Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


venerdì 11 giugno 2010

Un cervello in corpo d'avatar È questa l'immortalità digitale

SE UN TEMPO la conoscenza degli antenati avveniva tramite ritratti a mezzo busto o polverose foto in bianco e nero, oggi c'è chi sta lavorando per rendere questo rapporto il più diretto possibile. Dal Giappone agli Stati Uniti, il sogno dell'immortalità - quantomeno digitale - non sembra più così irrealizzabile. Si moltiplicano infatti i progetti per la costruzione di gemelli digitalizzati in grado di trasmettere gli insegnamenti di una vita ai figli dei nipoti dei propri nipoti. L'idea è quella di creare degli avatar - per ora solo computerizzati, in futuro chissà - in cui fare un back up della propria memoria, così da affidargli il compito di prolungare il sé anche dopo la morte.

Passate al setaccio dalla rivista New Scientist, in rete ci sono già diverse compagnie che offrono questo tipo di servizio, noto come "creazione del mind file". Usufruirne è semplice: basta avere un po' di tempo libero, una buona dose di pazienza e la voglia di trasformare in byte i momenti salienti della nostra vita. Il risultato, non sempre garantito, è un alter ego che, pur vivendo nel computer, impara a parlare, muoversi e comportarsi come noi. Non mancano però le aziende che si spingono oltre, prefigurando scenari in cui mind file e bio file si potranno riunire per generare qualcosa di molto simile a un clone biologico.

Il back up della memoria. La creazione (gratuita) del mind file è pratica corrente su siti come Lifenaut 1e CyBeRev 2. Si tratta di compagnie americane la cui "mission" è esplorare le possibilità di immagazzinamento della vita in rappresentazioni computerizzate realistiche, vale a dire avatar. Lifenaut, ad esempio, consente di caricare in un archivio digitale foto, video e documenti personali che verranno conservati per generazioni. Partendo da una foto preferibilmente inespressiva, il software la anima in modo da farla parlare, ammiccare e sbattere le ciglia. Agli utenti spetta il compito di raccontarsi attraverso test psicologici, autodescrizioni e resoconti vari, il tutto "taggando" a mo' di Facebook luoghi, date e persone.

"In questa maniera - spiegano i responsabili - si aiuta l'avatar a organizzare i suoi/nostri ricordi". E' previsto anche l'inserimento di pezzi di corrispondenza, pagine di diario e contributi di amici e parenti, per far sì che l'alter ego digitale non sia soltanto il riflesso di ciò che si sarebbe voluto essere. CyBeRev, invece, sottopone i suoi clienti a migliaia di domande ispirate all'opera del sociologo americano William Sims Bainbridge. Lo scopo è catturare speranze, valori e attitudini chiedendo alle persone di immaginare il mondo tra cent'anni. "Si tratta di un processo lungo e laborioso", mette in guardia Lori Rhodes, fondatrice di CyBeRev. "Dedicandovi un'ora al giorno tutti i giorni, ci vogliono cinque anni per completare tutte le domande. Sapendo che più si va a fondo nelle risposte, più il mind file sarà una copia fedele della nostra mente".

"Mind file" in presa diretta. Sulla scia di LifeLogger (sistema multimediale di blog e social networking creato da Orientations Network S. B. nel 2004) alcuni programmi si propongono di catturare in presa diretta il fluire di esperienze e ricordi. Un esempio è MyLifeBits 3, il progetto con cui Gordon Bell, ricercatore Microsoft, sta cercando di fermare nel tempo tutto ciò che lo riguarda, dalle telefonate di lavoro alle immagini riprese da una videocamera-ombra che lo accompagna nella sua giornata. Un team della University of Southampton (Regno Unito) si sta ingegnando per raffinare ancora di più questo principio, facendo corrispondere alle istantanee informazioni ricavate dal proprio diario, dai social network e dalle coordinate GPS in il soggetto si è mosso. In prospettiva, i ricercatori vorrebbero riuscire a integrare questi dati con misure fisiologiche, come ad esempio il ritmo del battito cardiaco, così da associare le emozioni ai fatti.

Lavorando sulle facce. Uno degli ostacoli più grandi per arrivare ad avatar "credibili" è la questione dei volti. Come fare a creare un modello in grado di rendere anche solo l'idea delle infinite sfaccettature che compongono un sorriso? A complicare la faccenda è il fenomeno noto come "uncanny valley" (letteralmente "valle perturbante"), termine utilizzato dal pioniere giapponese della robotica Masahiro Mori per descrivere le sensazioni di repulsione e inquietudine che si generano nella mente al cospetto di automi molto simili, ma non del tutto uguali, agli esseri umani.

Come ricorda New Scientist, in questo settore i risultati più alti li ha conseguiti la Image Metrics 4, compagnia californiana specializzata nella realizzazione di volti digitali per film e videogiochi. Partendo da una serie di fotografie ad alta definizione del viso di una persona (ognuna caratterizzata da sfumature emotive diverse), gli ingegneri sono riusciti a estrapolare le differenze numeriche tra un'espressione e l'altra, per poi riprodurle in formato digitale. Lo hanno fatto, ad esempio, con l'avatar dell'attrice americana Emily O'Brien (video). Nel 2008 il suo alter ego digitale è stato presentato al meeting di Los Angeles dell'ACM Siggraph, guadagnando il plauso degli appassionati di animazione e non solo.

Vita in società. Per quanto riguarda le iterazioni sociali, lo studio pilota è Project Lifelike 5, frutto della collaborazione tra University of Central Florida (Orlando) e University of Illinois (Chicago). Dal 2007 un gruppo di ricercatori sta lavorando per costruire un avatar realistico di Alexander Schwarzkopf, ex direttore della US National Science Foundation. Dai dati raccolti è emerso che ciò a cui gli esseri umani prestano più attenzione nel valutare la credibilità di un avatar non sono tanto i dettagli fisici, quanto piuttosto i movimenti idiosincratici che rendono unica ogni persona. Ecco allora che le priorità diventano i piccoli gesti, l'inarcarsi delle sopracciglia, il pendere della testa da un lato in segno di empatia, l'impercettibile flettersi dei muscoli agli angoli del naso.
Un buon avatar, com'è ovvio, deve anche saper parlare con cognizione di causa: di questo si occupano i software di chatbot, programmi in grado di simulare conversazioni basiche tra esseri umani analizzando il contesto. Lifenaut, ad esempio, utilizza Jabberwacky, un tipo di chatbot particolarmente evoluto che adatta il programma al singolo utente. Nato dallo studio di conversazioni tra milioni di persone dal 1997 ad oggi, il software ha vinto due volte il premio Loebner grazie al realismo dei suoi dialoghi.

L'avatar biologico. Il salto da un io digitale che ricorda, parla e racconta a un avatar fisico in carne e ossa appartiene ancora alla fantascienza, ma c'è chi ha già iniziato a pensarci. Generare un essere umano mettendo insieme il "bio file" e il "mind file": è questo, in ultima analisi, l'obiettivo a lungo termine di programmi come Lifenaut. Si tratta di inserire il back up del cervello dentro un clone generato con le proprie cellule. I più motivati possono avviare il processo fin da ora: previa la compilazione di un format, la compagnia manda a casa del cliente una boccetta di collutorio; questi, dopo averla usata, la rispedisce al mittente con un campione della sua saliva, le cui cellule vengono criopreservate in azoto liquido alla temperatura di -197 °C. Trattandosi di un business di dubbio successo - leggi ed etica potrebbero continuare ad esistere anche in futuro - la società si tutela chiedendo un piccolo contributo quotidiano (1 dollaro al giorno) o un pagamento una tantum di circa 9.000 dollari. Bazzecole per chi è disposto a fare follie pur di scappare alla morte.
Giulia Belardelli
www.repubblica.it

giovedì 6 maggio 2010

Il "popolo della Rete" è più aperto

Se le frammentazioni e le segregazioni ideologiche sono sempre più accentuate nel mondo reale, questo fenomeno non corrisponde affatto al mondo virtuale. Gli internauti sono “vagabondi ideologici”, molto più curiosi di quanto si pensi; alla ricerca costante del confronto d’idee, vogliono sapere cosa succede dall’altra parte dello steccato politico e non hanno timore di esplorare siti che contengono opinioni opposte. E Internet è ben lontano da essere chiuso e segregato come spesso si tende a far credere.

