Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


martedì 30 settembre 2008

Ancora sulla privacy: il medico voyeur

Lo chiamano vuoto legislativo. In questa Italia dove c'è una legge per tutto, si scopre ora che invece nessuno si è preso la briga di punire chi riprende di nascosto i glutei di una donna. Fino a che qualcuno interverrà con norme specifiche (e chissa mai quando qualcuno interverrà) i medici guardoni potranno filmare quello che vogliono, basta che non lo facciano a casa della donna perché nel codice esiste il reato di violazione di domicilio, non quello dell'intimità di una persona. In Italia è più protetta una casa che un corpo nudo.

Lo si è capito tre giorni fa quando la Corte di Cassazione ha assolto un medico di Firenze che aveva videoripreso di nascosto i glutei di una paziente nel suo studio durante una visita. Il professionista era stato condannato dalla Corte d’appello per il reato di «interferenze illecite nella vita privata mediante uso di riprese visive» in base all’articolo 615 bis del codice penale ma la quinta sezione penale ha annullato la sentenza senza rinvio perchè il medico non era condannabile in base al reato contestato.

Secondo la Corte, infatti, il 615 bis fa riferimento all’ articolo 614 sulla violazione di domicilio. In questo caso, però, non c’era stata violazione di domicilio e della sfera privata: la donna non era a casa sua ma nello studio del medico e quindi il motivo poteva fare più o meno quel che voleva. Si tratta di una «indubbia grave lacuna legislativa che sarebbe auspicabile fosse colmata», scrivono i supremi giudici.

Nella sentenza 36884, si spiega che «la signora, vittima della biasimevole condotta del professionista, ha certamente motivo di dolersi della violazione della propria privacy e della violazione del diritto alla propria immagine ma lo stato attuale della legislazione non consente nel caso di specie l’accesso alla tutela in sede penale ai sensi dell’articolo 615 bis cp».

Alla vittima ora non resta altro che far ricorso in sede civile per lesione della dignità e della riservatezza.

di Flavia Amabile
www.lastampa.it

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