Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


domenica 27 aprile 2008

La rete fra democrazia e populismo

Posto questo articolo che tocca uno dei temi centrali del mio corso.

La libertà è partecipazione, è il ritornello di una vecchia canzone di Giorgio Gaber. In quest’era digitale, ci si casca volentieri nella retorica tecno-entusiastica di Beppe Grillo sulla grande libertà di informazione e possibilità di partecipazione democratica resa possibile da Internet. O meglio dal «Web 2.0», termine di moda per definire quella rete sociale globale che celebra il trionfo dei «dilettanti» e dà l’illusione ai singoli cittadini di contare allo stesso livello dei governi e delle multinazionali, almeno online. Ma attenzione, avvertono gli studiosi del fenomeno, a non confondere le straordinarie potenzialità del mezzo con una conquista di e-democrazia, tutt’altro che raggiunta. Anzi: sempre più un miraggio.«Il fenomeno Grillo in Italia» è una forma di «cyberpopulismo», democrazia plebiscitaria elettronica che trova in Internet uno strumento non meno adeguato della vecchia tivù, sostiene Carlo Formenti, autore di Cybersoviet (sottotitolo «Utopie postdemocratiche e nuovi media»). Secondo Formenti la retorica del Web 2.0 sta alimentando illusioni sulle prospettive della democrazia digitale. Grillo attribuisce ai nuovi media elettronici un ruolo rivoluzionario puntando sulla «postdemocrazia come utopia»: dove le decisioni non vengono prese a colpi di maggioranze o minoranze, ma all’unanimità, attraverso il convincimento reciproco e l’attribuzione di leadership nei confronti di chi si conquista la fiducia del gruppo. Ma attenzione: da una parte i blogger in vetrina riducono la sfera pubblica a sommatoria di conversazioni private e indeboliscono la capacità di influire sul sistema politico e mediatico. Dall’altra non ci sono garanzie di trasparenza, che deve essere «asimmetrica»: controllo dei governi che devono operare in una «casa di vetro», ma tutela per il diritto alla privacy dei cittadini. I cybersoviet sono le comunità virtuali create dal popolo della rete. E di conseguenza la democratizzazione del Web 2.0 non prelude a una presa del potere dai parte dei produttori/consumatori, bensì «all'espropriazione capitalistica dell'intelligenza collettiva generata dalla cooperazione spontanea e gratuita di milioni di donne e uomini».La tecnologia «dà l'illusione di aprire le porte alla libertà, ma poi spesso ci si ritrova in stanze vuote chiuse a chiave» avverte Stefano Rodotà, ex Garante per la privacy. Un esempio? The Economist cita la falsa e-democrazia di un indirizzo Internet diponibile per comunicare con un premier, che in realtà collega i cittadini solo a un computer: in cambio di questa promessa di accesso, subiamo la volontà di controllo di governi e aziende. «Il potere politico ed economico sa oggi infinitamente più cose sui cittadini di quante essi non ne sappiano sui potenti».Dal Web 2.0 emergono nuove disuguaglianze, smentendo il mito di una nuova «giustizia distributiva»: il cosiddetto «digital divide» non si riferisce solo a chi ha e chi non ha accesso a Internet, ma alla stratificazione sociale che si crea fra differenti categorie di utenza: l’élite rispetto alla massa. «E’ ora di decostruire l’inganno del Web 2.0», sintetizza il teorico dei media australiano-olandese Geert Lovink, nella raccolta di interventi dal titolo «Web 2.0: Internet è cambiato. E voi?») di Vito di Bari. «Invece di celebrare i “dilettanti”, dobbiamo sviluppare una cultura di Internet che aiuti i “dilettanti” (in maggioranza giovani) a diventare “professionisti”». Perché Beppe Grillo riempie le piazze, ma sono sempre troppo poche le voci che chiedono ai governi di adottare e applicare regole chiare e condivise per l’e-democrazia.

www.lastampa.it/masera

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