Non sono certa di essere d'accordo, ma a dirlo è un'interessante ricerca di Matthew Gentzkow e Jesse M. Shapiro, docenti della Chicago Booth School of Business*, che indaga su come il consumo d’informazioni su Internet è contraddistinto da una sorta di “segregazione ideologica” e mette a confronto i risultati con la segregazione dei media tradizionali e delle interazioni interpersonali.

Questo studio getta nuova luce sull'effetto “cassa di risonanza” secondo il quale le nostre convinzioni personali si rafforzano nell'udire o leggere idee simili. Se amiamo trovare conferma delle nostre idee preconcette, Internet, che permette di personalizzare la scelta dei media online e dunque di selezionare solo le storie che ci interessano, potrebbe isolarci dietro le nostre convinzioni e, alla fine, produrre una sorta di “polarizzazione” della società in gruppi distinti.

Nella pubblicazione "Segregazione ideologica online e offline" Gentzkow e Shapiro dimostrano il contrario. Secondo i due ricercatori, nulla prova in modo convincente che Internet accentuerebbe progressivamente la segregazione ideologica. Al contrario, lo studio dimostra che la segregazione ideologica degli internauti è inferiore a quella dei lettori dei giornali nazionali. Oltre a ciò, emerge che gli scambi su Internet sono ideologicamente molto più diversificati che altre forme di aggregazione tradizionali, come le discussioni sul luogo di lavoro, o in chiesa. E’ molto più probabile incontrare persone con idee opposte su Internet che passeggiando nel proprio quartiere.

Ma la scoperta più importante è che la maggior parte degli internauti visita regolarmente siti generalisti (o politicamente non orientati) come Yahoo News o Aol e visita anche quei siti che non rispecchiano necessariamente le loro ideologie. Anche quando passano ad altri siti, hanno l’abitudine di visitare quelli dove incontrano persone molto differenti da loro.

La ricerca Gentzkow e Shapiro, che riprende gli strumenti di analisi utilizzati per misurare la segregazione razziale negli Stati Uniti, si concentra innanzitutto sul comportamento degli individui su Internet. Partendo da un campione di giornali e siti web, i ricercatori hanno misurato la dimensione conservatrice di ogni giornale online, ossia, la proporzione di lettori che si dichiarano di tendenza “conservatrice”. In seguito, hanno dato un valore alla proporzione conservatrice media di ogni fonte d’informazione visitata. Per esempio: se il sito nytimes.com è l’unico giornale online consultato dal lettore, la sua esposizione è definita dalla dimensione conservatrice del sito stesso. Se invece il lettore consulta oltre al nytimes.com anche foxnews.com, la sua esposizione sarà pari alla media della dimensione conservatrice dei due siti.

di Anna Masera
www.lastampa.it

giovedì 29 aprile 2010

Ancora su Internet e privacy

Privacy e social network: due concetti all’apparenza inconciliabili. L’esplosione del web 2.0, con tutti i servizi legati alla condivisione di informazioni, contenuti e prodotti, ha creato nuove possibilità per l’utente, ma lo ha anche portato a dover scegliere con più attenzione cosa dire di sé in rete.

Le autorità e Google. Le autorità che tutelano la privacy hanno da tempo concentrato la loro attenzione su siti e servizi del web sociale. E’ notizia di qualche giorno fa il documento condiviso tra i garanti della Privacy di dieci paesi (tra cui l’Italia) che hanno “invitato” Google a rispettare le regole in materia di trattamento dei dati personali, soprattutto alla luce di quanto visto con il social network Buzz. “Siamo rimasti profondamente turbati – si legge nel documento - dalla recente introduzione dell'applicazione di social networking Google Buzz, che ha purtroppo evidenziato una grave mancanza di riguardo per regole e norme fondamentali in materia di privacy. Inoltre, questa non è la prima volta che Google non tiene in adeguata considerazione la tutela della privacy quando lancia nuovi servizi”.

Google Buzz, apparso a tutti gli utilizzatori di Gmail, è solo uno degli esempi e sono le stesse autorità a specificare quanto il problema sia globale: “Le Autorità riconoscono che Google non è l'unica società ad avere introdotto servizi online senza prevedere tutele adeguate per gli utenti. Tuttavia, sollecitano Google a dare l'esempio, "in quanto leader nel mondo online", incorporando meccanismi a garanzia della privacy direttamente in fase di progettazione di nuovi servizi online”.

La privacy. Come difendere la propria privacy online? Per iniziare può essere utile scaricare dal sito del garante italiano una breve guida con i comportamenti da tenere in rete. Le informazioni qui contenute sono in gran parte dettate dal buon senso e sono abbastanza facili da mettere in atto. Qualche dubbio sorge solo di fronte al consiglio di leggere i contratti che si siglano con i servizi come Facebook e soci: giusto da dire, impossibile da realizzare (solo l’informativa sulla privacy di Facebook è lunga 16 pagine, a cui aggiungere i termini di servizio). La regola numero uno resta comunque l’autotutela: evitate di dare informazioni troppo personali, non condividete foto imbarazzanti, non fidatevi di qualcuno solo perché vi chiede l’amicizia.

Per facilitare la comprensione dei lunghi contratti proposti dai servizi online, abbiamo realizzato delle schede che mettono in luce alcuni degli aspetti più significativi, soprattutto per comprendere bene il livello di controllo che si può avere sui dati personali e sulla loro eventuale rimozione. I siti confrontati sono Facebook, FriendFeed, Google Buzz, Twitter e YouTube. Il web 2.0 non è tutto uguale.

Cancellarsi da questi servizi non è così facile o definitivo come si crede. Facebook ha due livelli di cancellazione (uno dei quali è quasi introvabile); Buzz non elimina i commenti e i like lasciati sui profili altrui, YouTube non cancella i video e il canale (bisogna farlo manualmente). Più definitivi sono invece Twitter e FriendFeed.

Molto diversa è anche la possibilità di agire sulla diffusione dei contenuti attraverso i pannelli di controllo: estremamente completo quello di Facebook (che permette anche di gestire i risultati dei motori di ricerca), mentre tutti gli altri servizi si limitano a fornire la possibilità di rendere i propri aggiornamenti consultabili solo da amici autorizzati.

La disponibilità in italiano dei termini di servizio è legata al successo delle varie piattaforme. Ok Google, YouTube e Facebook, solo in inglese FriendFeed, mentre Twitter ha una versione tradotta nella nostra lingua, ma con diversi errori e parti ancora in inglese. Tutti i servizi analizzati fanno riferimento alle leggi di stati diversi da quello italiano. In caso di controversie legali si riservano insomma il diritto di risolverle seguendo la legislazione della California (Facebook e Twitter), dello stato di New York (FriendFeed) o dei tribunali inglesi (Google e YouTube).

www.repubblica.it

sabato 10 aprile 2010

Maroni, ministro pirata

Quando si parla di Internet Roberto Maroni non smette mai di stupire. Il ministro dell’Interno è tornato su un argomento a lui caro: il download di file su Internet. Lo ha fatto in un’intervista a Panorama in edicola oggi dove prima ha ribadito il suo amore per la musica: "Non passo mai una giornata senza musica. La ascolto al ministero, in aereo con l’iPod". Poi ammette: "A volte, scarico gratis musica dalla Rete". Quel "gratis" ha il suono di illegale, almeno a leggere il seguito dell’intervista: "Quest’ultima abitudine vuole essere una provocazione, perché credo che la soluzione non sia quella francese di tagliare il collegamento a chi scarica illegalmente canzoni. La soluzione è creare un sito protetto, sicuro e legale, dove i ragazzi possano scaricare brani i cui diritti d’autore sono garantiti dall’intervento di uno o più sponsor. Questa è la via maestra per tutelare sul serio i diritti di tutti". Parole, non c’è dubbio, al miele per i tanti amanti della condivisione su Internet a volte bollati come "ladri" dalla stampa e dalle grosse etichette musicali. Sul fronte download Maroni scavalca a sinistra molti esponenti del suo governo e della sua maggioranza e, soprattutto, disconosce la legge francese, la cosidetta Hadopi, che nonostante le numerose critiche è diventata un modello in tutta Europa.

