le voci di Wikipedia. Si può vedere chi le ha scritte, chi le ha arricchite, chi le ha corrette. Ma mi riesce difficile capire che competenza c’è dietro il lavoro di un amministratore che si chiama Biopresto. Magari è un esperto, ma come faccio a saperlo?». E cioè, tranne rarissimi casi non si firmano con nome e cognome, ma con un nickname. «La libertà senza trasparenza - aggiunge Lotito - è una cosa curiosa. Io devo sapere se la biografia di Bartali l’ha scritta un tifoso di Coppi. La libertà di Wikipedia deve coincidere con la libertà di chi la legge. E forse siamo sulla buona strada».

Mattia Feltri
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lunedì 13 luglio 2009

Il pacchetto Office gratis sul Web

Il pacchetto Office sbarca sul Web, e lo fa in formato gratuito. Un’arma potentissima da usare contro l’arcirivale Google, che meno di una settimana fa ha lanciato la sua sfida al monopolio Microsoft dei sistemi operativi con Chrome OS.

Quello che la casa madre di Windows propone è versione completamente free dei classici del lavoro d’ufficio: Word, Excel, Powerpoint, e l’ancor più antico Wordpad, da utilizzare durante le connessioni internet e senza installazione. Il passo era già stato fatto, tre anni fa, da Google, che aveva lanciato i primi software basati sul web: ma trovare in rete la copia fedele del programma più familiare potrebbe fare la differenza per milioni di utenti.

La scommessa della società fondata da Bill Gates ha un vago sapore di roulette russa. I ricavi della vendita del pacchetto Office rappresentano il nucleo centrale del fatturato di Microsoft: ben 9,3 miliardi di dollari dei 14,3 miliardi di ricavi dei primi nove mesi dell’anno fiscale in corso. Proprio questi utili potrebbero volatilizzarsi con la liberalizzazione del prodotto più pregiato. L’apparente contraddizione dovrebbe essere risolta dalla pubblicità. Milioni di utenti che lavoreranno sul web con i software di casa Microsoft però potrebbero trovarsi davanti siti pieni di pubblicità, una visibilità per cui molte aziende sarebbero felici di sborsare milioni di dollari sull’unghia.

Per alcuni analisti, quindi, questa potrebbe essere proprio l’occasione di rilanciare il comparto internet dei creatori di Windows, da anni in declino. La Microsoft lancerà il prodotto Web insieme alla nuova versione del pacchetto Office 2010, nella prima metà del prossimo anno. Le versioni beta dei due software sono state presentate alla conferenza per i partners commerciali a New Orleans, per essere poi distribuite a decine di migliaia di testers per il perfezionamento. La guerra Google-Microsoft arriva quindi ad una svolta: la Microsoft abbandona (almeno in parte) la politica del copyright ad ogni costo e accetta di diventare free, per combattere sullo stesso terreno l’ultimissimo rivale firmato Google, il Chrome Operating System. Ma le sorprese non accennano a finire.

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mercoledì 8 luglio 2009

Google, sfida a Microsoft Pronto il sistema operativo

L'attacco al cuore di Microsoft è stato lanciato: Google ha appena annunciato la nascita di un suo sistema operativo, diretto concorrente del dominatore Windows. Il Google Chrome OS, questo il nome del prodotto, sarà open source (cioè liberamente modificabile dagli utenti) e farà la sua comparsa su alcuni modelli di computer portatili nella seconda metà del 2010.

E così, dopo essersi messa in diretta concorrenza con Microsoft Office e Internet Explorer, lanciando propri programmi per la videscrittura, il calcolo, la navigazione in rete, Google ora tenta di colpire il gigante di Redmond dove fa più male: nel campo dei sistemi operativi per personal computer, dove Windows regna praticamente incontrastato da decenni.

Secondo quanto annunciato da Google sul suo blog ufficiale, Chrome OS sarà pensato per un nuovo tipo di panorama informatico, nel quale i computer sono sempre più rivolti a internet. In questo senso sarà la naturale estensione di Google Docs (la suite di software online per l'ufficio) e del browser Google Chrome. "Gli attuali sistemi operativi sono stati disegnati in un'era nella quale non c'era il web", spiega Sundar Pichai, VP Product Management and Linus Upson, Engineering Director di Google. "Il nuovo sistema operativo dovrà essere veloce e leggero, dovrà avviarsi e portarti in rete in pochi secondi". Per questo, i primi computer a dotarsi del Google Chrome OS saranno i netbook, i piccoli portatili di ultima generazione pensati per gli utenti che hanno bisogno di lavorare e accedere a internet in mobilità.

