Questo blog vuole offrire uno spazio di approfondimento, discussione, riflessione, su molte delle problematiche affrontate durante il corso e per introdurne delle altre. Uno spazio didattico quindi ma non solo. Il titolo del blog richiama la necessità che internet sia un luogo-non luogo destinato a tutti, che tutti possano accedere alle rete, che tutti abbiano il diritto alla conoscenza e al sapere e a partecipare all'intelligenza collettiva che internet realizza. L'intervento giuridico deve essere ridotto al minino, la legge statale deve intervenire solo per prevenire e punire la commissione di reati. La vera regola che vige sulla rete è la capacità di autonomia, il senso di responsabilità, di educazione e di rispetto delle regole di netiquette.


domenica 29 marzo 2009

Lawrence Lessig: "Internet libera per salvare la democrazia dalla corruzione"

Internet si sta dimostrando uno strumento di riforma della politica e della democrazia straordinario. Parola di LAWRENCE LESSIG - il più grande esperto mondiale di diritto di rete, professore di legge ad Harvard e Stanford, scrittore, fondatore del nuovo sistema di copyright Creative Commons e collaboratore di Obama (suo ex compagno universitario e suo consigliere nella corsa alla presidenza Usa), lanciato in una campagna in favore di una politica partecipata e trasparente, per non soffocare la creatività ma favorire la democrazia e il progresso del mondo -, ieri sera ospite eccezionale a «Meet the Media Guru», l’appuntamento di Milano organizzato da Maria Grazia Mattei in collaborazione con Provincia e Camera di Commercio di Milano.

La riflessione di Lessig (nella foto in un momento di relax a cena ieri sera dopo l'incontro pubblico) è di particolare attualità per l'Italia, dove il mondo della politica ha in cantiere una serie di provvedimenti che minacciano di imbrigliare la libertà della Rete (a partire dall’emendamento al pacchetto sicurezza di Giampiero D'Alia che prevede l'oscuramento completo di tutti i siti in cui ci sono "apologie di reato o istigazioni a delinquere").

Catapultato ieri in Italia dagli Usa e rientrato oltreoceano già all’alba di oggi, è stato accolto come una rock star da un pubblico informato e altamente internettiano, che evidentemente lo conosce già da tempo e lo frequenta online su Facebook e altri social networks, o direttamente sul suo blog (www.lessig.org/blog): la sala nella bella Mediateca Santa Teresa era stracolma, tanto che c’era molta gente fuori a seguire l’evento - in inglese, con traduzione simultanea in cuffia, ma ne hanno fatto uso davvero in pochi - su megaschermi. Alla fine della «lectio magistralis», un question-time fitto con tantissime domande dal pubblico in platea. Lo abbiamo intervistato.

Prof. Lessig, com'è dimagrito...
«Quando ho capito che con tutti quei chili accumulati per lo stress da lavoro associato al fast food non sarei vissuto abbastanza a lungo da vedere i miei figli all’università, ho deciso da un giorno all’altro di intraprendere una rigorosa dieta vegetariana, anzi, vegana: niente più carne, pesce, uova, latticini di alcun genere, ma nemmeno condimenti, nè pasta, riso o altri cereali raffinati. Mi nutro con ogni tipo di verdure, legumi, insalate, noci, frutta. E basta. Mi sento benissimo. E' stato Shawn Fanning, il fondatore di Napster, a consigliarmi questa dieta. Sta diventando una moda, nel mondo dei "computerari" rovinati da una vita sregolata...».

Perchè dopo 15 anni a studiare i diritti in Rete e le potenzialità del Web aperto e indipendente, ha scelto di focalizzarsi sulla proposta di una riforma della politica? Per salvare la democrazia negli Usa dalla corruzione dilagante, ok: ma qual è il nesso?