La legge, voluta a tutti i costi da Sarkozy, prevede che venga tagliata la linea Internet a chi è scoperto per tre volte a scaricare illegalmente dal web. Ma Maroni, ormai non c’è dubbio, è a favore del download; già nel 2006 disse: "Scarico illegalmente musica da Internet". Ai tempi, però, era all’opposizione.Ora invece è in un posto chiave del governo e il suo partito appare in grado di dettare l’agenda nella maggioranza. Se i suoi convincimenti personali si trasformassero in una proposta concreta, anche di legge, avrebbe senza dubbio dalla sua parte molti appassionati di musica e patiti della Rete.

Da il Fatto Quotidiano del 9 aprile

venerdì 19 marzo 2010

I pirati del web all'assalto di Montecitorio

In vista delle elezioni regionali il popolo di internet interroga il mondo politico sullo stato dell'arte della Rete e sul suo futuro in Italia. Sabato 20 marzo alle 11 al Teatro Capranica davanti a Montecitorio si svolge la seconda edizione della Festa dei Pirati.

DEMOCRAZIA - A due passi dal Parlamento si analizzeranno le misure legali attuate dal governo in termini di regolamentazione di internet, le possibilità democratiche aperte dai social network e si presenteranno alcuni dei software più efficaci per garantire l'anonimato e la libertà di navigazione per gli utenti dei paesi dove internet è censurata. Per esempio si parlerà di Freenet e di Tor, protocolli e applicativi che rispettivamente rendono anonimi i contenuti e la navigazione. Negli Stati Uniti, dopo i recenti attacchi della Cina a Google, alcuni senatori stanno pensando di destinare alcuni fondi governativi proprio a questo tipo di sistemi aggira-censura.

CONOSCENZA DEL WEB - Gli organizzatori, favorevoli alla neutralità della rete e alla revisione del sistema del diritto d'autore, hanno pensato a un momento bipartisan in cui esponenti della destra e della sinistra italiana dovranno dimostrare quanto conoscono la materia del web e le loro proposte nel merito. L’iniziativa è patrocinata dalla Regione Lazio e dalla Provincia di Roma. Per un giorno, difensori della libertà di conoscenza, untori di mp3, politici, hacker e amministratori si confronteranno sulle modalità con le quali avviene oggi la produzione e condivisione del sapere.

LA FESTA - Il programma è fitto di appuntamenti. All'ingresso un gruppo di hostess burlesque accoglierà gli ospiti con look da piratesse. Per tutta la giornata si susseguiranno anche interventi di arte e giornalismo visuale tra cui una video-installazione proporrà un remixaggio permanente dei contenuti discussi nei vari incontri. La prima parte dell’appuntamento si articola su cinque sessioni di dibattito e la seconda (in serata) è tutta improntata al divertimento e alla condivisione ludica, con interventi di artisti internazionali.

TEMI IN DISCUSSIONE - La mattina si apre con un confronto serrato tra esperti informatici e esponenti politici. Il primo pomeriggio i protagonisti saranno i blogger e i giornalisti sul tema del web 2.0. A seguire il web se la vedrà con la tv, in un dibattito in stile talk show sulle regole che applicate alla televisione dovrebbero valere anche per internet. Poi saranno affrontati i temi della censura e del controllo e saranno illustrati tutti i modi per aggirare chi spia e traccia illegalmente gli utenti. In orario d’aperitivo si parlerà di Europa e di mondo: legislazione e movimenti globali, immancabile Magnus Eriksson dalla Svezia rappresentante di Pirate Bay.

POLEMICHE - L’iniziativa nel suo lato bipartisan ha già acceso le polemiche e «lascia sbigottito» Tullio Camiglieri, coordinatore del centro studi per la protezione dei diritti degli autori e della libertà d'informazione: «A quando il partito dei furti con destrezza o l'associazione degli amici dello sballo legalizzato?». Camiglieri è stupito dal fatto che alla manifestazione abbiano aderito «anche deputati del nostro Parlamento, sarebbe più utile se questi nostri rappresentanti pensassero a tutelare responsabilmente l'industria culturale italiana saccheggiata quotidianamente dalla pirateria online. Centinaia di migliaia di persone impiegate nel cinema, nell'editoria, nei giornali e nell'industria musicale rischiano il loro posto di lavoro. Senza i ricavi non ci saranno più investimenti e non avrà più senso destinare risorse economiche alla realizzazione di un film, di un documentario, di un nuovo giornale o di una produzione musicale».

RIVOLUZIONE INFORMATICA - Non mancano le risposte, questa volta ci pensa Martino Blissetto, di SharingIsCaring: «Ci sentiamo feriti dalla dichiarazione del nostro caro amico Camiglieri, il nostro intento è sempre stato di utilizzare la rete per remixare, diffondere e condividere le opere dell'ingegno umano. Noi aiutiamo gli autori, mostrando come internet possa costituire un'occasione straordinaria anche per loro». E aggiunge: «Come padre ho sempre tentato di insegnare ai miei figli l'amore per il prossimo e la condivisione delle gioie del sapere, e perciò non mi piace essere paragonato a un ladro o a uno sballato. Ci dispiace molto che Camiglieri non capisca il valore della rivoluzione digitale che è in corso: le contrapposizioni sono completamente inutili e le sue critiche sono ingiuste e obsolete. Sarebbe auspicabile invece cooperare per il bene comune e per un libero accesso alla conoscenza delle nuove generazioni». La festa è già iniziata. Sin da ora è possibile intervenire proponendo domande osservazioni e anche critiche attraverso Twitter. La strada verso una cultura informatica critica è ancora lunga e certo occorre prestare attenzione a non usare slogan facili da tecno-entusiasti dell’ultima ora, ma i dibattiti pubblici occorrono e alcuni dei temi affrontati svolgeranno davvero un ruolo chiave per il prossimo futuro.

Hanay Raja
18 marzo 2010 - www.corriere.it

venerdì 12 marzo 2010

Il web e la trasparenza tra ideali e realtà

Posto la traduzione della relazione del prof. Lessig (autore di alcuni libri fondamentali per comprendere le problematiche giuridiche e politiche della rete) al convegno di Roma dell'11 marzo 2010 presso la Camera dei Deputati.


Molte grazie presidente, è un grande piacere per me avere la possibilità di parlare del tema in un modo che credo andrà a integrare quanto ha appena detto lei. Voglio cominciare con tre racconti: il primo comincia nel 1976, ero un giovane adolescente ossessionato da questa ideologia, non perché fossi comunista in realtà ero di destra, ero un grande fan di Ronald Reagan e non è che stessi a favore di questo però era un'ossessione. Quando sono arrivato in Italia, la passione che c’era verso questa ideologia, mi haportato a fare un viaggio come studente universitario attorno a tutti paesi dell'ex blocco sovietico, forse vi ricordate che si portavano dei simboli dell'Occidente in questi paesi, per esempio la gomma masticare e le sigarette che si regalavano viaggiando nell'Europa orientale. Quando sono arrivato in in Bulgaria, l'ultimo dei Paesi in cui mi sono recato ho trovato un parco giochi dove c'erano dei bambini e sono andato al parco giochi per offrire loro della gomma da masticare e mi ha stupito che i bambini hanno preso la gomma da masticare ma non avevano idea di cosa fosse non avevano mai visto la gomma a masticare, erano stati così esclusi dell'Occidente e di questo mi sono ricordato nel 2005 quando ho avuto la possibilità di tornare in Bulgaria per presentare una relazione, in questo luogo straordinario, si chiama la Casa Rossa e ho parlato con molti giovani bulgari e ho scoperto che nel 2005 erano uguali a tutti i giovani in tutto l'Occidente; sapevano forse di più riguardo a Internet rispetto a molti miei colleghi di Standford in California. Nel 2003 sono stato invitato a venire a un convegno organizzato da Viacom una delle aziende di media più importanti del mondo a Scottsdal in Arizona, questo posto bellissimo dove dovevo contribuire a una discussione sulla protezione del diritto d'autore e la tecnologia, ma dato che si conosceva come l'anarchico del diritto d'autore è stato un po' come gettare un cristiano ai leoni perché i dirigenti della Viacom hanno pensato che era loro dovere picchiarmi retoricamente e quindi questo executive è stato così duro che mi ha mandato dopo l’incontro dele scuse formali ma dopo l’incontro e le critiche feroci che mi erano state rivolte dei dirigenti della Viacom, una serie di giovani della Viacom mi hanno preso parte e mi ha detto bisogna capire che qui siamo in Cina e noi aspettiamo che muoiano e poi andremo al potere noi. Infine, nel 2001 ho cominciato ad avere dei contatti con dei giovani studenti francesi sui temi che riguardano la cultura libera e il software libero, la mia idea della Francia si è formata dall’incontro con questi studenti e l’anno scorso sono stato invitato al palazzo dei Papi a Avignone. Dovevo parlare ai leader dell'industria culturale francese. Ho fatto la mia presentazione e c'è stata una risposta stupita, mi hanno detto. “è stata una lezione eccezionale forse più interessante che abbia mai sentito”, ma erano in completo disaccordo con tutto quello che avevo detto. Questo ha stupito me, perché non avevo detto niente con cui con cui qualcuno potesse essere in disaccordo, avevo detto delle cose banalissime. Quindi volevo capire che cosa fosse stato che aveva portato a questo disaccordo da parte di queste persone, per cui ho seguito i leader a una discussione con gli studenti. C'erano diversi studenti che si sono alzati una volta e hanno formulato delle domande riguarda a Internet a questi leader del settore culturale francese, domande che mi sembravano chiarissime e uno alla volta questi studenti sono stati corretti e rimproverati da questi leader perché dicevano che non avevano capito niente sul futuro. E infatti uno dei leader ha detto “il mio lavoro è quello di difendere gli usi che si stanno perdendo ” e dopo di ciò, uno degli studenti ha detto: “questo è sempre stato il sogno dei dinosauri”. Quindi, la separazione che vediamo nel mondo oggi, non è tanto una divisione fra le nazioni, ma più una separazione fra le generazioni.