Google era già presente nei sistemi operativi con Android, il suo prodotto per i cellulari. Chrome OS, che avrà un cuore Linux, potrà essere usato tanto sui portatili che sui computer desktop più potenti. A maggio 2009, secondo i dati forniti da NetApplications, Windows era presente in oltre l'87 per cento dei pc. Al momento, il concorrente più significativo è il Mac OS X, con il 9,8 per cento. I vari sistemi operativi Linux si dividono attualmente circa l'1 per cento del mercato.

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giovedì 2 luglio 2009

Da Internet una nuova resistenza

«Dai blog ai social network fino al recentissimo, e già quasi invecchiato, sistema twitter, sempre di più oggi l’informazione è il prodotto di una comunicazione continua e collettiva a livello mondiale». Ne è convinto il presidente del Garante per la protezione dei dati personali Francesco Pizzetti, che nella sue relazione annuale al Parlamento spiega che «quanto sta avvenendo in Iran dimostra che su questi strumenti, e specialmente sui più innovativi, poggia una forma di resistenza democratica mai immaginata prima».

Intercettazioni: "No a sanzioni penali per i giornalisti"
No alle sanzioni penali per i giornalisti che pubblicano informazioni acquisite e trattate dai giudici. Pizzetti esprime perplessità sulle nuove regole relative ai limiti della pubblicabilità di notizie acquisite e trattate dai giudici. Del resto «non tocca all’Autorità fissare le regole che presiedono al rispetto della libertà d’informazione garantita dalla Costituzione, se non quando siano concretamente in discussione eventuali e puntuali violazioni della riservatezza dei cittadini», aggiunge. Per Pizzetti «non vi è ragione di ritenere che la regolazione in via generale della libertà di stampa abbia una diretta e immediata connessione con la tutela della privacy, che deve invece sempre essere valutata caso per caso».

"Brunetta sia attento a non violare i diritti statali"
L’operazione trasparenza avviata dal ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, non deve rischiare di mettere a repentaglio il diritto alla privacy degli statali. Pur apprezzando «ogni azione tesa ad aumentare l’efficienza della Pa e incrementare l’uso delle tecnologie per accelerare e rendere più agevole il rapporto con i cittadini», Pizzetti sottolinea «la pericolosità della diffusione in rete, senza adeguate misure di protezione e di controllo, dei milioni di dati personali che l’Amministrazione quotidianamente tratta». Dunque, il Garante invita ad «una attenta valutazione dei diritti degli stessi funzionari pubblici» e aggiunge: «occorre evitare una lettura della nuova normativa eccessivamente sbilanciata, che potrebbe tradursi in una violazione, a danno dei dipendenti pubblici, dei diritti fondamentali di ogni lavoratore».

"Foto villa Certosa, il principio si applica a tutti"
Il divieto di diffusione di foto all’interno di abitazioni private è «un principio che si applica a tutti, indipendentemente dalla notorietà e che comporta la illeicità delle foto e il conseguente divieto della loro diffusione. Abbiamo vietato tali foto - ricorda - in quanto sono stati utilizzati teleobiettivi e sistemi inclusivi e sofisticati di ripresa e di trattamento delle immagini». Del resto «non è lecito riprendere senza il loro consenso persone all’interno di una privata dimora, compreso il parco e gli edifici che ne fanno parte, specialmente quando esse svolgano normali attività di vita sociale e di relazione», aggiunge.

"Presto un intervento sulla videosorveglianza"

Anche le ronde finiscono nel mirino di Pizzetti che promette a breve un provvedimento sull’uso corretto delle videocamere e degli altri sistemi di controllo. Il Garante ha detto che vigilerà sull’utilizzazione «da parte delle istituzioni di sicurezza dei dati raccolti da privati». Fari accesi, dunque, «sulla videosorveglianza e, più in generale, sulla possibilità che associazioni di cittadini svolgano attività connesse con i compiti istituzionali delle forze di polizia», assicura.

fonte
www.lastampa.it

venerdì 19 giugno 2009

File sharing: risarcimento record!!!