«La Rete offre potenzialità di interazione straordinarie per ripristinare una partecipazione attiva e la credibilità di istituzioni screditate dal lungo rapporto privilegiato con i potentati economici, vanno colte dai cittadini, ma soprattutto dal mondo politico che determina le regole della nostra società, cioè il Congresso a Washington D.C. La libertà da limiti e la capacità di attivare l'indipendenza sono costate a Internet una lunga esclusione, ma sono la libertà e l'indipendenza dirompenti di cui c'è bisogno ovunque, sicuramente nel governo Usa».

Ma che legame c’è tra Internet e politica?
«Beh, da quando c’è Barack Obama è tramontata l'idea che il governo sia un'entità che deve tenersi alla larga dalle vicende dei cittadini, la campagna elettorale di Obama si è trasformata in uno sforzo collettivo gigantesco di migliaia di militanti che ha fatto della Rete uno strumento di partecipazione e raccolta di fondi che ha mutato il rapporto fra cittadini e istituzioni».

Adesso che Obama è alla Casa Bianca, proseguirà questo rapporto diretto con i suoi elettori?
«Mi sembra proprio di sì, lo dimostra per esempio il fatto che il presidente continua a tenere un dialogo online, non più tardi dell'altro ieri ha incontrato virtualmente 90 mila americani sul sito della Casa Bianca per rispondere alle loro preoccupazioni sulla crisi economica: gli hanno inviato oltre centomila domande, ovvio che Obama non ha risposto a tutte, ma a quelle più votate dagli stessi cittadini sì. Solo Internet permette al presidente questo contatto rapido e diretto con la sua base».

Lei ha deciso di studiare la politica, ma ha rinunciato a entrare in politica. Che cosa si propone di fare?
«Voglio aiutare a costituire un movimento. La sola strada per ripristinare la fiducia è ripristinare l'indipendenza, rompendo ogni possibile legame tra soldi e scelte politiche. Ormai i politici seduti al Congresso passano il tempo ad esaudire i desideri delle lobby che hanno finanziato le loro campagne elettorali, preoccupati di farsi rieleggere, per rompere questo meccanismo bisogna fare in modo che i finanziamenti arrivino direttamente dalla base dell'elettorato, come è successo con Obama grazie a Internet».

Perchè viene in Italia a raccontare i problemi americani?
«Perchè penso che le soluzioni che propongo per i nostri problemi siano universali, grazie alle potenzialità di un'interazione tra l'architettura della Rete e della politica, che può innescare quella mobilitazione collettiva che, come ha insegnato Gandhi, è la chiave per risultati insperati».

Perchè è importante che Internet resti libera?
«Perchè la crisi di un sistema finanziario e mediatico che ha schiacciato i cittadini nel ruolo di spettatori passivi rappresenta un'opportunità di rinnovamento e partecipazione per la prima volta dopo centinaia di anni».

Come vorrebbe che cambiassero le regole del Congresso?
«Un anno prima che Obama si affacciasse come candidato alla presidenza, ho fondato insieme a Joe Trippi (uno dei massimi esperti di comunicazione politica e web e artefice della campagna alle primarie del carneade Howard Dean nel 2004) «Change-Congress» con lo scopo di smantellare il sistema di finanziamento delle lobby dei membri del Congresso, che sono costretti a passare gran parte del loro tempo a cercare fondi per la rielezione più che per fare il loro lavoro, cioè gli interessi del popolo Usa. Il denaro erode la fiducia tra elettore e rappresentante, anche quei politici che prendono decisioni in nome del bene pubblico sono meno credibili se finanziati da gruppi di interesse industriali forti».

Come si contrasta tutto questo?

«Con la micro-donazione e il finanziamento pubblico, che libererebbe i rappresentanti dai vincoli dei gruppi di interesse rendendoli realmente indipendenti. E’ un po’ come la battaglia contro l’alcolismo: un alcolista ha problemi fisici, sul lavoro e in famiglia, ma il suo primo problema è l’alcol, se non risolve quello non potrà nemmeno affrontare gli altri. Idem per il Congresso, se le regole consentono una grande influenza dei gruppi più ricchi ogni riforma (copyright, Internet, ma anche le prescrizioni della Fda sull’alimentazione o le sciagurate politiche sull’ambiente delle ultime amministrazioni Usa) sarà minata dal sospetto dei cittadini e dalla faziosità delle scelte e dei voti dei rappresentanti».