La separazione fra i componenti della generazione Y nei diversi paesi in cui vive, è minore rispetto alla separazione che abbiamo noi con i giovani all'interno dei paesi in cui viviamo. È un divario grande e sta crescendo. Quindi se legiferiamo per noi, tendiamo a legiferare contro di loro. Ma dobbiamo capire che la legge della natura dice che noi non li sconfiggeremo. L'unica domanda è come ci ricorderanno loro, se ci ricorderanno come dinosauri in un'epoca che sta morendo, e che è già il passato. Questo è un evento in cui vogliamo celebrare la Rete. Di solito preferisco parlare di Internet. Per celebrare l'Internet, prima di tutto dobbiamo cercare di capire che cosa non è. Non possiamo capire Internet se pensiamo a delle delle applicazioni singole, come non si poteva capire la stampa pensando a dei libri specifici o l’importanza del mercato teorizzato da Adam Smith pensando ai beni che venivano scambiati sul mercato. Internet è una cosa che permette delle cose, come il mercato permetteva delle cose come la stampa permetteva dellle cose. Internet permette delle cose, è una creatura che permette innovazione, una innovazione non progettata e non prevista., Innovazione, quello che altri chiamano la libertà. Che tipo di innovazione? Se l'uomo fosse solo buono, anche l'innovazione sarebbe soltanto buona. Però non c'è bisogno di un professore per ricordarvi che non siamo soltanto buoni; nella nostra società c'è sia il bene che il male e qui, come dappertutto, c'è bene e male. Quindi c'è del bene su Internet, Google, Facebook, You Tube anche i Tunes, anche se qualcuno lo mette in dubbio, e poi ci sono delle cose che non vanno bene: i virus lo spam, i botnet che si appropriano dei computer, il malware. Queste sono cose maligne e distruttive in tutta la Rete e noi patrocinatori, noi fan di Internet, passiamo troppo tempo ad elogiare il buono e a dimenticare il male. Dobbiamo ricordarci sempre anche del male, per capire come Internet fa diventare la società in cui vivremo. Ci sono tre cose che dobbiamo ricordare: il contesto del diritto d'autore, il contesto del giornalismo e il contesto della richiesta crescente di trasparenza da parte della società. Prima di tutto il diritto d'autore. C'è del bene nel contributo che ha dato Internet al settore creativo in tutto il mondo. Internet ha spinto l'innovazione, l’innovazione ha creato un'enorme varietà nella cultura accessibile tutti, una varietà commerciale, il mio collega Chris Anderson descrive questo con la dinamica della coda lunga. Internet permette ad una gamma molto più ampia di prodotti creativi di avere successo rispetto a quanto succedesse prima; però permette anche la creatività amatoriale, quella delle persone che creano per amore delle arti e non per i soldi. L'importanza della creatività amatoriale era cara a Jon Philips Sousa, che nel 1906 è andato al Congresso degli Stati Uniti per parlare della “macchina parlante”, come la chiamava, che era per lui alla rovina della creatività. “Queste macchine parlanti rovineranno il futuro della musica in questo paese - è una citazione di quanto ha detto - quand'ero ragazzo davanti ogni casa in questo paese si vedevano dei canti dei ragazzi che cantavano le canzoni dell'epoca o delle canzoni vecchie oggi si sentono queste macchine infernali ad ogni oradel giorno e tutta la notte. Noi perderemo le nostre corde vocali, le corde vocali verranno eliminate dal processo di evoluzione, come si è perduta la coda dell'uomo quando si è evoluto dalla scimmia”. Quindi voglio che vi concentriate su quest'immagine, l’immagine dei giovani dell’epoca che stavano insieme e cantavano le canzoni dell’epoca o quelle più vecchie. Persone che partecipavano alla creazione o alla ricreazione della propria cultura. Sousa aveva ragione di temere che non sopravvivesse quell'immagine; la diffusione del vinile, la radiodiffusione, ci hanno trasformato in uditori passivi; però sbagliava se si pensa alle tecnologie del ventunesimo secolo.