Un tribunale americano ha condannato una donna del Minnesota a pagare un risarcimento di 1,9 milioni di dollari (circa 1.366.000 euro) per aver illegalmente scaricato 24 canzoni da Internet. Il processo contro Jammie Thomas Rassett, una madre di quattro figli che lavora per una tribù indiana, è il primo negli Stati uniti per violazione del copyright, ha detto il suo avvocato alla tv satellitare Cnn. La donna, che ha 32 anni, è rimasta stupita per la sentenza, anche perchè scaricare legalmente le canzoni le sarebbe costato solo 99 centesimi di dollaro a brano (in tutto 23,76 dollari), e intende ricorrere in appello.
Il tribunale ha stabilito un risarcimento di circa 80.000 dollari per ogni violazione del copyright, con gran soddisfazione della Record Industry association of America (Riaa), l'associazione dei produttori discografici. La Thomas-Rasset era stata condannata a pagare un risarcimento di 220mila dollari alla Riaa in un primo processo nel 2007, ma il procedimento era stato annullato per un vizio di forma. Le canzoni scaricate sono di No Doubt, Sheryl Crow, Gloria Estefan e Linkin Park.

Fonte
www.corriere.it

mercoledì 27 maggio 2009

Social network: attenzione agli effetti collaterali - Un opuscolo del Garante della privacy

Come tutelare la propria privacy ai tempi di Facebook, MySpace & Co.? Come difendere la propria reputazione, l'ambiente di lavoro, gli amici, la famiglia, da spiacevoli inconvenienti che potrebbero essere causati da un utilizzo incauto o improprio degli strumenti offerti dalle reti sociali?

Sono queste alcune delle domande a cui risponde la guida messa a punto dal Garante per la privacy "Social Network: Attenzione agli effetti collaterali". Non un manuale esaustivo, ma un agile vademecum sia per persone alle prime armi, sia per utenti più esperti, pensato per aiutare chi intende entrare in un social network o chi ne fa già parte a usare in modo consapevole uno strumento così nuovo.

La guida del Garante privacy
La guida è organizzata in quattro capitoli pensati in forma modulare, così da offrire a tutti i lettori elementi di riflessioni e consigli, adatti alla propria formazione e ai differenti interessi.

1. Avviso ai naviganti
Spunti di riflessione sul funzionamento dei social network e su alcuni dei principali rischi che si possono incontrare nell'uso dei social network.

2. Ti sei mai chiesto?
La semplice check list che ogni utente dovrebbe controllare prima di pubblicare su Internet i propri dati personali, le informazioni sulla propria vita e o su quella delle persone a lui vicine.
Per facilitare la lettura, le domande sono raggruppate in cinque sezioni, in base al tipo di lettori cui ci si rivolge: ragazzi, genitori, persone in cerca di lavoro, "esperti" e professionisti. In realtà, anche gli utenti esperti possono trovare domande interessanti nella sezione dedicata ai ragazzi, e viceversa.

3. Consigli per un uso consapevole dei social network
Il "decalogo" stilato dal Garante, con consigli utili per tenere sotto controllo i pericoli che si possono incontrare nell'uso dei social network.

4. Il gergo della rete
La spiegazione, rigorosamente non tecnica, dei termini informatici o delle espressioni gergali che si incontrano con maggiore frequenza nelle "reti sociali".


Scarica l'opuscolo:

http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1614258

martedì 26 maggio 2009

Intervista al prof. Pizzetti su "Internet e Privacy"

Professore, partiamo da Facebook. C’è un servizio che ha 11 milioni di utenti in Italia, che sospende le persone con messaggi in inglese cui non esiste un reale diritto di replica e di autodifesa, che ha “termini d’uso” scritti parzialmente in inglese. Lei non pensa che questa azienda dovrebbe avere un punto di rapporto con gli utenti del paese, qualcosa come un ufficio nazionale? Si fa fatica anche a trovare quello europeo…

Partirei dal fatto che la rete ha introdotto una nuova realtà. Ha duplicato la nostra esistenza, creando una dimensione non locale e “virtuale”, che ha regole del tutto diverse da quelle che vigono nella realtà in cui siamo vissuti per migliaia di anni. E’ però una dimensione che influisce - lo vedremo - sulla “vita reale”. E la globalizzazione, che internet ha reso possibile e che con internet ha interagito, ha creato un vuoto di regole, di autorità regolatrici sovranazionali e soprattutto un vuoto di consapevolezza nelle persone. Se guardassimo sotto questo aspetto alla crisi economica mondiale, potremmo trarne indicazioni molto utili…