Lei divenne un personaggio pubblico quando - prendendo le difese di un service provider (Eldred) - contestò la costituzionalità del Sonny Bono Act - la legge approvata al Congresso che estendeva la tutela del copyright da 50 a 70 anni dopo la morte dell’autore. Eldred perse il caso, ma fu allora che lei decise di originare i Creative Commons, cioè un sistema di tutela più flessibile e totalmente sotto il controllo degli autori, anziché dell’industria dell’entertainment. Il tema del diritto d’autore, prima riservato agli addetti ai lavori, divenne argomento di dibattito pubblico: ma non è che sia ancora molto chiaro, almeno non qui in Italia...
«Il Sonny Bono Act è incostituzionale, infrange il primo emendamento, ed è una legge sorprendentemente retroattiva che non contiene alcuna utilità pubblica: bisogna ricordarsi che il copyright - che dovrebbe incentivare la produzione culturale creativa - non può prescindere dall'esigenza di massima diffusione della cultura, che è patrimonio di tutti».

Un altro suo cavallo di battaglia è la neutralità della Rete, la cosiddetta Network Neutrality. Andò al Senato Usa per spiegare come funziona, assieme a Vinton Cerf. Perchè va difesa?
«Il nodo era stato sollevato da Edward Whitacre, allora Ceo dell’ex-monopolista telefonico At&t, che voleva far pagare a produttori di contenuti come Google una tassa per fare transitare più velocemente i contenuti. Spiegammo che le straordinarie innovazioni cui si è assistito sul Web non sarebbero state possibili in presenza di una infrastruttura non neutra, che cioè non trattasse tutte le tipologie di dati allo stesso modo. Niente Google, ma anche niente Instant messaging, niente Kazaa o Skype, niente Hotmail, addirittura niente www. Tutte realtà nate con pochi mezzi e diventate grandi grazie al successo di pubblico. Se avessero dovuto pagare per raggiungere gli utenti, come voleva Whitacre, probabilmente non sarebbero mai cresciute».

I suoi studi si focalizzano sulla democrazia statunitense. Ma non è che le altre vadano molto meglio: e se ci limitiamo a guardare l'Italia, poi, dove la corruzione è all'ordine del giorno e le leggi anti-Internet pure...
«Niente vi impedisce di intraprendere le vostre battaglie, come noi le nostre. Voi avete in Europa un movimento hacker molto politicizzato, che blocca le direttive Ue per esempio sui brevetti software, o sull'estensione del copyright fonografico, o contro la Neutralità della Rete. In Italia so che gli hacker hanno annunciato una "festa dei pirati", a Roma, domani, per creare attenzione attorno ai rischi della perdita della natura libera di Internet... Ci sono movimenti che raccolgono firme su Facebook per salvare Internet dalla censura, intellettuali che si battono per regole condivise. E grazie a Internet, si può creare un network globale di solidarietà attorno a certi grandi temi. Certo, sarà una dura battaglia, ma da qualche parte bisogna cominciare a partecipare, rimboccandosi le maniche, se si vuole salvare la democrazia: è un inizio».

Lei ha scritto "Free Culture": ma con la crisi della pubblicità il modello di business dei contenuti editoriali gratis su Internet si sta sbriciolando. Che cosa ci riserva il futuro?
«Nel libro Free è inteso come libera cultura, non necessariamente gratis...Però è vero, che per esempio i quotidiani negli Usa sono in crisi spaventosa, e non credo si risolleveranno, perchè la gente è disposta a spendere solo per informazioni a valore aggiunto, non quelle generaliste... di quelle ormai siamo sommersi e possiamo sceglierle dove come e quando ci pare, gratis, grazie a Internet. E' un dato di fatto con cui gli editori stanno facendo i conti, il mondo è cambiato».

da www.lastampa.it

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