Sono delle tecnologie che portano alla ripresa della cultura a cui pensava lui. Vi porto qualche esempio: sono sicuro che qualcuno di voi ha visto questa interpretazione straordinaria del canone In Re, da quando è stato messo su You Tube, più di 70 milioni di persone hanno visto questa interpretazione di un giovane ragazzo che con un berretto da baseball e una chitarra interpreta la propria variazione di questo classico. Da quando è stato pubblicato questo brano, centinaia di persone hanno avuto la stessa idea e hanno prodotto la propria variazione diffondendola sulla stessa piattaforma. Per esempio un ragazzo ha preso la musica dal video per produrre questo, questa ha ispirato qualcun altro a produrre questo… e poi ha ispirato un'altra persona a produrre questo. Chiaramente se Brooklyn lo può fare San Francisco può fare anche meglio. Il fatto è che questo è quello sognava Sousa quando parlava dei ragazzi che si riunivano cantare le canzoni dell'epoca. Oggi non lo fanno più fisicamente, ma si riuniscono intorno a una piattaforma digitale che ispira l'altra creatività. È anche grazie alle leggi che regolano questa piattaforma che può prodursi questa creatività, se si applicassero ad essa le stesse regole che vengono applicate ai vecchi media questa creatività sarebbe impossibile. Su YouTube ogni minuto ci sono 20 h di video, anzi, da quando ho iniziato a parlare oggi più di 12 giornate di video sono state caricate su You Tube. Qualsiasi regola che necessitasse la valutazione previa di questo materiale, porterebbe alla chiusura di siti come You Tube. Questo è il bene che è uscito da questa infrastruttura, però c’è stato anche del male, come la pirateria p2p, di autori che non autorizzano la condivisione del proprio materiale. La RIAA dice che ci sono 12,5 miliardi di danni l'anno. Io credo che queste stime siano esagerate, però non c'è bisogno di credere a queste stime; le vendite digitali sono aumentate del 940% mentre le vendite di dischi sono scese del 30%. Io credo che sarebbe giusto per il governo preoccuparsi dei danni che questo comporta per gli artisti ed è sicuro che questa pirateria ha portato dei danni ad alcuni artisti e questo è un male che deriva da questa piattaforma dell'innovazione. Pensiamo al giornalismo adesso, c’è del bene straordinario che viene prodotto da Internet per il giornalismo, l’innovazione, la varietà delle nuove forme di giornalismo. Su dei siti cui possiamo vedere delle raccolte di articoli, e poi c’è anche la produzione dilettante di Wikipedia e altri blog. Ma c'è anche del male perché l'aumento di media liberi e gratuiti comporta una pressione sul tipo di giornalismo che è essenziale per la democrazia, il giornalismo d'indagine, il giornalismo basato sulle analisi; se riteniamo che siano importanti cose come il NyT che pubblica i Pentagon Papers. Queste cose appartengono al momento in cui la stampa aveva una forza, la stampa si difendeva nei confronti dei tribunali e questo ha avuto un effetto profondo su quello che pensavamo potesse essere la stampa. Io credo che purtroppo questo tempo sia passato nel mio Paese. Anche se ci sono ancora dei giornali non c'è più la stessa forza, la stessa spina dorsale in questo giornali, pensiamo al fatto che lo stesso New York Times non ha rivelato i dati sull’Iraq finché non è stata confermata l'elezione del presidente Bush. Chiaramente Internet aumenterà la pressione su questo tipo di giornalismo, con la riduzione del finanziamento incrociato alla stampa tradizionale. Questo è un problema per la democrazia. Pensiamo poi alla questione della trasparenza; anche qui Internet ha prodotto benefici enormi, favorendo l’esplosione dell'efficienza e della trasparenza. L’amministrazione Obama ha esplorato le possibilità di rendere accessibili le informazioni in modo facilmente comprensibile. Data.gov ci presenta tutta una serie di dati che riguardano l'azione del governo, cui si può accedere in modo totalmente gratuito. E poi ci sono informazioni facilmente accessibili grazie a cui gli automobilisti possono trovare dei modi per consumare meno combustibile e anche in Gran Bretagna si rendono disponibili informazioni trasparenti sul funzionamento del Parlamento britannico. La maggior parte di questi progetti sono ottimi per la democrazia. Ma ci sono anche qui dei costi: c'è un lato oscuro di questo movimento verso la trasparenza, vi dò un esempio possono avete visto questo film che parla del debito da carta di credito negli Stati Uniti. Una delle cause principali di questo problema è una legge si chiama legge per la Protezione dei consumatori e Prevenzione dell’abuso da bancarotta. In realtà non c'è protezione dei consumatori, in questa legge, che invece ha avuto l'effetto di rendere impossibile estinguere il debito da carta di credito. Questa legge è stata proposta quando Clinton era presidente, e lui era a favore di essa, ma Hillary Clinton dopo aver letto un articolo sul New York Times ha cominciato a militare contro tale legge, contro tale Bill, ovvero “legge” in inglese, con la b maiuscola. Nonostante la legge fosse stata bloccata in precedenza, quando la signora è diventata senatore, a questo punto aveva ricevuto $ 140.000 in contributi dal settore dei servizi finanziari, quindi cosa fatto? Nel 2001 votato a favore di quella terribile legge, dper ue volte, dando il suo sostegno a questo cambiamento della legislazione. La senatrice Clinton ha detto non era per i soldi e ha difeso la sua decisione: “non credo che nessuno possa pensare che venga influenzata da una lobby, vista la mia esperienza di trent'anni – ha detto”. Io credo a Hilary Clinton, non credo che si possa diventare Hilary Clinton se è facile essere corrotti, ci possono essere milioni di ragioni per cui la senatrice di New York abbia visto questa legge in modo diverso da come la vedeva da First Lady degli Stati Uniti. Ma gli altri cosa avranno pensato, dopo aver sentito che aveva ricevuto $ 104.000 dal settore dei servizi finanziari; avranno pensato che aveva dei buoni motivi? Questo è il lato oscuro della trasparenza. Questo tipo di dati aumenta lo scetticismo riguardo al funzionamento del Parlamento. L'80% delle persone in California pensa che i soldi comprano i risultati, il livello di fiducia del congresso di Stati Uniti e al livello più basso della storia. Forse c'erano più persone che erano a favore della monarchia inglese al tempo dell’Indipendenza, di quante ce ne siano ora a favore del Congresso. Quindi se mettiamo assieme questi aspetti positivi e negativi su una stessa pagina, come una pagella, possiamo vedere come questi vari aspetti hanno portato agli estremismi. Gli estremismi di sinistra ritengono che Internet dica di rifare costantemente la società e sono a favore del fatto che gli autori siano sotto pressione a causa di Internet; c'è un movimento abolizionista che ritiene si debba eliminare del tutto il diritto d’autore, che non ci siano motivi che esso esista. Per quel che riguarda il giornalismo si dice che sono sufficienti i blog, non abbiamo più bisogno di professionisti che fanno le indagini. Ci sono estremismi anche a destra.

La battaglia per il diritto d'autore porta a suggerire cambiamenti che potrebbero uccidere Internet. Questo estremismi non vogliono riconoscere le ragioni degli altri, quindi si ritiene che oggi debba essere o l'anarchia oppure uno Stato totalitario sostenuto da coloro che si oppongono alla rete. Invece dobbiamo trovare il giusto mezzo. Trovare un modo per promuovere Internet ma anche credere al giornalismo, avere fiducia nel governo. L'importante non è quale scegliere l'uno o l'altro, la domanda invece è come riuscire ad avere entrambi, dobbiamo accettare l’esistenza di Internet e gioire perché Internet esiste e non scomparirà, ma anche pensare a come minimizzare il danno che Internet può fare e come fare questo? Ci sono risposte ovvie già di 10 anni, per esempio per il diritto d'autore bisogna esercitare un controllo su come si utilizzano i lavori e garantire un compenso giusto per il lavoro che viene usato e trovare delle forme di compensazione per i danni arrecati dalla pirateria. C'è un'idea che è alla base del partito verde in Germania, sostegno pubblico per i beni pubblici e il giornalismo investigativo lo è. Per quanto riguarda la politica bisogna rimuovere le cause che portano all'assenza di fiducia ,dobbiamo eliminare il finanziamento privato dei partiti e trasformarlo in finanziamento pubblico e quindi far sì che la gente possa credere ragionevolmente che qualsiasi decisione non sia stata presa solo per denaro. Fra gli attivisti di tutto il mondo non c'è nessuno che si faccia portavoce di queste posizioni in tutto il mondo, ci sono soltanto estremismi. Per quanto riguarda il diritto d'autore negli Stati Uniti, c’è una guerra, un mio amico la chiamava la sua guerra al terrorismo e i terroristi sono i nostri figli. Il finanziamento pubblico al giornalismo è stato eliminato negli Usa, credendo che il mercato privato potesse bastare da solo. È aumentato enormemente il costo delle campagne politiche e i congressisti spendono il 30% del loro tempo per cercare i fondi e la Corte Suprema ha eliminato quest'anno le basi costituzionali che permettevano al Congresso di limitare la spesa per sostenere un candidato. Tutto questo non fa altro che creare posizione estremiste ovunque. Dobbiamo imparare a essere un punto umili dal punto di vista della legislazione. Il ventesimo secolo è stato un secolo dove la tecnologia ha reso possibile una mentalità dittatoriale, i governi hanno usato la tecnologia per propagandare la loro azione, sono state promosse normative a volte brutali per controllare la società. La mentalità che è alla base di questo è che il governo ha il potere di controllare, di rifare o riformare la società e si crede che quando c'è un rallentamento allora bisogna aumentare la forza affinché la normativa diventi più efficace. Questo rapporto “più forza maggiore efficacia” è falso in democrazia. Una maggiore forza spesso significa una normativa meno efficace. Dare una spintarella è meglio che un pugno, dobbiamo imparare questa umiltà. Anche gli estremisti devono ricordare che ci sono dei limiti a quello che può fare il governo, ci sono dei vincoli naturali. Soprattutto se pensiamo al primo punto che ho sollevato oggi e cioè l'aspetto delle generazioni quando ci rendiamo conto che questa guerra che facciamo a Internet è la guerra che facciamo contro ai nostri figli, dobbiamo essere umili e riconoscere che npiù poniamo vincoli su come loro usano Internet e più loro si oppongono queste restrizioni e in modo sempre più distruttivo. Non possiamo impedire ai nostri ragazzi di essere creativi in un modo in cui noi non eravamo alla loro età, se facciamo ciò allora non faremo altro che renderli, spingerli a diventare pirati. Nel mio Paese i ragazzi vivono in un'era di proibizione, la loro vita la vivono sempre contro la legge e questo è corrisivo, corrode alle basi la democrazia e lò Stato di Diritto.
Internet è libertà. Ma la libertà che cosa è? La libertà può produrre sia bene che male. La risposta matura alla libertà è minimizzare il negativo e massimizzare il bene; la risposta saggia di ogni governo è quella di non imbarcarsi in una guerra senza speranza. Ciò di cui abbiamo bisogno è che nostri governi siano maturi e che siano sani di mente, e devono capire che dobbiamo imparare da quello che ci ha insegnato il secolo scorso: quindi non vogliamo governi giovani e arroganti. I governi ovunque nel mondo devono rendersi conto che non possono governare con la forza.