E’ una dimensione problematica interamente nuova, che coinvolge il diritto, l’etica, il costume. Ovvio che si esplichi in alcuni fenomeni come i social network che sono globali in modo costitutivo. Contratti in lingue che le persone non conoscono, azionabili solo presso tribunali lontanissimi, ma anche condotte molto nuove, nelle quali le generazioni si separano. Pensi che contraddizione: ci sono giovani che posseggono la tecnologia ma sono del tutto indifesi nell’esposizione di sé e della propria vita, e “immigranti digitali” che per età potrebbero aiutarli ad essere più consapevoli, ma che non hanno le conoscenze per comunicare con loro in modo adeguato

Lei insiste molto sulla formazione del pubblico, delle persone. L’Autorità ha pubblicato un vademecum sui social network che andrà anche nelle scuole. Ma le faccio il caso di certe applicazioni Facebook che si presentano sotto l’aspetto del gioco, dell’intrattenimento, del test, che prelevano grandi quantità di dati, destinati ad essere usati successivamente. Come si regola l’Autorità, come si regolano le Autorità degli altri paesi su questo punto?

L’anno scorso è stata varata la “Carta di Roma” sui social network, un documento formale, approvato da tutte le autorità garanti. Propone una serie di raccomandazioni che poggiano su due concetti: è necessaria una comunicazione chiara agli utenti, ma è altrettanto necessaria la consapevolezza da parte delle persone della complessità del mezzo che stanno usando.

Dopodiché il problema che io sento è il pericolo di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Il pericolo cioè che per normare una dimensione che sfugge ad ogni definizione nota, si adottino regole che limitano in modo illegittimo la rete dal punto di vista della libertà degli individui. Anche nel modo di enunciare il problema c’è questa contraddizione tra un modo di ammonire e avvertire sui pericoli della rete, che può somigliare al genere narrativo dell’orco delle favole, e dall’altra il permanere di un far west dove i più deboli sono privi di tutela.

Ma lei sembra più preoccupato del processo generale…

Viviamo una novità assoluta. Una realtà che si dematerializza e si trasforma solo in dati e dove, quindi, il controllo di questi dati è fondamentale. Allo stesso tempo, ci troviamo a non avere alcuno strumento per esercitare questo controllo.

Sono molto impressionato, ad esempio, dalla cancellazione della distinzione tra passato, presente e futuro. Nasce una nuova linea temporale, dove passato presente e perfino il futuro si mescolano senza distinzione. Dove informazioni passate possono essere presentate, e prese in considerazione, prima di altre più recenti e corrette. Dove l’ordinazione di questi dati ubbidisce a criteri che non sono quelli dell’esattezza e della fedeltà.

Questa è una dimensione nuovissima, l’umanità non l’ha mai vissuta. Pensi al concetto di “rifarsi una vita” e a quello di autorappresentazione di sé. Una volta cambiavi paese, se ci riuscivi perfino l’identità, e avevi una ragionevole possibilità di rifarti una vita. Con internet è impossibile.

E ancora: io mando un curriculum al mio datore di lavoro, penso che questa mia presentazione basterà perché mi si valuti correttamente. Macché:, il datore di lavoro cerca con i motori e può trovare cose, magari remote nel tempo, che mettono in discussione l’immagine che ho dato di me. Ci sono casi di giovani che si vedono negare il lavoro per aver scritto di aver bevuto un bicchiere di troppo alla festa di laurea. Non credo che questa consapevolezza sia diffusa.

E “terrificante” e “entusiasmante” allo stesso tempo, è una sfida incredibile. Oggi è il mondo del diritto, forse il mondo dell’etica da ripensare. Di certo il mondo delle relazioni individuali. Cosa vuol dire vivere in un mondo in cui io non sono più padrone di rifarmi una vita? Cosa vuol dire vivere in un mondo in cui passato presente e futuro sono su una linea temporale unica?

Di certo significa che stiamo perdendo la possibilità di essere padroni della nostra autorappresentazione. Con un certo uso del motore di ricerca, viene meno il principio di finalità del dato. Io consento all’uso dell’informazione su di me solo per certe finalità e in base alla rappresentazione che voglio dare di me nei diversi contesti. E invece rischio magari di vedermi rappresentano davanti a una comunità professionale attraverso un’informazione fornita ad altri o per un comportamento sbarazzino di dieci anni prima.

Ora fino a questo punto della storia noi abbiamo vissuto in una dimensione in cui era possibile nascondersi, selezionare le informazioni da far conoscere e quindi autorappresentarci. La perdita di questa dimensione non è ancora chiara a tutti noi: l’autorappresentazione non è più nelle nostre mani. Per citare Bunuel: che fine ha fatto il “fascino discreto della borghesia” in internet?

