Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


mercoledì 1 ottobre 2008

Pirati, leggi, discografici, tribunali e governi

No, non preoccupatevi, non vi intratterrò molto a lungo sull’argomento. Però mi piace sottolineare due notizie, arrivate alla fine della scorsa settimana, che la dicono lunga su come non ci sia ancora una strategia chiara da parte della discografia (e dei governi che cercano di appoggiarla) sulla “pirateria” via Internet. La prima notizia è che i legislatori europei hanno bocciato una proposta anti pirateria che includeva la possibilità che gli Isp potessero disconnettere gli utenti che praticano il peer to peer con file protettida copyright dopo tre avvertimenti. “La decisione è importante perchè viene chiarito che non si possono costringere gli Internet Provider a staccare il collegamento senza un regolare processo”, ha detto Christofer Fjellner, deputato centrista al parlamento europeo. In Francia, come sapete, la regola è in vigore, frutto di un accordo tra il governo, le major discografiche e cinematografiche e gli Isp. In Inghilterra, al contrario, gli Internet Provider si sono fieramente opposti, “perchè fino ad oggi non c’è regolamento o legger che consenta a noi di disconnettere gli abbonati per “copyright infringment”", ha detto Neil Berkett di Virgin Media. La scelta del parlamento europeo è importante, perchè si muove, per l’ennesima volta, cercando di non stravolgere le regole per accontentare gli “aventi diritto”. Del resto gli “aventi diritto”, cioè le major disco-cinematografiche, non ne fanno mai una dritta. Lo scorso anno la Recording Industry Association of America mise a segno la sua prima vittoria in tribunale per “copyright infringment”, costringengo Jammie Thomas a pagare 220.000 dollari di danni per aver scaricato “illegalmente” 24 canzoni. Jammie Thomas aveva reso disponibili le canzoni sul network p2p di Kazaa.Giovedì scorso il giudice Michael Davis ha ribaltato il verdetto affermando che le parti hanno commesso un “manifesto errore legale” durante il processo. Davis ha detto che ha sbagliato nel dire alla giuria che avrebbe potuto trovare colpevole Thomas, perchè, contrariamente a quanto aveva affermato l’industria discografica, non c’era nessuna prova che ci fosse stata una “distribuzione” sul network del materiale protetto da copyright. Thomas merita quindi un nuovo processo. La Riaa deve decidere, quindi, se affrontare nuovamente il processo o chiudere un accordo extragiudiziale, come ha già fatto in centinaia di altri casi. per ora il caso Thomas era l’unico arrivato al dibattimento in tribunale. La domanda è “era sufficiente per la Riaa dimostrare che Thomas aveva reso disponibile il materiale sul network di Kazaa o la Riaa doveva anche dimostrare che qualcuno aveva davvero scaricato quei brani da quel computer?. Il giudice oggi dice che c’è bisogno di questa prova e che quella fornita dalla Riaa, che si era collegata al computer di Thomas e aveva scaricato le canzoni, non è una prova accettabile, “perchè chi detiene i diritti non infrange la legge del copyright scaricando le proprie canzoni”. Ovviamente non c’è alcuna possibilità di portare una simile prova in tribunale, perchè Kazaa come tutti gli altri attuali networlk p2p non hanno una direcotry centrale dei file condivisi.
Il giudice, oltretutto, pur non perdonando la Thomas, ha detto che non c’era nessuna prova che ci fosse scopo di lucro e che la signora Thomas è una singola madre, non una “multimedia corporation”.

Insomma: è piuttosto difficile che tutta questa materia si risolva nel modo in cui vogliono l’industria discografica (che ha già inanellato una dozzina di anni di errori arrivando spesso a fare oggi in prima persona quello che considerava illegale se fatto dai consumatori una decina di anni fa) e l’industria cinematografica (che avrebbe dovuto imparare dagli errori dei discografici, non commettendoli nuovamente). Mentre è quasi certo che, non sappiamo tra quanto tempo, arriveremo alle sole soluzioni possibili: rendere legale il file sharing, mettendo una “tassa” compensativa per le aziende e i copyright owners pagabile quando si stipula un contratto con un Internet Provider, o dividere i proventi della pubblicità tra Isp e “content owners”.

Il file sharing “per se” non è un reato. Avere dei file sul proprio computer e collegare il proprio computer ad un network p2p non è un reato. Quindi entrambe le cose non possono essere vietate. Come fare dunque a mandare in prigione, o far pagare salatissime multe, agli “illegal downloaders”. Forse invece di continuare ad opporsi a un sistema che i consumatori sembrano gradire assai, sarebbe bene provare a trovare un sistema per cui tutti siano contenti e felici, gli “aventi diritto” e gli scaricatori. Un mondo ideale.

Ernesto Assante
www.repubblica.it

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