(Trascrizione a cura di Federico Guerrini)

lunedì 15 febbraio 2010

Come è difficile il "suicidio virtuale"

S’è parlato molto negli scorsi giorni del caso di Elisabetta Tulliani. L'attuale compagna di Gianfranco Fini ha chiesto al Garante della Privacy un provvedimento per eliminare da Internet le foto che la ritraevano con il suo ex-compagno: Luciano Gaucci, già presidente del Perugia Calcio fuggito all'estero fino a quando ha patteggiato una pena di tre anni per bancarotta fraudolenta e reati fiscali. La Tulliani, è un personaggio pubblico, quindi per le foto che la riguardano vale il diritto di cronaca (il garante ha fatto una scelta salomonica: vanno rimosse dall'indice dei motori di ricerca).

Eppure, se per le persone in vista è giusto che la stampa e il web informino a 360 gradi, anche per le persone comuni la memoria perenne del web rimane sempre accesa ed accessibile a occhi indiscreti e no. È nata così l'esigenza, di compiere un vero e proprio "suicidio virtuale": ovvero la possibilità di cancellare dai social network tutto ciò che ci riguarda: foto, frasi, account.

È un'operazione lunga e, se non si hanno approfondite competenze informatiche, non alla portata di tutti. Sono nati così dei servizi appositi che aiutano a compiere la dolce morte sul web. Nel Giappone antico Seppuku era il rito con il quale i samurai si toglievano la vita perchè responsabili di qualche colpa o per darsi una morte onorevole. E Seppuku è ora il servizio che permette di compiere il suicidio virtuale su Facebook.

"Come i Samurai si riprendevano il loro onore di guerrieri – è scritto sul sito – così puoi liberarti del corpo digitale e riscoprire l'importante di essere ciascuno, invece di qualcuno". Il servizio è gratuito, e facile da utilizzare: si può anche lasciare un Memorial Page. Nel dicembre scorso Facebook ha deciso di bloccare il sito minacciando azioni legali. Ma Seppuku è riuscito ad aggirare il blocco ed è di nuovo operativo.

Stessa sorte è toccata a un’altra applicazione Facebook: Suicide Machine, la macchina dei suicidi, che consentiva di cancellare la propria esistenza virtuale, oltre che su Facebook, anche su altri social network: Twitter, Linkedin e MySpace. Anche qui Facebook si è subito attivato, bloccando l'applicazione. I gestori hanno promesso che riusciranno ad aggirare il blocco e torneranno presto.

Oltre ai social network, però, sono frequenti le occasioni nei quali può rimanere qualche informazione personale online che si vuole rendere non più raggiungibile. Il caso più semplice può essere quello di un annuncio di lavoro, nei quali vengono lasciati numero di telefono, età, indirizzo e che rimane on-line anche dopoché l'annuncio non è più valido. Problemi seri potrebbero porsi per tutti coloro, giovani o no, che pubblicano on-line video dei quali in futuro potrebbero pentirsi.

Per questi dati sensibili, non c'è ancora una soluzione vera. In Francia un dibattito è nato dopo il caso di una donna che si era rivolta al giudice per eliminare messaggi su un forum che contenevano dettagli sul suo stato di salute. Il sottosegretario all'economia telematica Nathalie Kousciusko-Morizet ha cominciato a lavorare a una legge per l'oblio telematico, ma la strada è stretta, come il crinale che divide la tutela della privacy dalla censura di informazioni di interesse pubblico.

Anche l'Unione europea è al lavoro. Il commissario europeo all'informazione Viviane Redint ha aperto una trattativa con Google per capire quanto tempo devono rimanere sul motore di ricerca le informazioni. Dal motore hanno proposto 18 mesi, specificando che Google si limita a indicizzare quello che trova on-line. Unica soluzione, perciò, rimane quella di rivolgersi al web-master del sito che ha pubblicato l'informazione che vogliamo cancellare. In Italia, la giurisprudenza sancisce un diritto all'oblio, ma non risulta di semplice applicazione. Eppure il problema è sempre più presente.

È recente il caso di una ragazza di Feltre, in provincia di Belluno, che si è fatta filmare dal ragazzo durante alcune performance sessuali. Il video è poi finito su Internet con nome e cognome, per bloccare tutto lei ha dovuto denunciare l'episodio in questura. Insomma, la questione della cancellazione dei propri dati su Internet rimane pressante.

Anche in Italia stanno nascendo della aziende che fanno questo servizio a pagamento, sulla scia di quanto già successo negli Usa. Per ora il problema rimane. E si aspettano delle procedure e delle norme che sappiano coniugare il diritto alla privacy, con il diritto della stampa e dei cittadini di essere informati.

Da il Fatto Quotidiano del 14 febbraio

lunedì 25 gennaio 2010

Perché il potere ha paura del web

Il nostro obiettivo è cambiare il mondo", è uno slogan di Eric Schmid, il chief executive di Google. Lo stesso Schmid che quattro anni fa, all'inaugurazione del motore di ricerca in mandarino, con l'indirizzo locale segnato dal suffisso ". cn", dichiarò: "Siamo qui in Cina per rimanerci sempre". Ora quelle due affermazioni - cambiare il mondo, rimanere in Cina - sono diventate tra loro inconciliabili. Se Google non accetta le regole di Pechino, e la censura delle autorità locali, la sua avventura cinese dovrà chiudersi. Lo scontro epico che si è aperto fra la più grande potenza di Internet e la più grande nazione del pianeta, è destinato a ridefinire nei prossimi anni l'architettura globale del web, i limiti geopolitici della libertà d'informazione, e il nuovo concetto di sovranità nello spazio online.

Il precipitare degli eventi ha colto tutti di sorpresa, almeno in Occidente. Questo copione non è stato scritto né a Mountain View, il quartier generale di Google nella Silicon Valley californiana, né tanto meno a Washington nelle sedi del potere politico. Negli scenari più pessimisti elaborati dal Pentagono, quando due anni fa l'Esercito Popolare di Liberazione centrò in pieno un proprio satellite in un test di guerre stellari, fu detto che la conquista dello spazio sarebbe stata la prossima sfida tra l'America e la Cina. Nessuno aveva messo in conto quello che sta accadendo da due settimane: l'improvviso gelo tra i soci del G2 per il controllo del cyber-spazio.

Eppure quando Google lanciò la sua versione in mandarino nel 2006, la censura di Stato esisteva già. Come Microsoft, come Yahoo, come Rupert Murdoch, anche il colosso di Mountain View accettò il patto con il diavolo: collaborare con il regime facendo propri i suoi tabù, interiorizzarne i limiti alla libertà di espressione, autocensurarsi con dei filtri di software automatici approvati dalle autorità locali. Sembrava logico. Google si comportava come tante altre multinazionali "normali", separava le regole universali del business capitalistico dal contesto politico locale. Come un qualsiasi fabbricante di auto o di jeans, Schmid pensò di poter chiudere gli occhi sugli abusi contro i diritti umani, e partire alla conquista del più vasto mercato mondiale. Anzi, nel 2006 la questione di coscienza per gli americani sembrava risolta una volta per tutti dalle parole ottimiste di Bill Gates: "Per quanti limiti possano mettere all'attività di Microsoft, l'avvento di Internet introduce nella società cinese un volume d'informazioni senza precedenti. La Cina sarà comunque migliore di prima, grazie a noi". Ai vertici di Google, a onor del vero, non tutti la pensavano così. Sulle condizioni dello sbarco in Cina aveva dei forti dubbi uno dei due co-fondatori dell'azienda, Sergey Brin. Per la sua biografia personale - nato nell'Unione sovietica, emigrò in America da bambino con i genitori - aveva intuito un'incompatibilità insolubile, tra la "natura" profonda del business di Google e quella della Repubblica Popolare.