Ma questo sposta la sede per le autorità della privacy: da Roma a Bruxelles, a New York, dove?

Col passaggio dalla realtà “reale” a quella virtuale le autorità per la privacy hanno completamente cambiato ruolo…

Scusi l’interruzione, ma se le propongo come tema che forse sarebbe meglio chiuderle?

Ci sto arrivando…le autorità si sono trovate sulla frontiera più moderna. Perché devono creare la precondizione per una vita libera e democratica. Una volta si trattava di garantire la sicurezza fisica delle persone come precondizione della vita sociale e civile, della libertà. Nella realtà virtuale la chiave è la sicurezza dei dati che circolano sulla rete e sui dati individuali. Il compito è spaventosamente difficile …

Sappiamo cosa abbiamo perso ma non sappiamo qual è il mondo nuovo. In questa situazione c’è la tendenza, tra i legislatori, a trasferire le norme della realtà “reale” sulla realtà virtuale… come se bastasse…

Certo, avessimo magari un problema e ci fosse bisogno di “una” soluzione sarebbe più semplice. Ma siamo di fronte al cambiamento di una dimensione della vita umana che incide nel rapporto fra uomo e mondo, fra uomo e natura. Non capisco gli uomini politici che non colgono fino in fondo questa complessità, che può far tremare le vene e i polsi, che ci fa sentire indifesi.

I motori di ricerca: ci sono tempi di conservazione dei dati che sono assai discutibili. Ma ancora più dicutibile è la tendenza ad accettare le autodichiarazioni dei motori sulla correttezza delle loro procedure sull’uso dei dati… Penso a certe affermazioni di Google sul funzionamento di AdSense. Bisogna accontentarsi delle loro parole?

Sulla conservazione dei dati c’è stato un lavoro a livello europeo, Google ha preso degli impegni sui tempi di mantenimento. E’ vero, continuiamo ad aver fiducia nelle dichiarazioni di queste strutture, ma non sfuggo al problema se la metto in altri termini: è più pericoloso cosa può sapere Google di me o cosa può sapere il mio vicino di casa su di me tramite Google?

Possiamo anche preoccuparci della “profilazione”, ma perdiamo di vista l’impatto sociale del mezzo. Cosa succede quando un professore fa lezione ma i suoi studenti possono vedere via Google cose relative alla sua vita passata che mettono in crisi il suo “standing” e il suo credito professionale. Non c’è un problema di ordinazione dei risultati? Di criteri ordinativi che non possono solo ubbidire al marketing o alla popolarità?

Temo che su questo non ci sia autorità di privacy che tenga
Invece se non vogliono avere un ruolo burocratico, le autorità possono fare molto per la consapevolezza delle persone. Sarebbe abbastanza facile mettersi a fare i controllori delle policy e delle pratiche di profilazione, ma il fulcro del problema non è questo.

Ultima domanda: dopo la legge francese Hadopi sui download illegali c’è chi, anche di fronte all’eventualità che un orientamento simile prevalga in Italia, ha sollevato obiezione di privacy sul problema dell’identificazione delle persone che effettivamente scaricano file su un certo indirizzo IP. La sua autorità era intervenuta su questo già in passato.
Noi in passato abbiamo ribadito che il gestore telefonico tiene traccia dell’indirizzo IP degli utenti solo per garantire la connessione. Lo abbiamo fatto sulla base dei principi fondamentali della protezione dati. Il fornitore di accesso non poteva fornire informazioni sul comportamento dell’utente in rete. Se non teniamo fermo il principio che i dati possono essere usati solo per le finalità per le quali se ne viene in possesso in virtù di un contratto o di una legge, si perde la bussola .

Se invece mi chiede sul fenomeno p2p , beh’ non possiamo asssistere con grande serenità alla vanificazione del diritto d’autore, trovo ragionevole remunerare chi mi fornisce un’opera dell’ingegno. Mi pare giusto fare in modo di superare il far west, ma mi pare che molti non si rendano conto dei pericoli insiti nell’estensione semplicistica alla rete di massicce attività di controllo.