La casistica dei conflitti tra i regimi autoritari e la libertà online è ricca di precedenti, dall'Iran alla Birmania. Ma la questione cambia completamente quando la posta in gioco è un mercato di 330 milioni di utenti, ormai il più popoloso del pianeta. Il comunicato del governo cinese che stigmatizza Google e ribatte alle critiche di Hillary Clinton, fa esplicito riferimento alle "regole della rete cinese". Nessuno immagina che possa esistere un "Internet iraniano". Ci sono solo le barriere che Teheran frappone per l'accesso locale alla rete: che resta una, indivisa e globale. Ma l'idea che la Cina possa organizzarsi come un cyber-universo autonomo da noi, è altrettanto impensabile?
In Occidente diamo ormai per scontato da anni che la superficie terrestre sia scandagliata minuziosamente da GoogleMap. Ricordo il divertimento con cui mi accorsi, quando abitavo a San Francisco, che dalle foto satellitari si poteva vedere non solo casa mia ma anche la targa della mia auto. Non appena mi trasferii a Pechino nel 2004 scoprii che intere zone della capitale cinese invece erano oscurate, a cominciare dal quartiere di Zhongnanhai dove risiede la nomenklatura comunista. Ciò che a noi appare naturale, o inevitabile, cioè che la mappatura terrestre sia fatta da un'impresa privata americana, non è accettabile a Pechino. E' un'intrusione virtuale nella sovranità: un valore per il quale gli Stati scendono in guerra da secoli. E visto da Pechino il confine che separa un colosso privato come Google dal governo di Washington, è labile.

Ken Auletta, autore del saggio "Googled" (il passivo del verbo "googlare"), osserva che "poche altre tecnologie - la stampa di Gutenberg, il telefono - hanno avuto effetti sociali rivoluzionari come questo motore di ricerca, che ha sconvolto il nostro modo di produrre informazione, selezionarla, consumarla". Ma Internet essendo nato in America, tutta l'organizzazione del world wide web ha un'impronta made in Usa. Porta i segni inconfondibili di un "sistema": regole e valori nati negli Stati Uniti, per estensione occidentali, non necessariamente percepiti come universali a Pechino. Dove noi parliamo di "architettura aperta", altri capiscono "egemonia americana".

La Grande Muraglia di Fuoco, è il nome che i dissidenti hanno affibbiato alla censura online della Repubblica Popolare. E' il più moderno e sofisticato apparato di controllo dell'informazione, con almeno 15.000 tecnici informatici in servizio permanente. Eppure il governo di Pechino ha avuto bisogno fino a ieri di appoggiarsi sul "collaborazionismo" di Google, Yahoo, Microsoft. I dissidenti, o anche i giovani cinesi più curiosi e dotati per l'informatica, hanno appreso ad aggirare la Grande Muraglia. Usano metodi simili a quelli degli hacker: ad esempio per dissimularsi attraverso domicili online all'estero. Sono esattamente i metodi mutuati dai cyber-pirati al servizio del governo, nelle incursioni denunciate da Google il 12 gennaio. Hanno violato la privacy della posta elettronica Gmail di numerosi militanti dei diritti umani; nonché di un grande studio legale di Los Angeles impegnato in un processo contro aziende di Stato cinesi per violazioni di copyright. E hanno profanato le email di 34 aziende hi-tech nella Silicon Valley, un grave episodio di spionaggio industriale che getta un'ombra sulla sicurezza di tutto l'impero Google.

L'esperto d'informatica Holman Jenkins evoca per questa offensiva un precedente poco noto. "All'inizio degli anni Novanta ci fu un'escalation di episodi di pirateria navale nel Mare della Cina meridionale. Hong Kong, che era ancora una colonia inglese, raccolse le prove che i pirati erano in realtà al servizio delle forze armate cinesi. Era un modo per rivendicare la sovranità di Pechino su rotte di comunicazione strategiche". I cyber-pirati che la Cina ha scatenato contro Google, innescando un conflitto che ha portato fino all'intervento dell'Amministrazione Obama, starebbero facendo un gioco simile. Come il corsaro Francis Drake al servizio di sua maestà Elisabetta I contro l'impero spagnolo. In palio stavolta c'è uno spazio virtuale, perfino più strategico delle rotte marittime. La Cina punta molto in alto, se ha sentito il bisogno di intimidire Google fino a mettere in discussione la privacy dei suoi clienti industriali: tutti ormai potenzialmente spiati. I dirigenti della Repubblica Popolare possono immaginare un Trattato di Yalta del terzo millennio, con cui l'America prenda atto della loro sovranità su una parte di Internet. Se passa il loro piano, il discorso visionario di Hillary Clinton che ha esaltato Internet come "il grande egualizzatore", si applicherebbe solo al di qua della Grande Muraglia.

Federico Rampini
www.repubblica.it

giovedì 14 gennaio 2010

Peer to peer, nuova offensiva nel mirino Telecom e utenti

GLI UTENTI e i siti peer to peer italiani sono al centro di una contesa giudiziaria che segna una svolta nella guerra alla pirateria online. La Fapav (Federazione anti pirateria audio visiva) ha chiesto al Tribunale civile di Roma di imporre a Telecom Italia alcune misure straordinarie: primo, obbligare la compagnia telefonica a denunciare alle autorità giudiziarie chi nella propria rete si macchia di pirateria; secondo, impedire l'accesso ad alcuni notissimi siti collegati, anche indirettamente, al peer to peer; terzo, battersi, d'ora in avanti, in prima linea contro il fenomeno.

Se dovesser accettare le richieste di Fapav, quindi, Telecom dovrebbe scoprire quali utenti scambiano file pirata e fare pressioni perché smettano. Nel ricorso d'urgenza presentato da Fapav si legge anche un'accusa alla compagnia: non aver fatto abbastanza finora per dissuadere i propri utenti peer to peer, perché a Fapav risultano "centinaia di migliaia di utenti Telecom" che hanno scaricato film recenti. La Federazione ha addirittura fatto una classifica dei film più scaricati illegalmente: in testa Baaria (600 mila file scambiati), seguito da Il Grande Sogno (300mila), Amore 14 (200mila), Bruno (180mila), Basta che funzioni (178 mila), La Doppia ora (100 mila) e Viola di Mare (60mila).

Fatto sta che Telecom si sta opponendo alle richieste. Non solo: nella propria difesa presentata al Tribunale, accusa a sua volta Fapav di aver monitorato le connessioni degli utenti Telecom, violandone la privacy. Soltanto con questi mezza la Federazione avrebbe potuto ottenere i dati sui film più scaricati. Secondo l'operatore, è una vicenda simile a quella di
Peppermint (azienda discografica tedesca che aveva fatto incetta di dati degli utenti peer to peer italiani). Un caso che si era concluso nel 2007 con la condanna dei discografici, al Tribunale di Roma e da parte del Garante della Privacy. Non si sa in che modo Fapav abbia monitorato il traffico peer to peer, ma forse si è servita di un software ad hoc (Peppermint utilizzava quello di Logistep).

La data dell'udienza non è stata ancora fissata (a differenza di quanto riportato da altri organi di informazione), perché all'ultimo momento è stato cambiato il giudice (adesso è Antonella Izzo). Poiché si tratta un procedimento d'urgenza, però, dovrebbe essere questione solo di pochi giorni.

Un'eventuale condanna cambierebbe di molto le abitudini di navigazione degli italiani. Primo, perché sono milioni gli utenti peer to peer nostrani (8 milioni solo quelli di eMule, secondo Nielsen). Secondo, perché i siti che Fapav vuole oscurare solo molto popolari: c'è The Pirate Bay e poi un gran numero di indirizzi italiani: Italianshare, ItalianSubs, Vedogratis, Youandus, Italianstreaming, 1337x, Dduniverse, Angelmule, Italiafilm, Ilcorsaronero. Alcuni di questi permettono di vedere direttamente film pirata, altri solo di trovarli (a mo' di motore di ricerca). Ma c'è anche il caso di ItalianSubs, che si limita a fornire sottotitoli in italiano a film inglesi che l'utente si deve procurare altrove. Se scaricare e condividere un file pirata è illegale, non è così scontato che lo siano anche tutti quei siti. Solo The Pirate Bay è stato condannato per aver favorito la pirateria: da un tribunale svedese e poi di recente anche dalla Cassazione italiana, secondo la quale è corretto impedire l'accesso a siti che facilitano il download di file pirata. La sentenza della Cassazione forse aprirà la strada a una campagna di denunce, contro siti collegati al peer to peer. Questa della Fapav potrebbe essere solo la prima di una lunga serie.

Alessandra Longo
www.repubblica.it

mercoledì 13 gennaio 2010

Facebook trascina in tribunale chi spinge ai "suicidi" virtuali

ALCUNI preferiscono darci un taglio netto. Altri la fanno finita, ma poi ci ripensano. Altri ancora lasciano che sia un software a effettuare per loro l'ultimo click. È il variegato mondo dei suicidi, o aspiranti tali, virtuali.

Per gioco o perché la dipendenza dai social network è troppo forte, perché si è sfufi del proprio data-body ed è meglio rifarsene uno nuovo, o semplicemente perché è più bello passare il tempo con persone in carne e ossa, sono sempre di più gli utenti che cancellano profili, avatars, feeds, e tracce personali nella fitta rete di relazioni del Web 2.0.

Che il fenomeno abbia raggiunto livelli di guardia è evidente dal fatto che alla defezione personale si stia affiancando un esodo sempre più organizzato, premeditato, collettivo. Due servizi Seppukoo e Web 2.0 Suicide Machine permettono infatti agli utenti di staccare la spina da social network come Facebook, Myspace, LinkedIn e Twitter attraverso una procedura automatizzata.

Lanciati entrambi nel mese di dicembre, i due software sono finiti da qualche giorno sotto il fuoco del team legale di Facebook, che contesta loro la violazione della Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità degli utenti Facebook. Non solo, mentre gli avvocati delle parti interessate sono impegnate nelle schermaglie preliminari di quella che potrebbe essere una lunga battaglia legale, Facebook ha bloccato l'accesso al proprio network dai due siti, rendendoli così inefficaci.

Creato da Les Liens Invisibles (Le Connessioni Invisibili), gruppo di net artisti italiani formato da Clemente Pestelli e Gionatan Quintini, Seppukoo permette agli utenti di cancellare il proprio profilo seguendo una procedura "ritualizzata" (il seppuku è il suicidio rituale dei samurai giapponesi). Per effettuarlo l'utente Facebook inserisce il proprio nome utente e password su Seppukoo.com, compone una pagina Web con cui essere ricordato/a, e scrive un biglietto d'addio. Il servizio disattiva l'account, spedisce le sue ultime parole al suo intero network di amici, e gli attribuisce un punteggio. Quanti più amici dell'utente suicidato decidono di imitare il suo gesto, tanto più l'utente ottiene un punteggio alto su Seppukoo.com - un meccanismo volto a incentivare il carattere virale dell'azione. Nel giro di poche settimane infatti, e prima dello stop di Facebook, Seppukoo avrebbe disconnesso circa ventimila utenti. Effettuata la rimozione, il servizio consentiva comunque agli utenti di riattivare il proprio profilo.


Più radicale l'approccio della Suicide Machine, una piattaforma lanciata da poche settimane da Moddr Lab, laboratorio multimediale di stanza a Rotterdam, coordinato dall'artista austriaco di origini bosniache Goran Savicic. In questo caso, una volta lanciata la Suicide Machine, gli utenti non possono più tornare indietro. Il programma inizia cambiando la password utente (il che significa che diventa impossibile riattivare il proprio account Facebook) e la foto del profilo utente. Poi procede alla rimozione di tutti i suoi amici, dei gruppi cui è iscritto e di tutti i suoi post. Infine, crea una pagina di commemorazione con una foto e poche parole d'addio e, per chi loro richiede, un video-ricordo del processo di cancellazione. Inoltre la Suicide Machine permette agli utenti di disconnettersi anche da Myspace, LinkedIn e Twitter. Ma a differenza di Seppukoo, e probabilmente per il carattere irreversibile dell'azione, la Suicide Machine avrebbe disconnesso finora "solo" 900 utenti, un numero che dopo lo stop di Facebook, arrivato nei primi giorni del 2010, non sembra destinato a salire di molto.

Difficile prevedere quale sarà l'esito della battaglia legale in corso. La principale contestazione che i legali di Facebook muovono ai due servizi è di fare phishing, cioé di utilizzare i dati personali dei suoi utenti e di farlo senza il loro consenso. I gestori dei siti rivendicano invece il diritto degli utenti di disporre come meglio credono dei propri dati personali.

Come dichiara a Repubblica.it Guy McMusker, art director e portavoce immaginario di Les Liens Invisibles, le richieste di Facebook "sono ingiustificate e nascondono la volontà di mantenere una posizione di monopolio nel sistema dei network e, soprattuto, nella conservazione e gestione dei dati dati personali che l'uso di questo sistema consente di ottenere a chi lo gestisce. In realtà - prosegue McMusker - le informazioni che risiedono sul sito seppukoo.com ci sono state comunicate volontariamente e coscientemente dagli iscritti a Facebook che ne sono gli unici titolari e che devono poter disporre di queste come vogliono; devono dunque avere la facoltà di poterle condividere con chiunque, anche esterno a Facebook e senza le imposizioni di Facebook."

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Google sotto attacco in Cina basta censura, ma rischia stop

Google minaccia di abbandonare la Cina. L'annuncio clamoroso è arrivato ieri dal quartier generale di Mountain View, nella Silicon Valley californiana, al termine di una escalation di tensione fra il colosso di Internet e il regime di Pechino. I vertici di Google hanno rivelato che il loro motore di ricerca - nella versione in mandarino - è stato fatto oggetto di attacchi sempre più frequenti da parte di hacker cinesi, che si sospetta siano al servizio della censura di Stato.

Gli attacchi più gravi, che hanno portato all'annuncio di ieri, hanno violato le e-mail di alcuni attivisti per i diritti umani, oltre che di grandi imprese occidentali. In un blog del gruppo, i dirigenti di Google ieri sera hanno rivelato di avere "scoperto un attacco mirato ed altamente sofisticato contro la nostra infrastruttura, originato dalla Cina". Ulteriori indagini interne hanno confermato che il bersaglio principale sono stati "gli account G-mail di diversi militanti per i diritti civili".

Google non ha esplicitamente accusato il governo cinese di essere il regista di questa violazione. Tuttavia la reazione del gruppo californiano non lascia dubbi. Infatti come risposta a questa offensiva senza precedenti, Google ha deciso che non filtrerà più le informazioni sul suo sito cinese. Interromperà cioè quella politica di cooperazione con le autorità della Repubblica Popolare che in passato era stata oggetto di polemiche negli Stati Uniti: secondo le ong che difendono i diritti umani infatti Google avrebbe praticato un "collaborazionismo" con la censura di regime, pur di avere accesso al mercato online più grande del mondo (così come Yahoo che arrivò a macchiarsi di delazione consegnando alla polizia cinese le email personali di un dissidente).


L'inizio della collusione con il governo cinese risale al 2006: è in quell'anno che Google inaugurò la versione mandarina del suo motore di ricerca, e quindi un sito che finisce col suffisso ". cn". Ma ora quel patto col regime è in crisi. Se Google cessa di filtrare il suo motore di ricerca in mandarino, con ogni probabilità il governo cinese ne bloccherà l'accesso e potrebbe oscurarlo definitivamente. In passato Pechino non ha esitato a cancellare la visibilità di Google, o di siti come Wikipedia, se non accettavano di "purgarsi" spontaneamente. Tra le richieste del ministero dell'Informazione cinese, per esempio, c'è la cancellazione dei siti che difendono i diritti del Tibet e dello Xinjiang. Per essere autorizzato a operare sul mercato cinese, Google ha quindi installato dei software che automaticamente evitano l'accesso a siti o a termini che sono tabù per la propaganda di regime. Un prezzo pesante da pagare, in cambio della possibilità di contatto con 300 milioni di utenti Internet: il pubblico online cinese ha ormai superato quello degli Stati Uniti.

Di fronte all'ultima provocazione, Google sembra avere valutato che il prezzo d'immagine da pagare verso l'opinione pubblica americana rischia di essere troppo elevato. Il motto dei fondatori dell'azienda di Mountain Valley, dopotutto, è "don't be evil", non essere malvagi.

Federico Rampini
www.repubblica.it