Fonte:

http://zambardino.blogautore.repubblica.it/2009/05/26/?ref=hpsbsx

domenica 17 maggio 2009

La pirateria informatica aumenta la popolarità delle star musicali

La battaglia delle major del disco contro la pirateria online non sembra conoscere sosta, come dimostra l'ultimo processo contro i fondatori di Pirate Bay in Svezia e l'approvazione della legge «tre errori e sei disconnesso» in Francia. Ma un nuovo studio realizzato in Inghilterra arriva a mettere in discussione alcune convinzioni che stanno alla base di questa crociata: davvero il file-sharing illegale sta danneggiando il mercato della musica? O, piuttosto, sta creando nuove possibilità di promozione per gli artisti? E, cioè, funziona per lo più come la vecchia radio e i videoclip in tv: maggiori passaggi equivalgono anche a più vendite?

LO STUDIO - Realizzato da Prs for Music (omologo inglese della nostra Siae) e dall'istituto di ricerca Big Champagne (che da anni analizza il mercato della musica sui circuiti illegali), il report conferma che gli artisti più piratati sono anche quelli che tendono a scalare più in fretta la classifica delle hit. Un esempio? Nell'ultima settimana di aprile il singolo di Lady GaGa «The Fame» è stato scaricato 338mila volte. Lo stesso vale per gli altri artisti della top 100: sono anche quelli più popolari sui servizi di file-sharing. «Trovarsi in testa alle classifiche dei file più scaricati spesso è il segnale di un successo anche nel mercato legale. In dieci anni di analisi non è mai successo che una hit nel mercato pirata non lo sia poi diventata anche in quello legale» spiegano gli autori. Per quanto possa sembrare paradossale, alla fine la pirateria aiuta le star a diventare ancora più popolari.

CODA CORTA - Lo studio smentisce anche la teoria della coda lunga di Chris Anderson, secondo cui la rete avrebbe allargato le opportunità di business per i prodotti di nicchia e segnato la morte della hit-parade. Sui servizi di file-sharing le attenzioni continuano a concentrarsi solo su una piccola fetta di artisti: l'80 per cento degli scambi riguarda il 5 per cento delle tracce; e spesso si tratta proprio delle hit del momento.

MODELLI DI BUSINESS - I servizi di file-sharing ma anche quelli di streaming su YouTube o MySpace quindi costituiscono ormai una potente alternativa promozionale ai circuiti tradizionali (radio e tv). Le industrie discografiche saranno probabilmente costrette a pensare a modelli di business in grado di legalizzare il file-sharing, facendo accordi con i fornitori di connettività.

I DISCOGRAFICI ITALIANI - «Il peer-to-peer è solo un amplificatore di notorietà - sottolinea però Enzo Mazza della Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana) - La promozione mainstream (radio, tv, ecc.) spinge i consumatori a correre sui sistemi peer-to-peer e cercare l'ultima star il cui brano è stato passato in radio o è stato visto in un videoclip. Se fosse vero l'assunto che il file-sharing promuove le vendite di hit, dovremmo trovarci un mercato florido e non con dischi che invece di fare un milione di copie ora ne fanno 500 mila».

Nicola Bruno
www.corriere.it

mercoledì 13 maggio 2009

La francia approva la legge anti p2p

Brutte notizie per chi “scarica” film e musica, in Francia arrivano le sanzioni penali e la sospensione del servizio, cioè della possibilità di connettersi ad internet come “pena” per i “pirati”. Lo ha deciso ieri l’Assemblea nazionale (e il Senato ha definitivamente confermato questa mattina). Ed è possibile che in Italia qualcuno voglia seguire l’impostazione di Parigi: questo sembra essere l’orientamento che viene portato all’interno del comitato tecnico contro la pirateria istituito presso la presidenza del consiglio italiana.

Il parlamento francese ha approvato ieri sera la legge che va sotto l’acronimo Hadopi (qui Le Monde - in francese). Pur se con una maggioranza inferiore a quella prevista, perché almeno 44 deputati tra quelli che sostengono il governo non l’hanno votata, la legge più discussa degli ultimi tempi è passata con 296 voti a favore contro 233. Il partito socialista, che è all’opposizione, ha annunciato già che si rivolgerà alla Corte costituzionale perché esamini questo testo “assurdo e inapplicabile”. Ma intanto la “Hadopi” oggi è legge dello stato francese (il testo - in francese).

Ecco in cosa consiste.

“Sanzione graduata in tre stadi” - Hadopi sta per Haute Autorité pour la Diffusion des Œuvres et la Protection des Droits sur Internet. Si tratta cioè di una autorità indipendente che viene istituita e che, una volta individuato l’utente che “scarica” illegalmente opere dell’ingegno, lo farà oggetto di un’azione in tre tempi: 1) una comunicazione via mail, in cui si rende noto che il comportamente dell’utente è stato individuato e lo si invita a cessarlo; 2) una lettera raccomandata che ripete in modo definitivo l’ingiunzione; 3) la disconnessione dalla rete internet. A questa sanzione si aggiungerà poi quella amministrativa. Per giunta l’abbonato colpito dovrà pagare il canone al provider per tutto il tempo di durata della sanzione, cioè anche mentre non usa la rete perché è stato privato dell’accesso.

Un dibattito nazionale, un conflitto internazionale - La legge Hadopi tuttavia non è una questione di destra e sinistra contrapposte. Si sono detti favorevoli al disegno anche attori e registi come Michel Piccoli e Luc Besson e gran parte dell’industria dell’intrattenimento è schierata a difesa dei propri diritti e contro i “pirati”. E tuttavia c’è una dimensione internazionale, europea, del problema che promette ulteriori evoluzioni.

Proprio pochi giorni fa la discussione sul “pacchetto telecom” (un gigantesco provvedimento che riformula 5 direttive sulle telecomunicazioni), in sede di parlamento europeo, si è chiusa, poco prima delle elezioni, con l’approvazione del cosiddetto emendamento 138 e il blocco dell’intero pacchetto.

Qual è il problema? Sta proprio nell’emendamento 138, che stabilisce una linea di principio: la connessione internet è un elemento di manifestazione della libertà di pensiero e non può essere in alcun modo fatto oggetto di sanzione di legge. Per intendersi: i sostenitori dell’Hadopi e difensori ad oltranza del diritto d’autore hanno definito questo testo: “emendamento salva p2p”, e intendevano dire: salvapirati.

Che qualche problema si ponga lo dice anche però il sostegno all’emendamento da parte di un fronte di giuristi e di blogger non immediatamente identificabili con posizioni estreme. Guido Scorza è uno di questi e nel suo blog, stamattina, parla di un “dibattito ai confini dell’Europa”. Dice a Repubblica: “E’ davvero assurdo che vi sia la pretesa di svolgere questo tipo di battaglia a livello locale e nazionale, mentre abbiamo a che fare con un mercato senza confini”. E nel suo blog aggiunge: “la decisione di approvare l’Hadopi non tiene in considerazione il pronunciamento che vi è appena stato in sede europea in favore della libertà d’espressione”.

Cosa c’è dietro i timori e le opposizioni a Hadopi? Semplice: per poter individuare chi sta scaricando è necessario che vengano svolte indagini che “entrano nel merito” di tutto il traffico internet che viene scambiato dagli utenti - nella legge francese ad opera delle forze di polizia, ma è già successo “altrove” che investigatori privati lo facciano su incarico delle industrie del settore. Tra le tecniche adoperate per farlo vi sono software che di fatto “frugano”, materialmente (il famigerato DPI che sta per Deep Packet Inspection) in ciò che le persone scrivono, trasmettono, ricevono. Insomma non è solo una questione di arte minacciata dai pirati…

fonte www.repubblica.it

martedì 12 maggio 2009

Gli italiani e la rete

Tre italiani su quattro (73,7%) hanno un computer a casa mentre un italiano solo su due (58,5%) utilizza internet, quasi tutti i giorni, soprattutto da casa con la connessione veloce adsl (84,5%), per cercare informazioni e utilizzare la posta elettronica.

È quanto emerso da un’indagine conoscitiva su un campione di 2.400 persone sull’assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, commissionata dalla IX commissione permanente della Camera dei deputati (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) e svolta dall’istituto Mides (Forum Pa).

Fra chi ancora non ha il pc (26,3%) la maggior parte (82,2%) non lo comprerebbe anche se ci fossero incentivi economici e comunque, anche se lo avesse, non navigherebbe sul web (74,2%). Chi non utilizza internet lo fa perchè non ha le competenze (46%) o perchè non gli interessa, non sa cosa sia e cosa offre (43%).

L’identikit di chi non va on line (41,5%): donna, oltre 50 anni, con titolo di studio elementare o di scuola media inferiore, casalinga o pensionata o coppia senza figli che vive in famiglia. Di questa fascia di persone, l’indagine indica come «irrecuperabili», che cioè non sono affatto interessati ad internet il 18,8%.

È ancora molto bassa (20,6%) anche la percentuale di coloro che usufruiscono di un servizio pubblico utilizzando internet: fra questi il 24% è rimasto molto soddisfatto, il 65,4% abbastanza soddisfatto, mentre l’8,9% lo è stato poco e l’1,6% per niente. Sono indicazioni del rapporto «Gli italiani e le nuove tecnologie» basato sull’indagine conoscitiva sull’assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, richiesta dalla IX Commissione permanente della Camera dei deputati (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) e svolta dall’istituto Mides (Forum Pa).

L’indagine - si legge nel rapporto - mette «in evidenza la necessità di un importante sforzo del sistema Paese per un deciso sviluppo delle comunicazioni elettroniche». Fra chi usa il web per i servizi della pubblica amministrazione, il 54,5% afferma che il servizio è rimasto invariato; per il 22,4% è migliorato mentre per il 14,6% è peggiorato. Chi non utilizza questi servizi spiega di non essere abituato (47,7%), di preferire il contatto diretto (31,6%), di non fidarsi (7,6%), di averci provato ma di non esserci riuscito (5,5%).

Fonte
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=6168&ID_sezione=38&sezione=News

domenica 10 maggio 2009

giovedì 7 maggio 2009

Per negare l'accesso a Internet servirà l'ordine di un giudice

L’Europarlamento ha bocciato a larga maggioranza, oggi a Strasburgo, le nuove norme Ue che avrebbero permesso alle autorità amministrative degli Stati membri di "tagliare" l’accesso a Internet degli utenti che scaricassero illegalmente contenuti sottoposti a copyright, così come prevede una legge attualmente in discussione in Francia.

Con 407 voti a favore, 57 contrari e 171 astenuti, gli eurodeputati hanno approvato in seconda lettura un emendamento - nell’ambito del compromesso complessivo con il Consiglio Ue sul pacchetto di riforma delle telecomunicazioni - in cui si conferma la posizione dell’Europarlamento secondo cui l’accesso a internet può essere negato in caso di downlaod illegale solo a seguito di un ordine del giudice, e non su semplice decisione amministrativa.

L’approvazione dell’emendamento ha fatto cadere l’intero testo sulla riforma delle Tlc, perché i negoziati di compromesso con il Consiglio Ue non prevedono modifiche e sono approvati solo se l’Europarlanento li accetta integralmente. Il pacchetto sarà ora rinviato al ’comitato di conciliazionè dove le due istituzioni comunitarie cercheranno un nuovo accordo sulla riforma, che mira a migliorare la concorrenza e la tutela dei consumatori sul mercato europeo delle telecomunicazioni. Quello della repressione del download illegale era ormai il solo punto controverso del pacchetto, fra l’Assemblea di Strasburgo e i governi dei Ventisette.

lunedì 27 aprile 2009

www.euprofiler.eu

L'Unione europea si dota di un nuovo strumento online di consulenza: si chiama Eu Profiler e servirà come aiuto per le elezioni europee. Ne ha dato notizia in una nota l’Istituto Universitario Europeo di Firenze che, insieme a due partner "tecnici", ha sviluppato il primo strumento informatico studiato per aiutare gli incerti a scegliere il loro partito politico. Da adesso ogni elettore europeo avrà la possibilità di sapere, in soli 10 minuti, quale partito nazionale o europeo si avvicina alle proprie idee politiche.

Accessibile all’indirizzo www.euprofiler.eu, è stato sviluppato da un team internazionale di esperti in scienze sociali e combina l’alta tecnologia informatica con la conoscenza delle posizioni politiche di 300 partiti europei. È disponibile in quasi tutte le lingue dell’Unione Europea ed è personalizzato in base alle campagne politiche di ogni paese membro. A due giorni dal lancio, conta già più di 64.000 visitatori.

In un contesto elettorale confuso, nel quale le linee di demarcazione delle singole formazioni politiche non sono chiaramente definite, Eu Profiler fornisce un prezioso supporto all’elettore, permettendo anche di raccogliere dati per finalità scientifiche, ossia per analizzare i comportamenti di voto degli elettori europei.

Oltre a ciò, Eu Profiler, che sarà utilizzato verosimilmente da milioni di visitatori, costituirà un potente strumento per elevare il livello di consapevolezza degli elettori circa le prossime elezioni europee. In un’epoca di scarso attaccamento dell’elettorato verso le istituzioni europee, Eu Profiler potrà dare un contributo per superare questo distacco fra Bruxelles e la società civile.